Corriere della Sera - La Lettura
L’Homo sapiens arriva dall’Asia
La tesi più accreditata identifica nell’Africa la culla della specie umana. Ma scoperte recenti dimostrano che i nostri antenati vivevano nell’attuale Cina ben prima di quanto si pensasse. E i pochi denti rimasti dell’Uomo di Pechino danno nuove indicazioni
Tre anni fa mi presi la soddisfazione di fare il turista letterario a Stoccolma, visitando Lundagatan e Bellmansgatan, dove vivevano Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist. Il motivo principale per il mio viaggio non era però quello di perdermi nelle strade di Millennium, la saga di Stieg Larsson, ma quello di incontrare Benjamin Kear, il curatore del Museo dell’Evoluzione di Uppsala, e restituirgli i quattro preziosissimi denti fossili dell’Uomo di Pechino. Ma cosa c’entravano con la Svezia un canino, un molare e due premolari di un umano cinese di un milione di anni fa? E cosa c’entravo io, un fisico, con tali reperti?
Cominciamo dall’inizio. Era un giorno di dicembre del 1941, poco dopo l’attacco a Pearl Harbor e l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro il Giappone. In una stanza del Peking Union Medical College, nella Cina in gran parte occupata dai nipponici, il paleontologo Hu Changzhi aveva imballato tutti i resti dell’Uomo di Pechino — centinaia di denti e ossa fossilizzate, compresi alcuni crani — che dovevano essere imbarcati per gli Stati Uniti ed essere custoditi in attesa di tempi migliori. Da allora nessuno ha più rivisto il contenuto di quelle casse. All’epoca erano i più antichi resti umani conosciuti. Scoperti nel 1923 a Zhoukoudian, villaggio a 50 chilometri da Pechino, avevano creato scalpore internazionale poiché ambivano a indicare la Cina come culla dell’umanità. Nei decenni successivi l’attenzione si rivolse all’Africa, e l’opinione prevalente fu che spettasse a questo continente l’onore delle nostre origini ancestrali.
Dopo la separazione dei nostri antenati da quelli degli scimpanzé, circa 7 milioni di anni fa, in Africa proliferarono molte specie di ominidi fra cui Australopitechi, Ardipitechi e Parantropi. Le prime specie Homo, che sanno costruire strumenti e controllare il fuoco, appaiono fra tre e due milioni di anni or sono. Homo ergaster sarebbe stato il primo a uscire dall’Africa, spingendosi fino in Indonesia, 1,8 milioni di anni fa, e poi in Cina, un milione di anni dopo. Durante il suo lungo viaggio si andava trasformando in Homo erectus. Insieme all’Uomo di Giava, il nostro Uomo di Pechino era un rappresentante di questa specie. In seguito l’Asia si arricchì di altre specie umane, tra cui i Neanderthal, i Denisovani e i piccoli e bizzarri Homo floresiensis: le ultime due specie rinvenute solo pochi anni fa. Tutte queste specie, sopravvissute in Eurasia a mille traversie climatiche, sarebbero state soppiantate dai Sapiens usciti dall’Africa 60 mila anni fa, armati di pensiero simbolico e linguaggio complesso. Le scoperte che non confermavano questa storia non venivano prese in conside- razione. Fu ad esempio accantonata l’idea che esistessero in Cina forme «di transizione» tra Erectus e Sapiens, risalenti a centinaia di migliaia di anni fa. Eppure resti di specie umane ibride furono rinvenute negli anni Ottanta e Novanta, a Dali e a Yunxian, nella Cina centrale, e i relativi studi vennero pubblicati. Ora nuove scoperte impongono di riconsiderare l’ipotesi di un incrocio fra Sapiens ed Erectus e le date di arrivo di Sapiens in Asia e Oceania.
Nel 2015 vengono scoperti una cinquantina di denti di Homo sapiens in una caverna della Cina meridionale, a Daoxian, in strati geologici di oltre 100 mila anni fa. Crolla quindi l’ipotesi che l’esodo dall’Africa della nostra specie sia iniziato 60 mila anni fa. Nel 2017 si dimostra che 65 mila anni fa i Sapiens erano già arrivati in Australia. E nel 2018 veniamo a sapere che essi vivevano in Medio Oriente già 180 mila anni fa. In India si scoprono anche loro strumenti litici risalenti a quel periodo. Infine, tre mesi fa è stata trovata una falange fossilizzata di Sapiens, in Arabia Saudita, che risale ad almeno 85 mila anni fa. Si sta quindi affermando l’idea che i nostri antenati diretti uscirono dall’Africa almeno 120 mila anni fa, disperdendosi a ondate in diverse parti dell’Asia. Il
loro arrivo anticipato in Asia aumentava le probabilità di incroci con altre specie asiatiche, ma come spiegare gli ibridi Erectus/Sapiens cinesi più antichi? È possibile che alcuni Sapiens si siano evoluti dall’Erectus locale? Questo significherebbe ammettere la possibilità di una evoluzione multipla di Sapiens, in contrasto con le teorie accettate. Anche se il Dna degli attuali Sapiens, inclusi i cinesi, suggerirebbe una linea di discendenza da un’antica popolazione africana.
La tesi di una origine multipla di Sapiens sta riprendendo quota dopo la recente scoperta, in Marocco, di resti risalenti a oltre 300 mila anni fa, che vanno ad aggiungersi a quelli di circa 200 mila anni fa del Sudafrica e dell’Africa orientale. Diventa sempre più credibile l’ipotesi che diversi gruppi e specie umane convivessero, sia in Africa che in Asia, durante i cambi climatici del Pleistocene, dedicandosi a sporadici incroci genetici. I fossili «di transizione» in Cina potrebbero quindi essere spiegati con l’elevata biodiversità umana che caratterizzava l’Asia del Pleistocene. Le analisi genetiche dei Neanderthal e dei Denisovani ci dicono che non mancavano gli incroci tra i Sapiens e altre specie umane. Perfino il minuscolo Homo floresiensis potrebbe essere il risultato di un incrocio fra Sapiens ed Erectus, dato che si è recentemente scoperto, studian- do gli incroci fra diverse specie di babbuini, che i loro discendenti, lungi dall’assumere i caratteri degli antenati, possono variare le loro dimensioni anatomiche (per esempio rimpicciolendosi) e assumere caratteristiche del tutto nuove, anche patologiche.
In collaborazione con alcuni colleghi cinesi, María Martinón-Torres, direttrice del Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana di Burgos, ha proposto una nuova teoria che tiene conto del ruolo dell’Asia nelle nostre origini. Essa si basa su un approccio ecologico in cui si studiano le dinamiche tra popolazioni «sorgente» ( source) e popolazioni «pozzo» ( sink). Nelle prime si forma un surplus di individui, favorito da una maggiore disponibilità di risorse. Nelle seconde, la scarsità di risorse abbassa la natalità e riduce la popolazione. Durante i periodi glaciali, l’Asia centrale e le steppe del Nord diventavano poco abitabili, trasformandosi in «pozzi» per le specie umane, mentre le zone più meridionali offrivano rifugi adatti alla loro sopravvivenza.
Il Medio Oriente, secondo questa teoria, sarebbe divenuto un’occasione per gli incroci inter-specifici e una «sorgente» da cui germogliavano i rami di nuove specie umane. Una volta riaffermatesi condizioni climatiche più favorevoli, intorno a 400 mila anni fa, il ramo evolutivo dei Neanderthal avrebbe popolato tutta l’Eurasia occidentale, quello dei Denisovani l’Asia nordorientale e l’Oceania e le diverse forme «transizionali» non identificate la Cina. Uno di questi germogli avrebbe potuto raggiungere l’Africa, diventando il ramo dei
Sapiens, che poi popolerà tutto il mondo. Ma si tratta di ipotesi, l’ultima delle quali sorprendente. Per confer mare queste i dee s e r ve estrarre nuovi dati dai reperti fossili, usando anche i metodi scientifici avanzati messi a disposizione dalla fisica. Ecco spiegato il mio viaggio in Svezia.
Fortunatamente non tutti i resti dell’Uomo di Pechino erano andati perduti nel 1941. Agli scavi degli anni Venti partecipava anche il paleontologo austriaco Otto Zdansky, che scoprì i denti di cui parlavo in apertura. Alcuni furono inviati all’Università di Uppsala e uno fu di nuovo perso nei magazzini del museo, fino al 2015, quando Martin Kundrat, un paleontologo ceco che studiava in quella università, lo ritrovò. Martin contattò il nostro gruppo di Trieste per studiare gli ultimi quattro denti rimasti al mondo della specie dell’Uomo di Pechino. I denti sono reperti preziosi non solo perché si conservano attraverso le ere geologiche, ma anche perché forniscono informazioni critiche sull’evoluzione umana. La microtomografia ai raggi X permette di analizzare in tre dimensioni le microstrutture dello smalto, della dentina e della camera pulpare, senza interventi invasivi. Vengono prodotti così i Big Data della paleoantropologia virtuale e della morfologia quantitativa, da cui emergono nuove informazioni sul collegamento tra le diverse forme umane che popolavano l’attuale Cina e il resto dell’Asia durante il Pleistocene.
Il nostro progetto (firmato da «Abdus Salam» International Centre for Theoretical Physics di Trieste, Elettra/Sincrotrone Trieste, Museo storico della fisica e Centro studi e ricerche Enrico Fe Università di Tolosa e altre istituzioni europee, australiane e cinesi) si basa su un approccio interdisciplinare che coinvolge paleoantropologi come Clément Zanolli, archeologi come Federico Bernardini, esperti di luce di Sincrotrone come Lucia Mancini e perfino fisici nucleari che usano radioisotopi per viaggiare nel tempo profondo. Il nostro lavoro ha permesso di identificare le somiglianze evolutive dell’Erectus cinese con i primi Erectus indonesiani, ma serviranno molti altri studi genetici e morfologici per catalogare nel tempo e nello spazio tutti i diversi ominidi dell’Asia e trovare la loro parentela con noi Sapiens di oggi.
Fino a quando dovremo leggere i dati che continuano a spuntare come funghi sulle origini umane? Diceva il Re al Coniglio Bianco di
Alice nel paese delle meraviglie: «Va avanti finché arrivi alla fine: a quel punto fermati». Forse un giorno arriveremo alla fine della storia, ma mai alla fine delle nostre meraviglie.