Corriere della Sera - La Lettura
Buoni di qua, cattivi di là Nel mezzo, 800 pagine
Nazisti in fuga, eroismi e passioni: Almudena Grandes scende nel torbido passato del Paese seguendo i suoi protagonisti per quarant’anni
La navigazione è lunga sia per l’autore che per il lettore. Ma l’autrice del romanzo, I pazienti del dottor García (la traduzione è di Roberta Bovaia), la spagnola Almudena Grandes, ha le spalle larghe, è una narratrice potente, capace di tirare con ammirevole sicurezza le fila di una storia lunga oltre quarant’anni e popolata da un numero infinito di personaggi. Immaginando, probabilmente, che la maggioranza dei suoi lettori non avrebbe avuto la sua stessa capacità, la scrittrice ne fornisce in appendice un elenco dettagliato che, in effetti, si rivela prezioso in quanto, a meno di non riuscire a leggere tutto d’un fiato le ottocento pagine, aiuta a riorientarsi nella narrazione ogni volta che si riprende in mano il libro.
Prezioso è l’elenco anche perché i due principali protagonisti, il dottor Guillermo García Medina, per l’appunto, e Manuel Arroyo Benitez, diplomatico, insegnante e agente segreto, come, del resto, lo è anche il suo amico dottore, cambiano più volte identità nel corso della storia, per cui non sarebbe difficile smarrire l’orientamento. E i personaggi che li circondano — tanti i cattivi, più rari i buoni, alcuni veramente esistiti, altri di fantasia —, pur essendo per così dire minori, sono comunque tessere fondamentali nella trama; quanto alle comparse, un vero formicaio tra baristi, negozianti, domestiche, soldati, poliziotti, passanti, manifestanti e innumerevoli altri, ignorarli sarebbe sbagliato perché senza di loro l’immenso affresco sarebbe un po’ meno vero, un po’ meno completo.
Dopo aver esplorato per molti anni e in molti romanzi la società spagnola, Almudena Grandes è passata a investigarne la storia, concentrandosi sulla guerra civile che ha insanguinato il Paese, e sugli strascichi che per molti anni ancora lo han- no segnato. Ora si è concessa un altro passo avanti allargando la sua indagine dal conflitto fratricida spagnolo alle vicende europee della Seconda guerra mondiale, alla Germania, alla Russia, alla Polonia, ai Paesi Baltici e poi anche all’Argentina, agli eccidi nazisti, ai campi di concentramento e, più tardi, alle organizzazioni per la fuga dei criminali tedeschi e alla protezione che trovarono non soltanto in Argentina ma anche in Spagna.
Nel corso degli anni è diventata , quella di Almudena Grandes, una forma di letteratura civile il cui fine è quello di non dimenticare il passato fatto di violenza e ingiustizie come di sacrifici ed eroismi. Ciononostante l’intenzione non appesantisce il racconto, come non la appesantiscono alcuni brani del libro, zeppi di nomi, date e avvenimenti, di genere più saggistico che narrativo. Prova ne è che le oltre ottocento pagine si macinano bene senza intoppi. Certo, all’autrice va perdonato l’assoluto manicheismo, per cui i cattivi sono tutti da una parte e i buoni, senza eccezione, dall’altra, ma va detto che a questa rigida divisione del mondo la scrittrice, pasionaria per vocazione, ci aveva già abituati nei suoi precedenti romanzi.
I due protagonisti, dunque, che si conoscono e si salvano a vicenda la vita nei peggiori tempi della Spagna, entrambi «rossi» e perciò entrambi sconfitti dalla vittoria nazionalista, diventano spie per americani e inglesi, perché la speranza di cacciare Franco è l’ultima a morire. Speranza che sembrerà a portata di mano perché i due, infiltratisi nelle reti clandestine che organizzano cambi di identità, nascondigli, fuga e sistemazione anche professionale di nazisti e criminali di guerra, uno a Madrid, l’altro a Buenos Aires, a rischio della loro pelle troveranno, sia qua che là, ampie prove di questa attività, tollerata, se non addirittura protetta dai governi di Spagna e Argentina. Ma si sa come andò a finire: il Generalissimo rimase in sella fino alla morte — nel suo letto — molti anni dopo, e a Isabelita Perón successero i famigerati generali. Il baluardo anticomunista rappresentato dai dittatori contava per le potenze occidentali ben più di un branco, sia pure abbastanza folto, di assassini in libertà.
Fin dalla prima pagina il romanzo prende il ritmo del thriller con colpi di scena preparati da accurata suspense, e ogni volta si trema per Guillermo García e Manuel Arroyo che nel frattempo non si chiamano più così perché da un pezzo sono stati, esattamente come i loro avversari, costretti a cambiare identità. Ma non è un giallo e tantomeno un noir, né c’è nulla di automatico come a volte succede nelle trame delle spy story. Resta la nar r a z i one a v vo l gente di Al mudena Grandes, che conosciamo dai suoi numerosi romanzi, che si sofferma sui volti, sulle espressioni, sui caratteri, sulle abitudini dei suoi personaggi, anche i più secondari, sulle case in cui abitano, a volte perfino su che cos’hanno nel piatto e nel bicchiere. Scrittura femminile, ricca, fluviale, verrebbe da dire, sebbene la categoria non dovrebbe in teoria esistere più, ormai indistinguibile da quella degli uomini alla cui vita, la vita delle donne somiglia sempre più.