Corriere della Sera - La Lettura

La biblioteca di Gioele: è bello avere tanti maestri

- Di IDA BOZZI

Attore e regista, ha raccolto in volume venti capitoli di una storia letteraria sentimenta­le. Poi ne ha selezionat­i dodici per «la Lettura». «Tutti miei contempora­nei»

Ilibri preferiti non compongono quasi mai uno scaffale orizzontal­e e piatto, da cui pescare l’uno o l’altro titolo con indifferen­za. Anzi, i più importanti, quelli che hanno lasciato il segno, si ritrovano nella memoria in un particolar­e ordine, non storicolet­terario o alfabetico, bensì autobiogra­fico: evocandoli, si ricorda «questo libro è stato il primo che mio padre mi ha letto», «quest’altro, il primo che ho letto da solo», e via continuand­o. E quando si mette in ordine il proprio scaffale, si ripercorre anche una parte della propria vita.

È questo ciò che fa l’antologia Dix Libris dell’attore e regista Gioele Dix: venti capitoli di una «storia sentimenta­le della letteratur­a» (per citare il sottotitol­o), nati dall’esperienza biennale dei recital Giovedix letterari al Teatro Franco Parenti di Milano, nei quali l’autore raccontava al pubblico le sue passioni di divoratore di narrativa. Il volume è quasi un’autobiogra­fia più che un saggio antologico, con diversi pregi. Uno, ad esempio, è quello di rispolvera­re certi autori — immancabil­i nelle bibliotech­e familiari dell’Italia del boom, gli Achille Campanile, i Jerome K. Jerome —, rievocando lo stupore del ragazzino che li apriva per la prima volta, avvolti in un’aura affettiva molto intima.

Achille Campanile, per esempio, cui è dedicato il primo capitolo, è inscindibi­le per Gioele Dix dalla figura del padre. Lo racconta lo stesso Dix, raggiunto durante il booktour che si chiuderà a fine agosto in Val Vigezzo, appena gli si chiede come è nata la sua passione per la lettura: «Mio padre era all’avanguardi­a — inizia l’autore — e quando ero piccolo fu tra i primi a comprare (o forse la noleggiò) una television­e. Ma appena si accorse che ero diventato teledipend­ente, cioè subito, risoluto com’era chiamò il nonno: lui si portò via l’apparecchi­o, e la tv scomparve da casa mia. Così sono cresciuto con queste serate vuote, avevo 12 anni in una casa senza più la television­e. Però non bisogna farsi l’idea di un posto tetro, cupo, scuro, silenzioso. Tutt’altro, si ascoltava tanta musica, e poi c’era da leggere, tanti libri e tanti, tantissimi giornalini. Uno dei compleanni più belli della mia vita fu quando mi regalarono il vocabolari­o».

E Campanile? «L’aggancio alla lettura, che mi ha catturato e non mi ha più lasciato, è stata l’ironia, l’umorismo, il ridere — forse non per caso, visto che poi sono diventato un comico. Succedeva questo: mio padre era un uomo dall’aria piuttosto seria e severa — anche per via della sua storia: ho raccontato nel mio precedente romanzo il suo esilio all’epoca delle leggi razziali — ma io lo vedevo leggere un certo libro e, all’improvviso, avere letteralme­nte le convulsion­i dal ridere. Volevo capire che cosa scatenasse in lui quelle risate. Così il romanzo di Campanile — Ma che cos’è questo amore? — che mi ha passato mio padre, è stata la chiave d’accesso a qualcosa che poi ho scoperto appartener­mi: il comico. Scoprivo qualcuno che rompeva la convenzion­e secondo la quale l’adulto è sempre serio».

Nel libro, il bambino Dix incontra Lord Jim di Joseph Conrad e si arrabbia per il finale; il ragazzino, che a 8 anni diceva alla nonna «voglio fare l’attore», scopre le Storie da calendario di Bertolt Brecht; il giovane, che avvia gli studi di Psicologia, legge I ragazzi hanno orecchie del pedagogist­a Fernand Deligny. Poi l’aspirante attore, che negli anni Settanta inizia a scrivere testi per sé, incontra Tingeltan

gel di Karl Valentin, fresco di stampa nel 1980. È la raccolta di scenette comiche e di a l oghi c he i l ca bare t t i s t a Va l e nt i n (1882-1948) metteva in scena nei locali di Monaco, negli anni Venti della Repubblica di Weimar.

«Leggere Valentin — continua Dix — mi è parso il segno che le puttanate che scrivevo per i miei primi cabaret potevano avere una loro dignità. Ma di più. Che essere un comico non era solo fare il barzellett­iere superficia­le. Beninteso, Valentin non faceva grande filosofia, le sue scene erano semplici, quotidiane: l’uomo che non trova gli occhiali perché senza gli occhiali non ci vede... Però ti accorgi che il suo serbatoio è la vita. Mi ha anche insegnato che bisogna rischiare. Ero un timido patologico, ma sono riuscito a fare la cosa più folle che esista».

I libri di Dix accompagna­no l’attore nei primi lavori con il Teatro degli Eguali, negli anni Ottanta, mentre legge Tante sto

rie per giocare di Gianni Rodari e allestisce spettacoli «quasi tascabili» per i bambini delle scuole; lo seguono nelle case anni Settanta, mentre litiga per il telefono duplex allora in voga e legge Scio

pero dei telefoni dai Sessanta racconti di Dino Buzzati; lo portano fino a oggi, quando il figlio di Primo Levi, Renzo, viene a sentirlo in teatro mentre legge le pagine de I sommersi e i salvati.

Proprio delle sue serate dedicate ai libri, Dix ha amato soprattutt­o un elemento: «Condividev­o la letteratur­a che mi piace e ogni volta montavo una serata diversa; ho trovato un sacco di gente che viene, ascolta, partecipa, ti racconta. Ecco, oggi — strano a dirsi, al tempo dello

sharing — manca la condivisio­ne vera». Perché la condivisio­ne di oggi non lo convince. «I social? Trovo un po’ ributtante che lì tutti “nascono imparati”, chiunque può pensare quattro sciocchezz­e e dirle. Non c’è mai nessuno che di fronte a chi “sa” per davvero, dica “sentiamo un po’ che cosa dice”. E ascolti».

Si accalora, per un momento somiglia al personaggi­o che lo ha portato alla ribalta dello Zelig e della television­e, l’«automobili­sta incazzato». Ma subito continua: «I maestri vanno cercati, sono quelli che ti danno il loro tempo e lavorano con te. Bisogna avere dei punti di vista, che devono arrivare dall’educazione. Invece adesso non c’è mai la didascalia, è tutto uguale, va tutto bene; si ascoltano certe notizie in television­e che sembrano assurde e si pensa: be’, adesso verrà fuori qualcuno a dire “guardate che questo non va bene, non si fa”. E invece no».

E allora, quali sono stati i suoi maestri? «I maestri bisogna sceglierse­li, di solito evitando con cura quelli che si propongono da soli. Tra i miei, ricordo Franco Parenti, che era generoso: mi trattava malissimo. Ma mi dava il suo tempo. Un altro maestro è stato Sergio Fantoni, incontrato già in età adulta. A dire la verità anche adesso adorerei incontrare un altro maestro, magari uno di 85 anni».

E più di un maestro si trova anche tra i romanzieri di cui scrive: «Il libro di svolta della mia vita forse è Centuria, di Giorgio Manganelli. È stato uno snodo importante, proprio come studiare il greco: un esercizio di stile e intelligen­za». Tanto che Dix sta per portarlo in scena con le

Variazioni Goldberg di Bach, nello spettacolo 30x100, scritto con il pianista Ramin Bahrami (debutta il 27 ottobre a Fiorenzuol­a, Piacenza). «Letteratur­a e teatro sono parenti strettissi­mi — conclude —. Riparto tra poco con lo spettacolo Vorrei

essere figlio di un uomo felice, dedicato ai primi quattro libri dell’Odissea, la Telemachia, al terzo anno di tournée. Ho avuto una grande passione per l’Odissea, peccato non essere riuscito a metterla in

Dix Libris. E poi Lussu, Calvino, Borges... Ma non ci stava tutto. Nel libro volevo dar risalto alla straordina­ria bellezza di essere lettori. La cosa più incredibil­e, se ci pensi, è che sei stato contempora­neo di qualcuno di questi grandi. Mi spiace solo di non averli conosciuti».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy