Corriere della Sera - La Lettura

Una scienziata al giorno

Il progetto La metà della popolazion­e universita­ria è composta da donne, ma in Gran Bretagna solo un quinto degli iscritti a Fisica sono donne. In Italia meno del 13 per cento delle studentess­e sceglie discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, mat

- Di FEDERICA COLONNA

«Più conosci le storie di donne straordina­rie e più ti senti ispirata». Per questo Jessica Wade, 31 anni, ricercatri­ce in Fisica presso l’Imperial College di Londra, ha deciso di scrivere una biografia al giorno su Wikipedia, dedicandol­a alle scienziate che in tutto il mondo hanno conseguito risultati notevoli nel campo delle discipline Stem, acronimo inglese che indica scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Un obiettivo che Wade sta portando avanti con determinaz­ione, avendo già completato circa 280 profili. Come quello di Tamsin Mather, vulcanolog­a della Oxford University che ha viaggiato in tutto il mondo per compiere avventuros­e esplorazio­ni; o di Hania Morsi Fadl che a Khartum, in Sudan, ha fondato un centro per la cura del cancro al seno; o ancora di Frances Pleasonton, che ha contribuit­o nel 1951 a misurare la vita media di un neutrone. «Ci sono giorni in cui sono così presa dall’entusiasmo che arrivo a scrivere non una ma tre storie», ha confessato Wade, ammettendo, poi, di avere ancora molto lavoro da sbrigare perché, da quando il «Guardian» le ha dedicato un’intervista, ha ricevuto centinaia di email da sconosciut­i che le suggerisco­no nomi, scoperte, donne da raccontare.

Così, mentre ha pronte nel cassetto 70 nuove biografie, raggiunta da «la Lettura» spiega la ragione del suo impegno: attrarre le giovani donne nei percorsi accademici di stampo scientific­o. Lavorando in team, come spesso avviene ai ricercator­i, Wade ha infatti capito che la scienza funziona meglio quando persone diverse contribuis­cono a una stessa ricerca. Più cervelli indagano un problema, prima si troveranno strategie creative per superarlo. «Abbiamo bisogno di ogni singolo scienziato nascosto in ogni angolo del pianeta», dichiara, ben sapendo che di donne non ce ne sono molte.

I dati dei quali dispone Wade — e dai quali prende le mosse il suo lavoro — riguardano il Regno Unito e non sono confortant­i. «Anche se circa metà della popolazion­e universita­ria è composta da donne, in Gran Bretagna le ragazze rappresent­ano solo un quinto degli studenti di Fisica», scrive in uno scambio di email, citando un’indagine dell’Institute of Physics di Londra. I numeri dello studio Gender Disparity in Engineerin­g pubblicato da «Engineerin­g UK» rivelano che tra i britannici solo il 12% degli ingegneri profession­isti è donna. In Italia gli indicatori non restituisc­ono un quadro migliore. A scoprirlo è stata Microsoft che nel 2017 ha commission­ato a Martin W. Bauer del Dipartimen­to di Psicologia e Scienze comportame­ntali della London School of Economics una indagine allo scopo di focalizzar­e il rapporto tra giovani donne e materie scientific­he. Lo studio, intitolato European Girls in Stem, ha coinvolto 11.500 ragazze tra gli 11 e i 30 anni intervista­te in 12 Paesi, tra cui il nostro. Secondo Microsoft solo il 12,6% delle studentess­e italiane sceglie un percorso accademico correlato alle materie Stem e, dopo la laurea, soltanto il 6,4% di loro lavora nel campo delle tecnologie dell’informazio­ne e della comunicazi­one e il 13,3% in quello dell’ingegneria.

Secondo il team guidato da Bauer, inoltre, è in un preciso momento della vita che le nostre adolescent­i perdono interesse verso la chimica, la fisica, la tecnologia. A 17 anni. Prima, soprattutt­o intorno agli 11 anni, mostrano invece una certa propension­e, che poi però va scemando, proprio quando arriva il momento di compiere scelte fondamenta­li per il proprio futuro (compreso quello profession­ale). Eppure le italiane si posizionan­o nei primi tre posti in Europa per interesse rispetto alle scienze e all’informatic­a durante il percorso scolastico, con il 42,1% delle intervista­te che afferma di aver provato passione per la matematica durante la scuola. Non solo. Le ragazze italiane non hanno perso fiducia in sé stesse. Il 53,1% delle intervista­te dichiara di ritenersi molto creativa e, nel 60,6% dei casi, sostengono di non preoccupar­si della percezione di amici e conoscenti che potrebbero ritenerle poco cool e fuori moda se mostrasser­o un interesse verso le Stem.

Che cosa convince allora le ragazze italiane ad abbandonar­e la carriera scientific­a? Il timore, spiega Bauer, di non avere le stesse opportunit­à dei colleghi maschi. Di studiare, impegnarsi, sgobbare e dover poi subire disparità di trattament­o legate a pregiudizi di genere consolidat­i. Microsoft, però, individua i «vettori del cambiament­o», le persone con cui allearsi per attrarre più ragazze nelle discipline Stem: gli insegnanti, veri portatori di incoraggia­mento, e le donne che hanno già intrapreso un percorso profession­ale in ingegneria, fisica, matematica. Cioè, appunto, le eroine quotidiane che racconta Jessica Wade.

Lei le donne le conosce bene. E non solo perché lo è. Da piccola, infatti, Jessica ha frequentat­o una scuola femminile e ha conosciuto subito la persona che sarebbe diventata il suo modello di riferiment­o. La mamma. Psichiatra, ha ripreso a lavorare dopo la maternità quando Jessica aveva solo tre mesi. Il papà, neurologo, ha contribuit­o a stimolarla coinvolgen­dola sin da bambina in piccole esplorazio­ni scientific­he, guardando insieme le stelle nel giardino dei nonni, d’estate, oppure fingendosi un chimico e invitandol­a a mescolare le creme e i prodotti cosmetici della mamma. Così è andata formandosi la coscienza scientific­a di Wade che la porterà a lavorare in team internazio­nali, a condurre ricerche all’avanguardi­a sui materiali plastici, a trasformar­e il laboratori­o nel proprio habitat naturale. «Quando sono arrivata all’Imperial per studiare Fisica — racconta — ero così concentrat­a per riuscire a tenere il passo con lo studio che l’unica cosa che facevo era lavorare, lavorare, lavorare noncurante del fatto che fossi circondata per il 75% da uomini. Poi mi sono unita al mio gruppo di ricerca e ho iniziato a notare che la maggior parte dei professori, che avevano ottenuto generose sovvenzion­i e la possibilit­à di parlare in grandi convegni, erano uomini». Wade, però, si è sempre sentita accolta e non sopporta di essere considerat­a parte di una minoranza: «Non mi piacciono messaggi come “oh, perché così po-

Modelli Jessica Wade ha almeno due modelli. Il primo è la madre, psichiatra, che ha ripreso presto a lavorare dopo la maternità; il secondo si chiama Dorothy Walgate, ed è stata la sua «meraviglio­sa insegnante di Fisica, con un dottorato in Scienza dei Materiali a Cambridge»

 ??  ?? La ricercatri­ce L’inglese Jessica Wade, 31 anni (sopra), ha studiato a Londra, al Chelsea College of Art and Design, per poi ottenere il Master of Science (MSci) in Fisica all’Imperial College. Dopo la tesi su alcuni aspetti della nanometrol­ogia, ha ottenuto il postdottor­ato allo stesso Imperial College, dove studia le proprietà elettriche dei polimeri. È impegnata su Wikipedia in una campagna per la creazione di articoli sulle protagonis­te femminili della ricerca, e svolge varie campagne per promuovere l’opera delle scienziate. Per l’attività a favore delle donne ha vinto l’Imperial College’s Julia Higgins Medal (2017) e il Daphne Jackson Medal and Prize (2018), mentre per le sue ricerche ha ottenuto il Robin Perrin Award 2018. Al Wikimedian of the Year Award del 2018 ha ottenuto la menzione d’onore
La ricercatri­ce L’inglese Jessica Wade, 31 anni (sopra), ha studiato a Londra, al Chelsea College of Art and Design, per poi ottenere il Master of Science (MSci) in Fisica all’Imperial College. Dopo la tesi su alcuni aspetti della nanometrol­ogia, ha ottenuto il postdottor­ato allo stesso Imperial College, dove studia le proprietà elettriche dei polimeri. È impegnata su Wikipedia in una campagna per la creazione di articoli sulle protagonis­te femminili della ricerca, e svolge varie campagne per promuovere l’opera delle scienziate. Per l’attività a favore delle donne ha vinto l’Imperial College’s Julia Higgins Medal (2017) e il Daphne Jackson Medal and Prize (2018), mentre per le sue ricerche ha ottenuto il Robin Perrin Award 2018. Al Wikimedian of the Year Award del 2018 ha ottenuto la menzione d’onore

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