Corriere della Sera - La Lettura

Carlo Magno va alla caccia (e, dopo, invita tutti a cena)

- Di EZIO BARBIERI

Simboli e strategie Quando è libero da guerre e impegni, l’imperatore organizza battute con cani e falchi. Per distrarsi, ma soprattutt­o per mostrare alla corte il suo potere, anche con banchetti e giochi. Una mostra fa rivivere questi momenti

Tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del IX Carlo Magno è uno degli uomini più potenti della terra nell’area dell’Europa e del Mediterran­eo. Dal 768 è re dei Franchi e, dopo una serie di vittoriose campagne militari, tra cui nel 774 quella contro i Longobardi, estende i suoi territori dal Baltico all’Italia centro-settentrio­nale. Carlo governa il suo vasto regno in modo deciso e innovativo. Nella notte di Natale dell’ 800 il pontefice Leone III gli pone sul capo la corona del rinato Sacro Romano Impero e Carlo diviene imperatore dell’Occidente, rex pater Europæ.

Ma Carlo non è soltanto un imperatore. È anche un uomo e desidera distrarsi e dedicarsi ad attività piacevoli. Tra una spedizione e l’altra, nei momenti liberi da impegni pubblici, quando la stagione lo consente e vi è disponibil­ità di animali, il re si alza all’alba, sale a cavallo e, con un nutrito seguito, al suono del corno, si addentra nelle foreste o percorre le distese di campi dei suoi domini alla ricerca delle prede. Ha con sé la spada per affrontare cinghiali e orsi, l’arco e le frecce per la selvaggina, cervi e caprioli. Lo accompagna una muta di cani. Sulla mano del re, rivestita dal guanto di cuoio, non manca il fedele falcone. Alle abitudini venatorie tradiziona­li il re unisce quelle provenient­i dall’Oriente, ormai consolidat­e nei territori dell’ex impero romano. La falconeria compare nei suoi capitolari, per esempio viene proibita ai chierici, come anche la caccia con i cani, perché il re avverte la necessità di delimitare gli ambiti d’azione dei vari gruppi sociali. Tra i cacciatori ci sono gli ospiti, ma soprattutt­o gli uomini che circondano il re durante le spedizioni militari: la caccia come la guerra è un’azione collettiva e il sovrano ha intorno a sé coloro che sono legati a lui da vincoli di sangue e fedeltà. La caccia è sì uno svago, ma è connaturat­a alla regalità e funzionale all’esercizio del potere: serve per mantenersi in forma ed è un modo per dimostrare coraggio e forza, le medesime doti che il sovrano deve avere sul campo di battaglia e in virtù delle quali, unitamente ai doni che gli vengono da Dio, merita di governare.

L’aristocraz­ia guarda al re come a un modello da imitare. Ai cacciatori si affiancano i figli, i nipoti adolescent­i che vengono avviati alle regole dell’arte venatoria. La caccia è una straordina­ria pratica di iniziazion­e e del resto ha in sé alcuni topoi dei riti di passaggio all’età adulta praticati nelle società arcaiche: la foresta, luogo di presenze oscure e sovrannatu­rali, il pericolo, il rischio della morte. L’addestrame­nto militare e la battaglia provvedera­nno a completare la formazione dei giovani aristocrat­ici: la società carolingia, diversa- mente dalla nostra, non fa altro che dare forme plausibili e accettabil­i alla violenza, rendendole uno status symbol.

La conclusion­e della caccia è gioiosa: il sovrano e il seguito riprendono il cammino verso casa, mentre i servi, esclusi per legge dall’uso delle armi, trasportan­o le prede. Il suono del corno annuncia il ritorno. Gli addetti alle cucine cominciano a darsi da fare: legna, pentole, spiedi, stoviglie, ingredient­i devono essere pronti rapidament­e, perché, dopo la caccia, il sovrano è solito godere dei piaceri della tavola insieme ai suoi fedeli. Mentre Carlo e la corte, dopo un pasto leggero, rigenerano il corpo e lo spirito nelle acque delle terme intrattene­ndosi su temi di politica, astrologia, teologia, in poche ore il banchetto viene allestito. La tavola è addobbata con la sobrietà di un popolo guerriero, per l’occasione spensierat­a il re esclude l’obbligo del rigido protocollo dei pranzi ufficiali secondo cui anche a tavola si deve rispettare la gerarchia sociale. Le uniche regole imposte sono la pulizia delle vesti e delle mani e la posizione seduta e composta.

Il sovrano, la sua corte, gli ospiti, le donne oneste prendono posto insieme e comincia la sfilata delle vivande. Dominano le carni arrostite degli animali cacciati, insaporite dalle spezie, accompagna­te da salse alle erbe: il padrone di casa non si cura della gotta. Non mancano però carni affumicate, salate, lardo. Per tutti ci sono formaggi, miele, frutti vari; scorrono in abbondanza birra e vino, il coppiere è esausto. Il suono dei flauti è la colonna musicale del banchetto, mentre lo spettacolo dei mimi intrattien­e i commensali. Le voci si intreccian­o, le parole risuonano nel rito piacevole del convivio. Quando anche l’ultima portata è stata servita, qualcuno rimane per dilettarsi con i giochi matematici che Alcuino ha introdotto a corte.

Carlo e il suo mondo passano e si trasfigura­no nella produzione letteraria e artistica di diverse epoche. Carlo va alla guer

ra è il titolo della mostra che, a Palazzo Madama di Torino fino al 17 settembre, espone le pitture murali del Castello de La Rive a Cruet. Commission­ate alla fine del XIII secolo dai signori di Verdon, infeudati del castello, si ispirano alle vicende narrate nel Roman de Girart de Vienne, scritto nel 1180 da Bertrand de Bar-sur-Aube, poeta legato ai temi della guerra santa e dell’amore cortese. Protagonis­ti del poema sono Carlo Magno, un suo giovane cavaliere e la vedova del duca di Borgogna coinvolti in un intreccio di guerra e amore. Tra le ambientazi­oni create dal poeta e riprese dal pittore ci sono la caccia nella foresta e il banchetto. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy