Corriere della Sera - La Lettura
Un «braccio teso» tra Est e Ovest
Nello schizzo per quella scala verso il cielo e verso le stelle, che Yasser Arafat («Shimon Peres era stato il mio contatto») gli aveva chiesto di immaginare nel 1999 per Betlemme, c’è in fondo tutta l’idea dell’architettura secondo Massimiliano Fuksas, l’uomo della nuova Fiera di Milano-Rho (2005) e della Nuvola di Roma (2016): un’architettura all’apparenza visionaria (per qualcuno forse fin troppo), che non è mai destinata a passare inosservata e che nasce, comunque, da un sogno. D’altra parte il concetto di questa architettura «meno estetica e più etica» stava già scritto nel titolo della Biennale di Venezia curata da Fuksas nel 2000: Less aesthetics more ethics, appunto.
La doppia ellisse protesa verso il cielo che Massimiliano e Doriana Fuksas con Sandi Pirš hanno pensato per Capodistria ripropone, dunque, ancora una volta, al pari della scala verso il cielo di Betlemme, l’idea di «luogo di contatto» (ponte, passerella, scala, centro di congressi che sia) tanto cara a Fuksas: tra culture, tra mondi, tra realtà all’apparenza lontane o almeno assai difficili da coniugare. Israeliani e palestinesi? «Due popoli intelligentissimi, governati però da chi sembra invece volere solo la guerra e il conflitto». Una doppia ellisse leggermente inclinata verso il mare che avrà un’altezza totale di 111 metri ma che, oltre l’apparenza, si proporrà come una «torre della pace» tra Est e Ovest, tra Capodistria e Trieste, tra la Slovenia e l’Italia. A ribadire questo pensiero forte di «unione», un gioco di luci che, ogni notte, farà partire dalle due spirali intrecciate «un sottile fascio laser lanciato sopra il mare e la città».
Da subito la torre sarà poi destinata a diventare «un nuovo elemento simbolico della città», un polo di attrazione turistica. Per questo, accanto alla medesima torre, è già prevista «un’ampia piattaforma p a n o r a mi ca » d e n o mi n a t a Ca p o Grande. Ancora una volta, un ennesimo punto di incontro, raggiungibile attraverso un ponte sospeso lungo 100 metri, realizzato in vetro «per consentire un contatto visivo con la baia e l’entroterra».
Un piccolo progetto, lo definisce Fuksas. Ma un segno «forte e importante» pensato in contemporanea con altri lavori in corso firmati dallo studio: il nuovo Centro Congressi di Gerusalemme, la torre Securities a Shenzhen e il Centro Culturale di Pechino, il Padiglione per Expo 2020 a Dubai mentre in Italia si stanno concludendo i lavori per la Stazione Metro Duomo di Napoli. Più volte, in questa conversazione con «la Lettura», Massimiliano e la moglie Doriana (le due anime dello studio) ribadiscono che alla base di ogni loro progetto c’è l’idea di «contatto, connessione, dialogo, braccio teso». Un’idea che, ancora una volta, può apparire folle, secondo la migliore tradizione di Fuksas: «Io sono sempre folle, mi piacciono troppo le sfide, ancora di più le sfide che sembrano impossibili». Stavolta, a dare ulteriore impulso al suo sogno, c’è anche una giustificazione economica: la rinascita proprio da Trieste e dalla costa slovena di una nuova Via della Seta made in China («I tempi? Adesso siamo al progetto esecutivo; l’appalto, entro l’anno»).
Attorno a Capo Grande c ’è stato sin dall’inizio «grande entusiasmo», ma anche «paura che il progetto potesse rimanere solo sulla carta», come è già successo altre volte in questo luogo di confine che Fuksas definisce «raccoglitore di sogni e di poesia». Ma l’architetto invita a superare malumori e timori: «Bisogna pensare sempre a qualcosa di bello, a quello di positivo che può nascere, al contatto che si potrà stabilire. Abbiamo sempre bisogno di confrontarci e il contrasto, quando è animato da una convinzione sana, è sempre utile».
L’architettura contemporanea è in crisi? «Non c’è più competizione. Quando in America è arrivato Mies van der Rohe, certo Frank Lloyd Wright non sarà stato poi molto contento, gli architetti sono sempre molto invidiosi, ma aveva reagito creando uno dei suoi capolavori, il Guggenheim. Adesso, invece, tutti preferiamo non combattere, tutti sembriamo rassicurati dalla brutta edilizia dilagante, dai progetti mediocri, dalle periferie senza storia. La banalità, in altre parole, ci tranquillizza». Milano? Secondo Fuksas, resta «un unicum», un luogo diverso da tutto il resto, «un laboratorio riuscito». La Fiera di Rho? «Ne sono orgoglioso: funziona ancora oggi tutto, dodici anni dopo. Un progetto che ha fatto discutere ma non ha mai fatto paura».
A fare male è, prima di tutto, l’appiattimento, la mancanza di una sana voglia di competere, l’assenza di discussione. «Dovremmo ricordarci — spiega Fuksas — che anche un simbolo di modernità come la Torre Eiffel era stata a suo tempo molto odiata e che c’era stato qualcuno che avrebbe voluto addirittura abbattere quella ferraglia, così l’avevano soprannominata, come c’era stata una sollevazione anti-Beaubourg». Il futuro? «Nel cambiamento e nella crescita. Per questo bisognerebbe tornare tutti sui banchi di scuola, a studiare senza paura». Ma tutti quanti, secondo Fuksas: «La gente comune come i politici e gli intellettuali. Anche per questo, sogno di costruire una scuola».