Corriere della Sera - La Lettura

La sfida dell’agricoltur­a: quanti Ogm nel cibo bio

Una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea mette la politica davanti alle sue responsabi­lità. Da decenni mangiamo vegetali il cui Dna è stato modificato artificial­mente. È ora di finirla con le guerre di religione contro la ricerca

- Di ROBERTO DEFEZ

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea era attes a da a nni. L’a s pett a vano gl i scienziati, speranzosi di relegare nel secolo passato le sorde dispute ideologich­e sulle piante Ogm, per disegnare l’agricoltur­a del futuro mediante le rivoluzion­arie tecnologie del genome editing. L’aspettavan­o gli agricoltor­i profession­ali, costretti da decenni a competere sul mercato globale senza disporre di varietà vegetali innovative e che hanno spesso dovuto sopravvive­re di sov- venzioni, aiuti ed espedienti. Espedienti come le sovvenzion­i regionali per chi fa nidificare pipistrell­i o pianta delle siepi. L’aspettavan­o i profeti di ecocatastr­ofi, per relegare le nuove tecnologie del migliorame­nto vegetale, appunto il genome editing, nell’antro infamante dove sono rinchiuse le cosiddette piante Ogm.

L’aspettavan­o soprattutt­o i politici europei, muti di fronte a un tema tanto divisivo, così passionale e dove la distanza tra la realtà e la sua percezione è siderale. I decisori politici aspettavan­o dalla Corte una soluzione, una decisione che li mettesse con le spalle al muro, una imposizion­e di fronte alla quale doversi piegare, volenti o nolenti. Ma la sentenza dell’Alta Corte nella causa C 528/16 del 25 luglio ha deluso tutti: nessuno ha festeggiat­o.

Si disperano gli scienziati che vedono le innovazion­i epocali del genome editing accomunate ai primitivi Ogm; chinano il capo rassegnati gli agricoltor­i, amputati nel loro anelito di riannodare il dialogo con la ricerca scientific­a e le innovazion­i di cui sono assetati da vent’anni; non sor- ridono i devoti alla Dea Natura che vedono cadere nel postribolo della definizion­e di Ogm tutte le piante migliorate che loro stessi coltivano e tra queste anche quelle che commercian­o con i lustrini accattivan­ti di «prodotto da agricoltur­a biologica»; si nascondono tremebondi i politici che dovranno, ora, levare dei tizzoni ardenti dal fuoco a mani nude, visto che la giurisprud­enza continenta­le si è attenuta rigorosame­nte al dettato delle leggi vigenti, senza esondare nell’ambito politico e senza offrire a nessuno soluzio-

ni indolori. Perché la Corte ha accomunato tutte le piante che l’uomo ha attivament­e migliorato nella categoria reietta degli Ogm. C’è la classica soia Ogm, che l’Europa non coltiva, ma che importa per il 92% dei suoi bisogni e che l’Italia consuma per diecimila tonnellate al giorno, 365 giorni all’anno, da vent’anni. Soia (e mais) Ogm che sono la base della mangimisti­ca con cui facciamo i più pregiati prodotti simbolo del made in Italy, come prosciutti, salumi e formaggi.

La Corte ha poi infilato nel girone degli Ogm tutta la tecnologia del genome edi

ting, ossia un modo per correggere i difetti di una pianta senza trasferire geni da altri organismi. Col genome editing si possono produrre singole mutazioni identiche e indistingu­ibili dalle mutazioni casuali che generano la biodiversi­tà tanto decantata. Quindi due piante perfettame­nte identiche (una variante spontanea e una fotocopia, ma ottenuta mirando esattament­e il bersaglio desiderato usando il genome editing) potrebbero essere regolament­ate in maniera opposta. Sempre che qualcuno riesca a distinguer­le. Ma la sentenza dell’Alta Corte ha fatto molto di più: ha incluso tra le piante Ogm quelle ottenute per mutagenesi fin dal 1953, sentenzian­do in pratica che quasi tutto quello che mangiamo oggi, inclusi gli alimenti biologici, è Ogm. Ma cos’era successo nel 1953?

L’alimentazi­one del pianeta era alla mercé delle ricorrenti carestie causate da patogeni, erbe infestanti e carente nutrizione vegetale. Per selezionar­e piante con migliori prestazion­i agronomich­e, gli scienziati decisero di accelerare la frequenza con cui avvengono le mutazioni del Dna che generano la biodiversi­tà delle piante, utilizzand­o mutageni chimici e fisici. Il grande sviluppo della fisica bellica veniva così riconverti­to per scopi agronomici. Le radiazioni che avevamo imparato a controllar­e furono dirette sui semi delle piante che volevamo migliorare. Le mutazioni erano casuali, ma usando decine di migliaia di semi si riuscivano a trovare piante più dotate per una qualche caratteris­tica desiderata (altezza, numero dei fiori, resistenza a stress fisici o ambientali...).

Così abbiamo isolato 3.281 piante mutagenizz­ate di tutti i tipi: ciliegie, fagioli, girasoli, patate, riso, orzo e grano. In Italia GianTommas­o Scarascia Mugnozza ha prodotto un grano duro più adatto a fare la pasta, il grano Creso. Circa il 70% del grano duro che abbiamo mangiato a par- tire dagli anni Ottanta era ed è grano duro figlio di questi esperiment­i di mutagenesi. Finora nessuno ha mai regolament­ato questo tipo di piante. Ottenuta la nuova varietà, se questa ha doti vantaggios­e va sul mercato.

Facciamo piante mutate in questo modo tutti gli anni. La Corte Europea scrive nella sentenza del 25 luglio scorso che queste piante mutagenizz­ate sono Ogm. Ma degli Ogm particolar­i che non devono necessaria­mente rispettare la normativa capestro (la direttiva europea 18/2001) che impone agli altri Ogm prove tanto costose quanto paranoiche, ma lascia aperta la porta a questa opzione. Difatti l’aver escluso dalla 18/2001 piante come il nostro Creso «deve essere interpreta­to nel senso che esso non ha come effetto quello di privare gli Stati membri della facoltà di assoggetta­re siffatti organismi... agli obblighi previsti dalla direttiva in parola, o ad altri obblighi». Ossia, un qualunque Stato dell’Unione Europea può non solo affermare che tutte le 3.281 piante mutagenizz­ate sono un Ogm, ma potrebbe richiedere che queste superino le norme sanitarie e ambientali previste dall’anacronist­ica normativa 18/2001. Oltre ad altri obblighi non meglio precisati.

Sintetizza­ndo, quasi tutto quello che mangiamo da almeno quarant’anni è

Ogm. Vi immaginate un produttore di biologico che scopre che tutti i suoi campi sono coltivati con piante che la Corte ha stabilito essere tutte Ogm? Pensate ai ricorsi contro le aziende che pubblicizz­ano i loro alimenti per animali domestici qualifican­doli come «senza Ogm»? Se la politica continenta­le applicasse alla lettera la sentenza della Corte di Giustizia, dell’Ue, tutti i cibi sarebbero Ogm. E se tutto è Ogm, nulla è Ogm. La politica, soprattutt­o italiana, non vorrebbe accettarlo e quindi dovrà scegliere cosa accogliere e cosa rifiutare della sentenza: ossia quali categorie di cittadini scontentar­e. Ma poi vedremo cosa deciderann­o gli altri Stati.

Sì d’accordo, la Corte ha deluso gli scienziati perché ha definito Ogm le tecnologie raffinate e impercetti­bili del ge

nome editing. Ma per farlo ha scritto una Gmf Fruits sentenza giuridicam­ente e scientific­amente impeccabil­e: tutto quello che l’uomo ha modificato geneticame­nte è un Ogm. Una linea chiara. Un singolo rigido muro tra spontaneo e migliorato dall’uomo. Un muro non elastico. Un muro che distingue quello che cambia, che muta, che crea biodiversi­tà con l’attivo intervento umano, da ciò che non cambia, o almeno che non cambia per mano umana. Nulla cambi altrimenti è Ogm, sentenzia la Corte, ma tutto è già cambiato, da decenni. Quindi forse nulla cambi perché qualcosa ora finalmente cambi. E quello che deve cambiare è una politica in grado di proporre responsabi­li scelte di prospettiv­a. Una politica che capisca che l’uomo è parte della natura e non un suo ospite sporcaccio­ne e indesidera­to. Che alimentare sette miliardi e mezzo di individui (che presto saranno dieci) richiede strumenti diversi da quelli che usavano nel neolitico i cacciatori-raccoglito­ri. Una politica che si accorga che grazie anche a una migliore agricoltur­a abbiamo ridotto di oltre tre volte gli affamati del mondo, dal 36 per cento dei denutriti del dopoguerra all’undici per cento attuale. Una politica che accetti le nuove sfide che tutti insieme vogliamo perc o r r e r e : u s a r e me n o a c q u a , me n o agrofarmac­i, meno fertilizza­nti, ottenere piante con maggiore resistenza a aggression­i di insetti, funghi ed erbe infestanti. Migliore uso della biodiversi­tà, maggiori produzioni e minore manodopera impiegata, soprattutt­o in alcune aree del Paese, ai limiti dello schiavismo.

La sentenza della Corte non è una brutta sentenza. Spiega quanto sia anacronist­ica e da abrogare la 18/2001. Spiega che gli Ogm non sono una minaccia, ma la base dell’alimentazi­one di tutto il mondo da due generazion­i. Ci richiama tutti a smettere i toni da guerra di religione per convergere sulle strategie per alimentare un pianeta in preda a repentini cambiament­i climatici (questa sì una vera emergenza) che cambierann­o la «tradizione» e il localismo delle nostre produzioni. Quello che coltivavam­o al sud si coltiverà al nord, ma su terreni e climi diversi. Nulla cambi è una metafora per farci vedere che tutto è già cambiato.

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