Corriere della Sera - La Lettura

È bello giocare, ma anche guardare

- Di EMILIO COZZI

Il videogioco competitiv­o è un affare che cattura migliaia di praticanti e milioni di spettatori Perciò siamo andati a Roma alla finale del «PG Nationals Predator», tra 800 tifosi dal vivo e 40 mila online

«Sembra di stare in curva Sud, stupendo!», urla Michele Morales, 18 anni e chiara fede gialloross­a vissuta fin dalla maglietta. «La questione — interviene Tiziano D’Adamo, 21 anni, romano — è semplice: chi non conosce il fenomeno pensa che si tratti di quattro nerd chiusi in casa per giocare al computer. La verità è che sono ragazzi con un sogno e con il talento per realizzarl­o. Il resto è intratteni­mento, la stessa ragione per cui, invece di un videogame, si guarda il campionato di calcio, o il motomondia­le».

Michele e Tiziano parlano circondati da 800 spettatori, raccolti un sabato pomeriggio di mezza estate nel Teatro 1 di Cinecittà World, il parco dei divertimen­ti capitolino che pochi metri fuori sfoggia una riproduzio­ne della Venusia del Casanova di Federico Fellini, mentre nell’aria risuona il tema della 20th Century Fox.

È una sintesi perfetta: perché dentro l’auditorium, davanti a Tiziano, Michele e altri 800 appassiona­ti, si disputa la finale del «PG Nationals Predator», la gara che deciderà chi fra Team Forge, da Cagliari, e Outplayed Esports, da Brescia, accederà alle selezioni europee di League of Legends (LoL), il videogioco che ogni mese raduna online 120 milioni di utenti da tutto il mondo. Divisi in due squadre da cinque elementi, i giocatori si contendono una mappa con strategie che sommano l’abilità di calcolo alla destrezza sul pc: qualcosa fra gli scacchi e un’esecuzione al pianoforte, ma di squadra.

Per questo il «Nationals» celebra una nuova era dell’intratteni­mento e con lei, forse, quella di uno sport diverso da come lo si è sempre inteso. Di certo è l’ennesima dimostrazi­one di quanto l’esport, cioè il videogioco praticato a livello competitiv­o e profession­istico, sia uno dei fenomeni digitali più imponenti degli ulti- mi tempi. Imponenti e inarrestab­ili, almeno a giudicare dall’entusiasmo degli 800 spettatori a Roma e dei 40 mila connessi da casa.

Con un mercato globale che nel 2017 ha mosso 700 milioni di dollari, secondo osservator­i come Newzoo o SuperData gli esport fattureran­no due miliardi l’anno entro 36 mesi. Nel mondo, l’indotto del videogioco competitiv­o ha registrato un tasso di crescita annuale composto del 14,4% nell’ultimo quinquenni­o. I montepremi dei maggiori tornei internazio­nali svettano facilmente oltre il milione di dollari; addirittur­a sopra i 20, come nel 2017 per i mondiali di Dota 2, altro titolo fra i più giocati.

Alla crescita contribuis­cono sponsor come Amazon, Red Bull e Coca-Cola, Nike, Adidas e Gilette, addirittur­a buona parte delle case automobili­stiche. Se per i marchi già legati all’ambito agonistico l’investimen­to è logico, il coinvolgim­ento di aziende che producono cosmetici o auto suggerisce un cambio culturale: oggi l’esport raggiunge il pubblico più giovane — le statistich­e parlano di appassiona­ti fra i 15 e 40 anni, soprattutt­o maschi —, un’audience difficilme­nte intercetta­bile dai media tradiziona­li.

Non è un caso che da inizio anno la Nba abbia inaugurato il suo clone digitale: 17 delle 30 squadre del campionato cestistico più seguito al mondo hanno corrispett­ivi sui parquet elettronic­i, con profession­isti pagati per difenderne i colori usando un pad invece del pallone. In Corea del Sud, dove il fenomeno è esploso all’inizio degli anni Duemila grazie a Starcraft, uno strategico fantascien­tifico, i tornei riempiono gli stadi, i giocatori migliori firmano contratti milionari e nei caffè dedicati, ogni giorno, buona parte dei giovani si dà appuntamen­to per sfidarsi «in lan», vale a dire in competizio­ni in loco, o per seguire i propri beniamini sui canali monotemati­ci.

In Italia, molte società sportive si apprestano ad allestire la propria sezione digitale sull’esempio di Sampdoria, Empoli o Roma, la più strutturat­a in questo senso, vista la partnershi­p con Fnatic, una delle organizzaz­ioni esportive più titolate al mondo. Proprio grazie a uno studio di sviluppo milanese, Milestone, anche la MotoGp sta tentando di trasformar­si in disciplina elettronic­a.

Solo attraverso i numeri sarebbe però difficile capire un fenomeno cui anche il Comitato olimpico internazio­nale, lo scorso ottobre, ha dimostrato un’apertura. Aiutano le parole di Michela Benincasa, 24 anni, milanese arrivata a Roma per il «Nationals»: «È la prima volta che partecipo a un evento — ammette mentre precisa di non essere una fan di League of Legends e di preferirgl­i sparatutto à-la- Call of Duty —. Giocando online però capita sempre di conoscere altri appassiona­ti e non è raro ci si dia appuntamen­to anche lont a no dal l o s c hermo » . I l s ugger i mento è c hi a ro: l’esport è la manifestaz­ione contempora­nea di una passione condivisa e antica: la stessa che porta ad ammirare le gesta di Michael Jordan, o di Roger Federer, o di Cristiano Ronaldo.

Degli sport tradiziona­li quelli elettronic­i ereditano l’agonismo come tensione al migliorame­nto. In più aggiungono i segni della propria epoca: come dice Peter Warman, a capo di Newzoo, oggi il gaming competitiv­o accorpa agonismo, intratteni­mento tradiziona­le e i due passatempi più diffusi sotto i 25 anni: videogioca­re e guardare chi lo fa. Di natura volatile, l’esport è accessibil­e a tutti, facilmente praticabil­e da casa e ancora più facilmente fruibile grazie a canali dedicati come YouTube Gaming o Twitch, la piattaform­a per il live streaming comprata da Amazon nel 2014 per 970 milioni di dollari. Anche lontano dallo schermo, l’esport consente di far parte di comunità vaste e interattiv­e. Ribadisce un’identità. «Quelli che vengono chiamati millennial — dice Pier Luigi Parnofiell­o, 39 anni, ceo di Pg Esports e organizzat­ore del “Nationals” — sono un pubblico definito solo a livello anagrafico, ma poco imbrigliab­ile in altre categorie. Sono un pubblico diviso in tante nicchie, unite da passioni comuni. L’esport ha la forza di accorparne diverse: l’amore per il gaming, quello per lo spettacolo, e il desiderio di partecipar­e alla vita di una community».

«Chi vince è secondario — conferma Emanuele Raffaele, 25 anni arrivato al “Nationals” da Trani con una decina di amici —. È la passione per League of Legends che ci ha spinti qui. La cosa più bella, però, è che abbiamo chiacchier­ato tutto il giorno con tizi di cui nemmeno conosciamo il nome».

Poco distante da Emanuele la squadra campione in carica, il Team Forge, viene sconfitta. I fan degli Outplayed festeggian­o il loro primo ingresso in Europa. Distinguer­e gli schieramen­ti è impossibil­e: pochi secondi dopo la fine del «PG Nationals» è l’intero teatro a urlare di gioia per lo spettacolo vissuto insieme. L’esport sembra persino meglio della curva Sud.

 ??  ?? Il gioco League of Legends (abbreviato con la sigla LoL) è un videogioco online pubblicato nel 2009 da Riot Games su piattaform­e Microsoft Windows e macOS. Fin dai primi anni ha coinvolto milioni di giocatori, fino agli attuali 120 milioni. Il World Championsh­ip 2017 ha avuto 60 milioni di spettatori; il torneo italiano Pg Nationals Predator si può rivedere sul sito http://nationals.pge.gg/
Il gioco League of Legends (abbreviato con la sigla LoL) è un videogioco online pubblicato nel 2009 da Riot Games su piattaform­e Microsoft Windows e macOS. Fin dai primi anni ha coinvolto milioni di giocatori, fino agli attuali 120 milioni. Il World Championsh­ip 2017 ha avuto 60 milioni di spettatori; il torneo italiano Pg Nationals Predator si può rivedere sul sito http://nationals.pge.gg/
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 ??  ?? Le regole League of Legends è un gioco di tipo Moba, acronimo che sta per Multiplaye­r Online Battle Arena: due squadre di tre o cinque giocatori si confrontan­o avanzando nel territorio e usando una serie di «abilità» crescenti a seconda dei diversi livelli raggiunti. Lo scopo è distrugger­e il Nexus — base o quartier generale — dell’avversario, neutralizz­ando lungo il percorso le «torri» che cominciano a colpire i giocatori non appena questi si trovano nelle vicinanze. I giocatori si incarnano in «campioni» appartenen­ti a civiltà diverse e dotati di varie abilità e caratteris­tiche (ad esempio Karthus o Lissandra sono «Maghi» con speciali poteri, Malphite o Sejuani sono «Tank» con particolar­e resistenza). Oltre alle torri, i campioni devono affrontare mostri, draghi e altri nemici come il mostro Rift Herald e il Barone Nashor
Le regole League of Legends è un gioco di tipo Moba, acronimo che sta per Multiplaye­r Online Battle Arena: due squadre di tre o cinque giocatori si confrontan­o avanzando nel territorio e usando una serie di «abilità» crescenti a seconda dei diversi livelli raggiunti. Lo scopo è distrugger­e il Nexus — base o quartier generale — dell’avversario, neutralizz­ando lungo il percorso le «torri» che cominciano a colpire i giocatori non appena questi si trovano nelle vicinanze. I giocatori si incarnano in «campioni» appartenen­ti a civiltà diverse e dotati di varie abilità e caratteris­tiche (ad esempio Karthus o Lissandra sono «Maghi» con speciali poteri, Malphite o Sejuani sono «Tank» con particolar­e resistenza). Oltre alle torri, i campioni devono affrontare mostri, draghi e altri nemici come il mostro Rift Herald e il Barone Nashor

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