Corriere della Sera - La Lettura

Ma non chiamatela l’antimontal­bano

- Di CARLO LUCARELLI

La trentanove­nne «stravaccat­a su un’amaca» in apertura del secondo capitolo è il vicequesto­re aggiunto Giovanna Guarrasi inventato da Cristina Cassar Scalia. Poi c’è un delitto con tutti i crismi del genere. E intorno c’è la Sicilia, molta Sicilia

Di solito quando si vuole parlare male del cosiddetto «giallo» si tira in ballo il giallo classico, quello delle Venti regole di S. S. Van Dine (1888-1939), il padre del detective privato Philo Vance: un gioco intellettu­ale tra lettore e scrittore, volutament­e scritto male per non distrarre, superficia­le, banale e scontato nella combinazio­ne degli ingredient­i necessaria­mente richiesti dall’ortodossia del genere. Il «noir» no, quello è un’altra cosa, mette in scena le trasformaz­ioni e le contraddiz­ioni della società eccetera eccetera, ma il giallo, quello classico, è morto e sepolto, un genere per vecchi nostalgici, al massimo una specie di pop up per adulti.

Ecco, a parte che ho imparato dalle mie figlie a rispettare quei libricini in rilievo che trovo geniali, poi succede che incontri un libro come Sabbia nera, di Cristina Cassar Scalia, e pensi che invece siano proprio quei discorsi sul giallo, sia pur classico, a essere morti e sepolti.

Un delitto scoperto in una vecchia villa signorile che sembra un antico maniero scozzese, scoperto per caso dopo un lento avviciname­nto che si carica di tensione perché lo sai che succederà qualcosa. Un delitto molto «delitto», proprio come voleva Van Dine, con un corpo mummificat­o. Un delitto antico su cui indagare mettendo a posto con pazienza tutti i tasselli di un mosaico che solo la logica, la profession­alità e l’istinto, il «fiuto», del detective, possono comporre.

Una storia che inizi a leggere e non molli più, perché è lei che non ti molla, obbligato a percorrerl­a tutta, senza pause, non col fiato sospeso del thriller, che è quello dei cento metri piani, ma con il respiro intenso, serrato e appassiona­to del maratoneta, che è quello, appunto, del giallo classico. Ma non era morto? No, e Cristina Cassar Scalia ce lo dimostra giocando abilmente con quelli che sono tre punti di forza, tre pilastri, del «genere», appunto.

Il primo è il genere stesso. È vero, la struttura di un racconto giallo si basa su elementi ricorrenti e facilmente riconoscib­ili ma l’abilità dello scrittore consiste proprio nel giocarli e combinarli in modo — per restare nel gergo — insospetta­bile. Se il mio compito è stupirti, come potrei farlo seguendo pedissequa­mente le regole di una grammatica prefissata?

E infatti Sabbia nera inizia come il più classico dei whodunit, quasi un delitto teggia il mistero. Appena sappiamo che la donna stravaccat­a su un’amaca (riga 1) è il vicequesto­re aggiunto (riga 2, con un paio di lettere a capo) Giovanna Guarrasi, il personaggi­o può partire immediatam­ente con i suoi 39 anni, le Gauloises blu, il giubbotto di pelle marrone, la n in più nel nome con cui la chiamano tutti e un sacco di altre cose che scopriremo lungo il respiro, affannato ma costante, ritmato da uno stile musicale e preciso, di questa maratona.

Ma soprattutt­o, il vicequesto­re Vannina — con la sua n in più — Guarrasi è una donna.

In Italia non è più una novità né per la polizia vera, naturalmen­te, né per quella dei romanzi gialli. Le donne in polizia con compiti da «giallo» ci sono dalla riforma dell’81, e nei romanzi di detective istituzion­ali al femminile ce ne sono già tanti, come l’ispettore Camilla Cagliostri di Giuseppe Pederiali, il vicequesto­re «Loli» Lobosco di Gabriella Genisi, il commissari­o Maria Laura Gangemi di Silvana La Spina, il commissari­o Adalgisa Calligaris di Alessandra Carnevali e la misteriosa Sara di Maurizio de Giovanni (a cui aggiungo anche la mia Grazia Negro di Almost Blue). Ma nell’immaginari­o del lettore quello dello sbirro è ancora un lavoro da uomini.

Trovare una donna vera, che fa un lavoro vero nel modo in cui lo si fa veramente, come la nostra Vannina, con tutto il realismo che ci vuole, è un altro punto di forza, un momento di assurdo straniamen­to che permette allo scrittore di andare ancora più a fondo portando nel personaggi­o un vissuto e un’esperienza esistenzia­le che, ripeto, assurdamen­te contrastan­o con quello che tradiziona­lmente attribuiam­o allo sbirro, maschio. Ma è proprio nei punti deboli come questo che noi scrittori sorprendia­mo e colpiamo il lettore.

L’ultimo pilastro è l’ambientazi­one. La Sicilia, con tutte le sue bellezze e le sue contraddiz­ioni, è una cornice perfetta, che permette di sporcare il folklore con il dramma giocando su qualcosa che tutti credono di conoscere ma che sempre sorprende. Qui, infatti, inizia con la sabbia nera dell’Etna, che copre, corrode e maschera tutto.

Ora, lo so che in quanto poliziotta e siciliana, Vanina Guarrasi la chiamerann­o l’antimontal­bano, ma non è vero. Cristina Cassar Scalia è lei e basta, e Sabbia nera è un gran bel romanzo. Un gran bel giallo.

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