Corriere della Sera - La Lettura
è diventata autunno
Questa primavera, Praga rende omaggio al suo fotografo più illustre, Josef Koudelka, in occasione di una retrospettiva al Museo delle arti decorative. Vi si possono ammirare le inquadrature scattate dietro le quinte teatrali della sua giovinezza, una raccolta sugli zingari della Slovacchia, e le celebri foto dell’invasione sovietica, nell’agosto del 1968, che mise brutalmente fine alla Primavera di Praga. Sono immagini che appaiono ancora oggi sconvolgenti: si vedono i praghesi che attaccano i carri armati del Patto di Varsavia con lanci di pietre e bottiglie Molotov; altri che tentano di ostacolare la loro marcia, aggrappati a un autobus coperto di scritte in russo, oppure sventolano bandiere cecoslovacche, alcune macchiate di sangue. Ci sono donne in lacrime, facce cupe e amareggiate e gli sguardi dei giovani insorti nelle piazze stracolme. Sono immagini che puzzano di polvere e risuonano ancora degli insulti urlati al passaggio dei blindati, del ticchettio metallico dei cingoli sovietici sull’asfalto ceco. Koudelka ha saputo cogliere il coraggio e il sacrificio dei praghesi per consegnarli all’eternità.
Le sue foto hanno plasmato la mia percezione della Primavera di Praga, la più audace e forse la più nobile ribellione di quel 1968. L’utopia di un socialismo dal volto umano ha fatto vacillare il blocco comunista nell’Europa orientale e ha screditato per sempre il totalitarismo sovietico, che sarà finalmente spazzato via dalle rivoluzioni di velluto nell’autunno del 1989.
Praga ’68: immagino che i cechi ne vadano fieri e custodiscano amorevolmente il ricordo dei loro eroici fratelli maggiori, a mezzo secolo di distanza.
Verso la metà degli anni Sessanta la Cecoslovacchia entra in crisi. La sovietizzazione dell’economia e la linea dura di Antonín Novotný, segretario generale del Partito comunista, stanno portando il Paese alla rovina finanziaria e morale. I processi staliniani, i più spettacolari dell’Europa centrale, pesano sulle coscienze: le loro vittime non sono state riabilitate. Gli slovacchi reclamano una revisione della Costituzione che potrebbe portare alla divisione della Repubblica socialista. Sul finire del 1967, Alexander Dubcek, segretario generale del partito a Bratislava, accusa Novotný di voler sacrificare la Slovacchia.
Due sono i focolai che divampano nell’opposizione al regime. In seno al partito, i tecnocrati studiano una riforma dell’economia pianificata e nuove strategie in politica estera. L’Unione degli scrittori è più intrepida: a Praga, come a Bratislava, sconfessa l’ortodossia marxista e il ruolo guida del partito, auspicando che il Paese sappia riscoprire i suoi legami con l’umanesimo e il costituzionalismo della prima Repubblica di Tomáš Masaryk. La Cecoslovacchia era stata l’unica democrazia dell’Europa centrale tra le due guerre mondiali e doveva essere la prima a conciliare pluralismo e socialismo. I registi Miloš Forman e Jan Nemec, gli scrittori Milan Kundera, Bohumil Hrabal e Josef Škvorecký, affiancati da un promettente drammaturgo, Václav Havel, si fanno portavoce della contestazione giovanile. A seguito della repressione di una manifestazione di studenti che reclamano migliori condizioni di vita nelle città universitarie, Novotný è sostituito da Dubcek a capo del partito. È il gennaio del 1968. Figlio di un comunista che si era recato in Russia per costruire il socialismo dopo la rivoluzione bolscevica, Dubcek è un sorridente apparatchik di 46 anni. Preferisce assistere a un incontro di hockey piuttosto che andare in visita al suo protettore moscovita, come fanno di solito i segretari generali degli Stati satelliti non appena vengono insigniti di cariche di governo. Dovrà scegliere tra una timida liberalizzazione, appoggiandosi agli apparati dello Stato, e una democratizzazione più ampia, sostenuta da una costellazione progressista. Nell’uno e nell’altro caso, avrà bisogno di assicurarsi l’approvazione di un congresso straordinario del partito. A giugno viene fissata la data, si terrà il 9 settembre 1968.
I tempi stringono, la società non ha più voglia di aspettare. Nel Manifesto delle 2000 parole, lo scrittore Ludvík Vaculík esige la separazione dei poteri dello Stato e la libertà di stampa: la censura è abolita, le vittime dello stalinismo sono riabilitate. Giorno dopo giorno