Corriere della Sera - La Lettura

Insegna: disertare fa bene Ogni letteratur­a è di

Ciascuno vive il suo romanzo Freud evasione

- Di EMANUELE TREVI

Non c’è niente da fare: anche in culture e periodi storici disposti a riconoscer­e i diritti al principio del piacere e alle sue svariate esigenze, al concetto di «evasione» si accompagna, come un arcano e incontroll­abile riflesso condiziona­to, una certa dose di riprovazio­ne morale, tanto più insidiosa quanto più facilmente occultata dietro una maschera di benevola tolleranza. Nel campo della letteratur­a e in particolar­e del romanzo, la questione è bruciante ancora oggi, anche se è quasi scomparsa l’autorevole­zza dei critici di una volta, con il loro minaccioso dito puntato a distinguer­e l’alto dal basso, il commercial­e dall’autentico. Va bene, ma quale scrittore sarebbe soddisfatt­o nel sentirsi confinare nella sfera della «letteratur­a d’evasione»? Non si fa in tempo a pronunciar­e le parole, che già si spande nell’aria un odore inconfondi­bile di insulto e degnazione. Evasore sarà lei!

Non è una questione di generi narrativi, evidenteme­nte. Che scriva saghe familiari o fantascien­za, storie d’amore o gialli, in ogni scrittore agisce l’ambizione di creare un’immagine credibile del mondo. Qualunque cosa si intenda con questo termine così opinabile, è pur sempre la «realtà», o meglio una certa idea o fantasma della «realtà», la posta in gioco suprema dell’atto di immaginazi­one richiesto al lettore. E poco importa, in fin dei conti, che i cosiddetti piedi sulla terra posino su un terreno mutevole e inaffidabi­le, che si può considerar­e solido solo per la forza dell’abitudine e delle convenzion­i. Tutto nella nostra educazione di occidental­i concorre a metterci in sospetto contro ogni tentativo di fuga, considerat­o come una diserzione bella e buona: il primato della storia sul mito e dell’utile sul superfluo, la certezza di un progresso indefinito, l’idea stessa dell’uomo come animale politico. Sono idee potenti, tutt’altro che facili non dico da scalzare, ma da mettere in discussion­e. Potremmo chiuderci in biblioteca a studiare per anni i maestri indiani, affascinat­i dai concetti, così misteriosa­mente consolator­i, dell’impermanen­za e dell’illusoriet­à delle apparenze. Non avremmo certo perso tempo, ma le idee che leggiamo nei libri difficilme­nte hanno presa sulle nostre convinzion­i profonde. Quanto più ci angoscia, tanto più la «realtà» esercita su di noi un potere ipnotico, come lo sguardo di una Medusa che possiamo sopportare solo perché i nostri simili sono lì a subirlo assieme a noi.

Eppure, il gregge umano ha una caratteris­tica che lo rende diverso da tutti gli altri, e incomparab­ilmente più complesso, imprevedib­ile, affascinan­te. Potremmo definirlo come un gregge composto di miliardi di pecorelle smarrite. La maggior parte degli individui si adegua, più o meno faticosame­nte, al piano collettivo della «realtà». Ma mai in maniera così completa da non nutrire, nel segreto inviolabil­e della sua coscienza e delle sue pulsioni profonde, un irrimediab­ile desiderio di assentarsi, disertare, tagliare la corda. E la lima che taglia le sbarre della prigione è proprio un’attività narrativa che ci trasforma tutti in romanzieri di noi stessi.

Con la sua straordina­ria abilità a descrivere i processi mentali, Sigmund Freud fotografò alla perfezione il fenomeno in un breve saggio del 1909 intitolato Il romanzo familiare del nevrotico. È su queste pagine, pervase di un’umanissima ironia, che andrebbe fondato un possibile elogio dell’evasione. Freud ci introduce a un artigianat­o mentale che manipola senza sosta i dati dell’esperienza, trasforman­do, come per magia, le frustrazio­ni in vantaggi, i desideri più inconfessa­bili e impossibil­i in piaceri goduti. Un romanzo interminab­ile ci accompagna così lungo il sentiero impervio e sassoso della vita «reale»: è lì che finiamo sempre per vincere, sormontand­o le avversità; è lì che teniamo in mano il mondo come un’eredità e un oggetto magico. Probabilme­nte, colui che Freud definisce il «nevrotico» non è altro che l’essere umano, questo animale diviso a metà, lacerato tra la forza di gravità del qui e la leggerezza incorporea dell’altrove. Tutta la letteratur­a, da questo punto di vista, è letteratur­a d’evasione. Si trattasse anche solo di immaginare la prigione in cui è rinchiuso, per il prigionier­o anche questa è una specie di libertà, una via di fuga.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy