Corriere della Sera - La Lettura
La sfida dell’agricoltura: quanti Ogm nel cibo bio
Una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea mette la politica davanti alle sue responsabilità. Da decenni mangiamo vegetali il cui Dna è stato modificato artificialmente. È ora di finirla con le guerre di religione contro la ricerca
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea era attes a da a nni. L’a s pett a vano gl i scienziati, speranzosi di relegare nel secolo passato le sorde dispute ideologiche sulle piante Ogm, per disegnare l’agricoltura del futuro mediante le rivoluzionarie tecnologie del genome editing. L’aspettavano gli agricoltori professionali, costretti da decenni a competere sul mercato globale senza disporre di varietà vegetali innovative e che hanno spesso dovuto sopravvivere di sov- venzioni, aiuti ed espedienti. Espedienti come le sovvenzioni regionali per chi fa nidificare pipistrelli o pianta delle siepi. L’aspettavano i profeti di ecocatastrofi, per relegare le nuove tecnologie del miglioramento vegetale, appunto il genome editing, nell’antro infamante dove sono rinchiuse le cosiddette piante Ogm.
L’aspettavano soprattutto i politici europei, muti di fronte a un tema tanto divisivo, così passionale e dove la distanza tra la realtà e la sua percezione è siderale. I decisori politici aspettavano dalla Corte una soluzione, una decisione che li mettesse con le spalle al muro, una imposizione di fronte alla quale doversi piegare, volenti o nolenti. Ma la sentenza dell’Alta Corte nella causa C 528/16 del 25 luglio ha deluso tutti: nessuno ha festeggiato.
Si disperano gli scienziati che vedono le innovazioni epocali del genome editing accomunate ai primitivi Ogm; chinano il capo rassegnati gli agricoltori, amputati nel loro anelito di riannodare il dialogo con la ricerca scientifica e le innovazioni di cui sono assetati da vent’anni; non sor- ridono i devoti alla Dea Natura che vedono cadere nel postribolo della definizione di Ogm tutte le piante migliorate che loro stessi coltivano e tra queste anche quelle che commerciano con i lustrini accattivanti di «prodotto da agricoltura biologica»; si nascondono tremebondi i politici che dovranno, ora, levare dei tizzoni ardenti dal fuoco a mani nude, visto che la giurisprudenza continentale si è attenuta rigorosamente al dettato delle leggi vigenti, senza esondare nell’ambito politico e senza offrire a nessuno soluzio-
ni indolori. Perché la Corte ha accomunato tutte le piante che l’uomo ha attivamente migliorato nella categoria reietta degli Ogm. C’è la classica soia Ogm, che l’Europa non coltiva, ma che importa per il 92% dei suoi bisogni e che l’Italia consuma per diecimila tonnellate al giorno, 365 giorni all’anno, da vent’anni. Soia (e mais) Ogm che sono la base della mangimistica con cui facciamo i più pregiati prodotti simbolo del made in Italy, come prosciutti, salumi e formaggi.
La Corte ha poi infilato nel girone degli Ogm tutta la tecnologia del genome edi
ting, ossia un modo per correggere i difetti di una pianta senza trasferire geni da altri organismi. Col genome editing si possono produrre singole mutazioni identiche e indistinguibili dalle mutazioni casuali che generano la biodiversità tanto decantata. Quindi due piante perfettamente identiche (una variante spontanea e una fotocopia, ma ottenuta mirando esattamente il bersaglio desiderato usando il genome editing) potrebbero essere regolamentate in maniera opposta. Sempre che qualcuno riesca a distinguerle. Ma la sentenza dell’Alta Corte ha fatto molto di più: ha incluso tra le piante Ogm quelle ottenute per mutagenesi fin dal 1953, sentenziando in pratica che quasi tutto quello che mangiamo oggi, inclusi gli alimenti biologici, è Ogm. Ma cos’era successo nel 1953?
L’alimentazione del pianeta era alla mercé delle ricorrenti carestie causate da patogeni, erbe infestanti e carente nutrizione vegetale. Per selezionare piante con migliori prestazioni agronomiche, gli scienziati decisero di accelerare la frequenza con cui avvengono le mutazioni del Dna che generano la biodiversità delle piante, utilizzando mutageni chimici e fisici. Il grande sviluppo della fisica bellica veniva così riconvertito per scopi agronomici. Le radiazioni che avevamo imparato a controllare furono dirette sui semi delle piante che volevamo migliorare. Le mutazioni erano casuali, ma usando decine di migliaia di semi si riuscivano a trovare piante più dotate per una qualche caratteristica desiderata (altezza, numero dei fiori, resistenza a stress fisici o ambientali...).
Così abbiamo isolato 3.281 piante mutagenizzate di tutti i tipi: ciliegie, fagioli, girasoli, patate, riso, orzo e grano. In Italia GianTommaso Scarascia Mugnozza ha prodotto un grano duro più adatto a fare la pasta, il grano Creso. Circa il 70% del grano duro che abbiamo mangiato a par- tire dagli anni Ottanta era ed è grano duro figlio di questi esperimenti di mutagenesi. Finora nessuno ha mai regolamentato questo tipo di piante. Ottenuta la nuova varietà, se questa ha doti vantaggiose va sul mercato.
Facciamo piante mutate in questo modo tutti gli anni. La Corte Europea scrive nella sentenza del 25 luglio scorso che queste piante mutagenizzate sono Ogm. Ma degli Ogm particolari che non devono necessariamente rispettare la normativa capestro (la direttiva europea 18/2001) che impone agli altri Ogm prove tanto costose quanto paranoiche, ma lascia aperta la porta a questa opzione. Difatti l’aver escluso dalla 18/2001 piante come il nostro Creso «deve essere interpretato nel senso che esso non ha come effetto quello di privare gli Stati membri della facoltà di assoggettare siffatti organismi... agli obblighi previsti dalla direttiva in parola, o ad altri obblighi». Ossia, un qualunque Stato dell’Unione Europea può non solo affermare che tutte le 3.281 piante mutagenizzate sono un Ogm, ma potrebbe richiedere che queste superino le norme sanitarie e ambientali previste dall’anacronistica normativa 18/2001. Oltre ad altri obblighi non meglio precisati.
Sintetizzando, quasi tutto quello che mangiamo da almeno quarant’anni è
Ogm. Vi immaginate un produttore di biologico che scopre che tutti i suoi campi sono coltivati con piante che la Corte ha stabilito essere tutte Ogm? Pensate ai ricorsi contro le aziende che pubblicizzano i loro alimenti per animali domestici qualificandoli come «senza Ogm»? Se la politica continentale applicasse alla lettera la sentenza della Corte di Giustizia, dell’Ue, tutti i cibi sarebbero Ogm. E se tutto è Ogm, nulla è Ogm. La politica, soprattutto italiana, non vorrebbe accettarlo e quindi dovrà scegliere cosa accogliere e cosa rifiutare della sentenza: ossia quali categorie di cittadini scontentare. Ma poi vedremo cosa decideranno gli altri Stati.
Sì d’accordo, la Corte ha deluso gli scienziati perché ha definito Ogm le tecnologie raffinate e impercettibili del ge
nome editing. Ma per farlo ha scritto una Gmf Fruits sentenza giuridicamente e scientificamente impeccabile: tutto quello che l’uomo ha modificato geneticamente è un Ogm. Una linea chiara. Un singolo rigido muro tra spontaneo e migliorato dall’uomo. Un muro non elastico. Un muro che distingue quello che cambia, che muta, che crea biodiversità con l’attivo intervento umano, da ciò che non cambia, o almeno che non cambia per mano umana. Nulla cambi altrimenti è Ogm, sentenzia la Corte, ma tutto è già cambiato, da decenni. Quindi forse nulla cambi perché qualcosa ora finalmente cambi. E quello che deve cambiare è una politica in grado di proporre responsabili scelte di prospettiva. Una politica che capisca che l’uomo è parte della natura e non un suo ospite sporcaccione e indesiderato. Che alimentare sette miliardi e mezzo di individui (che presto saranno dieci) richiede strumenti diversi da quelli che usavano nel neolitico i cacciatori-raccoglitori. Una politica che si accorga che grazie anche a una migliore agricoltura abbiamo ridotto di oltre tre volte gli affamati del mondo, dal 36 per cento dei denutriti del dopoguerra all’undici per cento attuale. Una politica che accetti le nuove sfide che tutti insieme vogliamo perc o r r e r e : u s a r e me n o a c q u a , me n o agrofarmaci, meno fertilizzanti, ottenere piante con maggiore resistenza a aggressioni di insetti, funghi ed erbe infestanti. Migliore uso della biodiversità, maggiori produzioni e minore manodopera impiegata, soprattutto in alcune aree del Paese, ai limiti dello schiavismo.
La sentenza della Corte non è una brutta sentenza. Spiega quanto sia anacronistica e da abrogare la 18/2001. Spiega che gli Ogm non sono una minaccia, ma la base dell’alimentazione di tutto il mondo da due generazioni. Ci richiama tutti a smettere i toni da guerra di religione per convergere sulle strategie per alimentare un pianeta in preda a repentini cambiamenti climatici (questa sì una vera emergenza) che cambieranno la «tradizione» e il localismo delle nostre produzioni. Quello che coltivavamo al sud si coltiverà al nord, ma su terreni e climi diversi. Nulla cambi è una metafora per farci vedere che tutto è già cambiato.