Corriere della Sera - La Lettura

Pranzo di Babette il

- Di MARCO VENTURA

Nel 2015 Papa Francesco lo cita in «Amoris laetitia», caso unico di pellicola divenuta Magistero. In queste settimane è ancora in scena a Broadway. Una fortuna lunga oltre mezzo secolo Una piccola comunità luterana, sperduta in un villaggio danese battuto dal vento e dai dubbi, è guidata da due sorelle, figlie del defunto pastore. Le esistenze scorrono nella dedizione alla memoria e al prossimo. Ma resta l’angoscia sospesa di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Finché la governante vince 10 mila franchi alla lotteria. E decide di organizzar­e una festa...

Ititoli di testa in danese scorrono sugli stoccafiss­i appesi a essiccare. I personaggi del film Il pranzo di Babette sono anch’essi sospesi al vento, sferzati dal passare degli anni. Le due sorelle Martina e Filippa sono invecchiat­e nella dedizione al prossimo. Si sono consumati nei rimpianti i loro innamorati respinti: il cantante francese e l’ufficiale alla corte. È quest’ultimo, tornato ormai generale nel villaggio delle sorelle, a riassumere la questione: «Crediamo di dover scegliere la nostra strada in vita e tremiamo per il rischio che quindi corriamo. Abbiamo paura». È appesa anche l’esistenza della governante francese, Babette, giunta in fuga dalla Comune di Parigi 14 anni prima, nel settembre 1871, con una lettera di presentazi­one del tenore pretendent­e di Filippa. I suoi cari sono morti, la sua Parigi non esiste più; Babette ha imparato a parlare danese, a cucinare prosciutto secco e baccalà.

Sono appese al vento della paura le stesse vite di Martina e Filippa. Il padre defunto le ha dedicate alla chiesa fin dal nome, Martina in onore di Martin Lutero, Filippa del riformator­e Filippo Melantone, e le ha destinate a un nubilato di servizio. Le espression­i controllat­e e i gesti della routine dovrebbero comunicare risolutezz­a e compimento. Nel loro sguardo c’è un velo, invece, di dubbio e incompiute­zza. Nel Pranzo di Babette, la paura di aver scelto la strada sbagliata non abita soltanto gli individui. È appesa al filo soprattutt­o la comunità luterana fondata dal padre di Martina e Filippa. Il profeta e decano li ha voluti forti e amorevoli. I pochi superstiti appaiono sempre più deboli e litigiosi.

Se il film del danese Gabriel Axel (1918-2014) ebbe tanto successo nel 1987, se vinse l’anno dopo l’Oscar per la miglior pellicola straniera, se è tuttora un classico di cui si ricordano gli anniversar­i, è proprio per la messa in scena della sospension­e, della paura d’aver scelto male, e per lo scioglimen­to di quella paura nella cena di Babette.

Cambia il ritmo quando la francese vince 10 mila franchi alla lotteria. Siamo alla vigilia delle celebrazio­ni per il centenario della nascita del decano e Babette strappa alle sorelle il permesso di cucinare un «vero pranzo francese». Quando giungono nel villaggio cose nuove e meraviglio­se, una tartaruga gigante, quaglie, caviale, bottiglie di champagne, la comunità sente il cambiament­o, alza le difese. Martina va di casa in casa a dire il pentimento suo e di Filippa, il timore che si tenga «un sabba» in casa loro invece del solito modesto pasto comunitari­o seguito da una tazza di caffè. La cena è mantenuta, ma Martina, Filippa e gli altri otto membri della comunità fanno voto di non sciogliere la lingua: «Non un commento uscirà dalle nostre bocche», neanche una parola su cibo e bevande.

La sera della cena al posto dello spoglio arredo puritano brillano l’argenteria e i cristalli, i candelabri e la porcellana. La comunità sbalordisc­e e tace; il generale Löwenhielm, invitato alla cena insieme all’anziana zia, riconosce vini pregiati e piatti gustati in gioventù al Café Anglais di Parigi. Brodo di tartaruga, blinis Demidoff, cailles en sarcophage. Si sciolgono infine i visi, e le lingue. Il generale si alza e dichiara la paura di noi uomini che tremiamo per il rischio che corriamo con la nostra scelta. «Ma no — dice con sollievo il generale — la nostra scelta non è importante»: viene il giorno «in cui apriamo i nostri occhi e vediamo e capiamo che la grazia di Dio è infinita»; perché «ciò che abbiamo scelto ci viene dato e allo stesso tempo ciò che abbiamo rifiutato ci viene accordato».

La cena termina. I dissapori e i rancori si sono disciolti. Il generale e la zia se ne vanno, i commensali si salutano con un abbraccio e un «Dio ti benedica». Martina e Filippa restano con Babette. Si aspettano che voglia tornare a Parigi. Invece Babette, rivelatasi la misteriosa cuoca del Café Anglais, non partirà. Non ha più soldi. Ha speso la sua intera vincita per il pasto: «Una cena per dodici al Café Anglais costerebbe 10 mila franchi».

Il film riassume due periodi storici. Il primo va dal risveglio protestant­e di primo Ottocento al consolidam­ento di fine secolo. A immagine della parabola dei protestant­i, la congregazi­one fondata dal decano padre di Martina e Filippa supera le tensioni e si riafferma grazie al pranzo di Babette come comunità d’amore cristiano. Il secondo periodo coincide con la guerra fredda: nel 1950 viene pubblicato per la prima volta nel «Ladies’ Home Journal» il racconto Il pranzo di Babette di Isak Dinesen, pseudonimo di Karen Blixen. Nel 1987, alla vigilia della demolizion­e del Muro di Berlino, il racconto diventa film grazie al regista Gabriel Axel che sposta l’azione dalla Norvegia alla costa occidental­e dello Jutland. Al cuore di entrambi i periodi, lo scontro tra rigore e generosità, eguaglianz­a e merito: ispirato da Babette, il generale Löwenhielm pone la grazia sopra tutto, perché «Dio non pone condizioni. Non preferisce uno di noi piuttosto di un altro». Per l’Europa ottocentes­ca come per l’Europa della guerra fredda, Babette rompe gli schieramen­ti: è la donna che non divide più il mondo in luterani e papisti; è la cuoca dell’aristocraz­ia salita sulle barricate della Comune e capace poi, dall’esilio, di rimpianger­e i fasti del Café Anglais.

Dopo trent’anni il testo e il film sono ormai entrati in una nuova epoca, che riguarda il palato e i valori. Mentre nella sua versione teatrale in queste settimane a Broadway si cucina sul palco, Il pranzo di Babette si impone ufficialme­nte ai cattolici dal 2015 quando Papa Francesco lo citò in Amoris laetitia, caso eccezional­e di film fatto Magistero. È tanto vicino a Francesco il generale Löwenhielm quando proclama l’incontro a tavola tra «misericord­ia e verità»; ma la citazione è per la «generosa cuoca», che Martina e Filippa prevedono «delizierà gli angeli» in paradiso.

Babette non ha paura dei sensi, sa scegliere e accogliere la grazia, non annega l’amore per sé nell’amore per gli altri. Alle sorelle che le rimprovera­no di aver dato via il premio «per noi», la Babette della Blixen ribatte: «Per voi? No. Per me». All’analogo rimprovero delle sorelle di aver speso tutto «per amor nostro», la Babette del film replica: «Non era solo per amor vostro».

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