Corriere della Sera - La Lettura
L’apnea insegna come osare l’ultimo tuffo
L’altoatesina Kareen De Martin Pinter combina il fascino delle immersioni e il tema della morte volontaria
Dimentica di respirare anche il lettore, almeno nelle prime dieci pagine senza un capoverso, in cui si immerge in apnea come fa il protagonista di questo romanzo della bolzanina di lingua italiana Kareen De Martin Pinter. Dimentica di respirare è il secondo libro della scrittrice che ha esordito nel 2013 con L’animo leggero (Mondadori), storia della bambina Marta e delle sue amiche impegnate in un gioco crudele, una volta alla settimana, nella terra divisa dell’Alto Adige. In Dimentica di respirare invece il protagonista è Giuliano che fin da piccolo si sfida con l’amico Piero e il fratello Giovanni (che ha i polmoni più grandi di lui) a trattenere il fiato. Fino a quando, ragazzino, incontra Maurizio, un famoso e severo allenatore che lo porta a battere ogni record di apnea parlandogli di luce interiore e di animo, facendogli capire che resistere senza respirare è una questione di testa più che di corpo e che per diventare un campione bisogna non avere paura del freddo.
Un pensiero forte tiene Giuliano sotto, in «un mondo in cui regna l’oscurità», «la luce ha tutte le sfumature del blu» e «se guardi il fondo illuminandolo con una torcia, quando il plancton brilla, sembra di guardare il cielo d’estate». Giuliano è un solitario che si immerge pensando alle specie quasi completamente trasparenti che lo abitano, alla fauna marina alla quale per orientarsi non serve il sole, basta la luce che produce da sé. L’abisso del mare è il viaggio, la scoperta, il ritorno. Lì Giuliano trova il suo passato, quel dolore lontano legato all’ultima immersione del fratello, rivede le ama giapponesi, le donne pescatrici che si tuffano nude nell’acqua e che Fosco Maraini fotografò nel 1954 nelle isole Hekura e Mikuriya. Una notte si sveglia di soprassalto, nel pieno di un accesso di tosse, il petto che fa male e il respiro da andare a cercare, come se una mano stringesse il polmone. Ha 50 anni e vuole battere il record di ragazzi più giovani quando il medico gli dice che quella tosse non è soltanto tosse ma «una malattia di cui ci si può accorgere soltanto all’ultimo» e saper trattenere il fiato non basta a salvarsi. Il romanzo sterza, ma non bruscamente. Non è più il grande blu, ma la Svizzera del suicidio assistito. Eppure il mare sembra lavare tutto, anche l’angoscia. Controllare l’ultima discesa, morire a una data e a un’ora precise, senza lasciare nulla al caso diventa il pensiero forte dell’apneista.
Kareen De Martin Pinter intreccia vari spunti narrativi, mescola sogni, alterazioni di coscienza, ricordi che si collocano al limitare della realtà e impongono un succedersi di tempi diversi e un mondo opaco intorno, osservato da un punto di vista interno, la cui profondità è lo specchio della profondità dell’acqua. Immerge e ripesca il suo protagonista alternando abbandoni alla corrente e strappi bruschi che riportano Giuliano a sé stesso e il lettore al presente.
La narrazione riproduce con efficacia l’esperienza dell’esplorazione subacquea fatta di epifanie, di rarefazione e densità, di correnti e temperature che cambiano improvvisamente, anche se non sempre i raccordi sono immediati. Se la digressione sulle ama giapponesi sembra inserita un po’ forzatamente nella struttura narrativa, senza una reale necessità, di sobria poesia è il filone narrativo che riguarda il «rapimento» di Mary, delfina depressa sottratta a un acquario con cui Giuliano a un certo punto si trova a nuotare, senza cronometri e senza testimoni. La lingua è asciutta, levigata, la scrittura in equilibrio soprattutto nella descrizione delle discese, nel lavoro mentale richiesto a chi si immerge, i battiti che rallentano, la faccia compressa, i capelli sparsi nell’acqua, i muscoli strizzati, finché si viene risucchiati, all’infinito. Lo stile ha tenuta anche nella parte finale dove riesce ad assorbire nel respiro la drammaticità di un tema, quello della morte volontaria, della libertà della scelta, che è il punto più profondo in cui il lettore, con dolcezza, viene condotto.