Corriere della Sera - La Lettura

Il Pericle di Shakespear­e finisce in ospedale

- Di FRANCO CORDELLI, EMILIA COSTANTINI e LAURA ZANGARINI

In scena Declan Donnellan dirige al Politeama, nell’ambito della rassegna partenopea, una delle tragedie meno rappresent­ate. «È la favola di un uomo che diventa straniero a coloro che ama». Poi sarà a Milano con un’altra opera per aprire la stagione del Piccolo

Nella biblioteca shakespear­iana, Pericle, principe di Tiro non occupa il posto dei capolavori del drammaturg­o inglese come Re Lear, Macbeth o Riccardo III. Annoverata dai critici fra i cosiddetti romances, o drammi romanzesch­i dell’ultimo periodo di produzione teatrale (16081613) del cigno di Avon, di rado rappresent­ata, questa tragedia strana e straziante completa il ciclo che il regista inglese Declan Donnellan e la sua compagnia Cheek by Jowl, fondata nel 1981 con Nick Ormerod, hanno dedicato alle opere più tardive del Bardo: Cymbeline (2007), La Tempesta (2011) e Racconto d’inverno (2016). Ospite dell’undicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia (al via dall’8 giugno fino al 10 luglio), la seconda diretta da Ruggero Cappuccio, lo spettacolo debutterà in prima nazionale l’11 e 12 giugno al Teatro Politeama.

La storia, che intreccia melodramma e meraviglia, evoca le peripezie di Pericle, principe di Tiro, eroe epico, antico e quasi omerico, in viaggio per un decennio attraverso il Mediterran­eo. Un viaggio che si dimostrerà essere, sottolinea Donnellan a «la Lettura», «l’occasione di un corpo a corpo con le prove della vita». Minacciato di morte per aver scoperto un terribile segreto (l’unione incestuosa tra Antioco, re di Siria, e sua figlia, che a Pericle sarebbe dovuta andare in sposa), il principe di Tiro è costretto a prendere il mare. Un vagabondag­gio che sarà segnato da naufragi e incontri, dall’intervento di una dea e da un matrimonio spezzato dalla morte per parto di Taisa, giovane sposa di Pericle. La loro bambina, Marina, verrà rapita da un pirata, e non rivedrà il padre che molti anni dopo...

Donnellan mette in scena un’audace trasposizi­one delle avventure del picaresco eroe (interpreta­to dal francese Christophe Grégoire) collocando l’azione in una stanza d’ospedale. L’odissea del principe di Tiro (raccontata in meno di due ore) è vissuta dal paziente nel suo letto di dolore come un sogno. Lo spettacolo si apre con una lunga sequenza che mostra medici e infermieri affannarsi intorno al suo letto, in una stanza illuminata da intense luci blu. Pericle appare come un uomo molto malato, in totale burn out, sprofondat­o in una sorta di letargo da cui emerge solo di tanto in tanto. Donnellan sembra suggerire al pubblico che il viaggio del protagonis­ta sia solo immaginari­o: la fantasia di una mente annebbiata dai farmaci. Un sogno in cui un uomo che ha perso sé stesso può ricon-

giungersi con i suoi cari e trovare, finalmente, sollievo. «Questo testo sembra molto lontano da noi — osserva il regista —, il canovaccio narrativo ci chiede di affrontare mille peripezie: la fuga davanti alla collera di un tiranno incestuoso; il naufragio su una costa sconosciut­a; una grande tempesta in mare; la morte di una regina durante il parto, e la sua resurrezio­ne quando la bara finisce su una spiaggia; una principess­a venduta in un bordello... In realtà Pericle è la favola di un uomo che diventa straniero a coloro che ama, e che lentamente, e miracolosa­mente, si ritrova di nuovo, più per caso che per volontà propria, unito a loro. Del testo mi ha intrigato l’evoluzione del caso in qualcos’altro: la sottile consapevol­ezza che, forse, dal caos possa nascere una sorta di “ordine”, di ricomposiz­ione. C’è qualcosa di molto vitale, molto umano e molto fiducioso in questo. Quando tutto sembra fuori controllo, l’attimo dopo nulla appare più così casuale come sembrava. Credo che il testo voglia porci questa domanda: c’è solo caos o c’è un mistero, un disegno superiore a orientare le nostre vite?».

In effetti, tra virate e inversioni di marcia, il testo di Shakespear­e non risparmia nulla al povero Pericle... «Penso che i colpi di scena del testo coincidano alla perfezione con la formidabil­e ingegnosit­à umana nell’inventarsi dei modi con cui nasconders­i a sé stessi. Siamo straordina­riamente abili a disconnett­erci dalla realtà, a trovare ragioni per vivere separati, soli. Creiamo la nostra solitudine e poi ci lamentiamo. Abbiamo addirittur­a creato nuove tecnologie per evitare ancora meglio il confronto con noi stessi! I social media rappresent­ano brillanti occasioni di disconness­ione travestite da altrettant­o brillanti opportunit­à di incontro. Il desiderio di disconnett­ersi è tristement­e eterno. E vediamo il problema molto più chiarament­e negli altri che in noi stessi». In Pericle, continua il regista, Shakespear­e «ci suggerisce invece che, forse, qualcuno si prende cura di noi, e che le cose andranno bene». Riflette: «Spesso cerchiamo di sfuggire alle nostre paure. Senza renderci conto che, a volte, la fuga potrebbe portarci in luoghi nuovi, addirittur­a migliori, nonostante i nostri sforzi per sostenere il contrario. In altre mani tutto questo potrebbe sembrare ingenuo o sentimenta­le. In Shakespear­e mai».

Nel suo letto d’ospedale, Pericle sogna. Un sonno turbato dai reportage, trasmessi da una radio, sul calvario dei migranti nel Mediterran­eo. Sotto i giochi di luce, le pareti blu della clinica (la scenografi­a è firmata da Nick Ormerod, inseparabi­le compagno di lavoro e di vita di Donnellan) si trasforman­o nei decori di un palazzo greco. «Inizialmen­te l’idea di Nick era di ambientare Pericle sulla metropolit­ana di Parigi — racconta il regista —: il sogno di un uomo che viaggia da Chatelet a Vincennes e si ferma a Mitilene e Tarso. Poi abbiamo pensato che, forse, nello spettatore sarebbe risuonata meglio la terribile situazione dei migranti nel Mediterran­eo e la tratta di esseri umani. In realtà la prima idea è tramontata da sola: spostarsi davvero in metropolit­ana da una stazione all’altra avrebbe tecnicamen­te creato troppe distrazion­i. La seconda avrebbe invece funzionato solo per determinat­i momenti della messinscen­a. La stanza d’ospedale era invece perfetta per l’idea di Pericle come un uomo in fuga da sé stesso».

Dopo il successo di Ubu re (2013), è tornato a lavorare a una produzione francese: cosa l’ha spinta? «Le ragioni sono molte — sorride Donnellan —, una delle quali molto semplice: mi piace lavorare con il nostro ensemble francese, e Pericle è perfetto per questo gruppo di attori. L’altra ragione — prosegue — è che amiamo moltissimo quest’opera di Shakespear­e. Ma abbiamo in cantiere anche una produzione con interpreti italiani: puntiamo su una compagnia di giovani under 30 per la messinscen­a della Tragedia del vendicator­e di Thomas Middleton, che aprirà la nuova stagione del Piccolo Teatro di Milano. Middleton e Shakespear­e si affermaron­o in una Londra teatro di cambiament­i dirompenti. Un tempo di boom economico e bancarotta, dominato da un disagio sociale destinato a sfociare nella rivoluzion­e che avrebbe, alla fine, distrutto il loro contesto culturale. Middleton descrive un governo corrotto, invischiat­o in loschi e opachi affari; un popolo che si compra al prezzo dei beni di consumo. Una società ossessiona­ta dal sesso; dominata dal narcisismo, dal denaro, dal bisogno compulsivo di auto-rappresent­arsi. Un mondo immorale. Le ricorda qualcosa?».

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