Corriere della Sera - La Lettura
I NARCISI NON SONO I NEMICI PEGGIORI
Nel libro La democrazia del narcisismo (Marsilio, pp. 183, € 17), Giovanni Orsina denuncia l’inceppamento della politica derivante dalla diffusione di una mentalità individualista fondata sulla rivendicazione di diritti sempre più estesi senza una correlativa assunzione di responsabilità. Il fenomeno è assai vistoso in Italia, dove la propensione ad autoassolverci e incolpare dei nostri guai qualcun altro (l’Europa, gli immigrati, la grande finanza) è il sottofondo dominante di una vita pubblica in campagna elettorale permanente. Ma anche altrove pulsioni egoiste e progettualità collettiva (cioè la linfa della politica) tendono a collidere.
Non è detto però che per la democrazia l’individualismo, nonostante gli svantaggi delle sue esasperazioni narcisiste e consumiste, sia più dannoso della fedeltà cieca, oggi affievolita, alle appartenenze etniche, ideologiche e religiose. Se si fa risalire al 1968, dove lo fissa Orsina, il punto da cui è partito il rigetto delle autorità tradizionali in nome dell’autodeterminazione soggettiva, si può constatare che in questo mezzo secolo la democrazia non è arretrata, semmai ha guadagnato terreno un po’ ovunque: Est europeo, America Latina, Sudafrica. Forse la maggiore attenzione ai diritti del singolo ha un po’ influito. Peraltro le aree della Terra dove il dispotismo prevale sono spesso quelle, come il mondo islamico, ancora pervase dalle antiche fedi. Mentre i passi indietro più vistosi della libertà si registrano nei Paesi dal robusto retaggio nazionalista e imperiale, vedi Russia e Turchia (per non parlare della Cina).
L’ideale dell’autogoverno popolare è un’utopia e nessun sistema può soddisfare aspettative illimitate, come osserva giustamente Orsina. La democrazia ha bisogno di una disponibilità a considerare le ragioni altrui e gli interessi generali che viene corrosa dall’egocentrismo ripiegato su se stesso. Eppure, se guardiamo anche all’Italia o all’America di Donald Trump, il pericolo peggiore non sembra provenire da chi sguazza nell’edonismo permissivo, ma da chi, disorientato dagli effetti della globalizzazione, si aggrappa a vecchie certezze riverniciate dal demagogo di turno.