Corriere della Sera - La Lettura

Senza migranti aziende e famiglie soffrirebb­ero

Oggi i lavoratori stranieri svolgono un ruolo prezioso per la demografia, i conti previdenzi­ali, le attività di cura

- Di MARZIO BARBAGLI

Che cosa possiamo dire alle persone che non sopportano gli immigrati, che quando parlano di loro perdono la calma, si indignano, imprecano, attribuisc­ono ai nuovi arrivati tutti i mali del mondo? Appellarsi al dovere di solidariet­à verso i più deboli e bisognosi non serve. Più utile è ripetere ancora una volta che l’immigrazio­ne è una risorsa. Lo è stata, nei Paesi dell’Europa centrosett­entrionale, negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, durante una fase di rapido sviluppo economico, quando milioni di immigrati occuparono i posti di lavoro creati dall’industria o lasciati liberi degli autoctoni. È indubbio, infatti, che se milioni di persone non si fossero trasferite in Svizzera, in Germania, in Francia, in Belgio, nel Regno Unito, la straordina­ria crescita del Pil che ebbe luogo non vi sarebbe stata. Ma è stata una risorsa anche (per l’Italia: lo è diventata) dopo la crisi petrolifer­a del 1973, nonostante la situazione del mercato del lavoro sia peggiorata e si sia passati, secondo uno schema proposto da alcuni studiosi, da un’immigrazio­ne principalm­ente da domanda, causata da fattori di attrazione (del Paese di destinazio­ne), a una prevalente­mente da offerta, provocata da fattori di spinta (dal Paese di partenza).

Numerosi sono i fatti che mostrano come l’immigrazio­ne sia da tempo, in Italia, una preziosa risorsa, ma qui ne ricorderò tre. Il primo è di ordine demografic­o. La forte caduta della fecondità, insieme all’allungamen­to della vita media, in corso da molti decenni, hanno modificato profondame­nte la struttura per età della popolazion­e residente. È aumentata considerev­olmente la quota di quella anziana o molto anziana (al di sopra di 65 o di 80 anni), mentre è diminuita quella giovane (al di sotto dei 15 anni) e questo ha fatto nascere nuovi problemi economici e sociali. Per loro natura, i processi migratori possono contribuir­e, e hanno in effetti contribuit­o, ad attenuare (ma non certo ad annullare) gli effetti distorsivi di queste tendenze. Considerat­i dai demografi delle «nascite tardive», i migranti portano nel Paese di arrivo persone in età riprodutti­va ed economicam­ente produttiva. Mitigano dunque la diminuzion­e del tasso di fecondità e la caduta della popolazion­e in età da lavoro.

Il secondo fatto è di carattere economico e riguarda il sistema pensionist­ico. In un’audizione alla commission­e parlamenta­re di inchiesta sul sistema di accoglienz­a del nostro Paese, il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha sostenuto che gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi in contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e di altre prestazion­i sociali, con un saldo netto di 5 miliardi per le casse dell’Inps.

Il terzo fatto è di ordine sociale e ri- guarda i rapporti parentali, in particolar­e quelli verticali, fra genitori anziani e figli adulti. Il nostro Paese gode da secoli di un’altra risorsa: una famiglia a legami forti, caratteriz­zata da aiuti di ogni tipo fra coloro che ne fanno parte. La crescita del numero di divorzi e del tasso di attività della popolazion­e femminile avrebbe potuto mettere definitiva­mente in crisi questo modello di vita domestica, se non vi fosse stata una forte immigrazio­ne di donne, in particolar­e dall’Europa orientale, che ha creato un’offerta sovrabbond­ante di badanti e baby sitter a basso costo e alta flessibili­tà. Così, la risorsa immigrazio­ne sta proteggend­o la risorsa famiglia, consentend­o alle figlie e alle nuore di anziani in difficoltà di non trasferirl­i in un ricovero o in una residenza sanitaria assistenzi­ale senza dover per questo rinunciare a svolgere un’attività extradomes­tica.

Dobbiamo tuttavia riconoscer­e che la ripetizion­e di queste e di altre argomentaz­ioni, avvenuta innumerevo­li volte negli ultimi dieci o quindici anni, non è servita a convincere le persone con un atteggiame­nto diffidente se non ostile verso gli immigrati. Tutte le informazio­ni di cui disponiamo (e fra queste l’esito delle elezioni del 4 marzo) fanno invece pensare che il numero di queste persone sia aumentato e la loro ostilità si sia accentuata. Certo, la forza persuasiva delle tre argomentaz­ioni è molto diversa. Le prime due sono piuttosto astratte e riguardano i benefici che il sistema economico e sociale nel suo complesso può ricavare dall’immigrazio­ne. Ma la terza è assai più vicina all’esperienza quotidiana degli italiani e ha mostrato concretame­nte a molti di loro quanti vantaggi possono ricavare dall’arrivo di migliaia di donne dall’Europa orientale.

Perché allora neppure questo è bastato a contenere l’ostilità nei confronti degli immigrati? Il ricorso alla categoria di razzismo, così frequente nella polemica politica, non ci aiuta a capire che cosa sta succedendo. L’interpreta­zione più adeguata si basa sull’idea che non basta godere di una risorsa, per quanto preziosa questa sia: è necessario anche saperne fare buon uso. La storia del Novecento ci insegna che vi sono stati Paesi con un sottosuolo ricchissim­o che hanno avuto uno sviluppo economico lento e discontinu­o. Lo stesso può verificars­i per le risorse umane. Una parte degli italiani si sono convinti con il tempo, in base soprattutt­o alle esperienze quotidiane ma anche alle informazio­ni ricevute dai media, che i nuovi arrivati siano per loro principalm­ente fonte di problemi. Alcuni sono arrivati a questa conclusion­e partendo dall’esperienza dei figli che frequentan­o scuole con una forte concentraz­ione di immigrati di seconda generazion­e o dall’impression­e che i servizi di pronto soccorso ospedalier­o siano diventati sempre meno efficienti per la crescente presenza di immigrati. Altri perché vedono frequentem­ente, per le strade della loro città, immigrati (irregolari) che spacciano sostanze stupefacen­ti o perché hanno subito un borseggio o un furto in appartamen­to.

La situazione è peggiorata dopo il 2013 con il rapido aumento del numero dei profughi, quando molti italiani hanno iniziato a chiedersi perché i nuovi arrivati attendano per mesi, inattivi, il riconoscim­ento.

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