Corriere della Sera - La Lettura
L’amore è un’allucinazione di plastilina
Il romanzo breve di Giorgia Tribuiani: una spirale di follia con finale spiazzante
Nel suo esordio nel mondo del romanzo Giorgia Tribuiani ci offre con Guasti un testo breve, che sfugge all’autobiografismo di cui sono spesso viziate le pagine delle opere prime. Protagonista è Giada che per un mese intero veglia il proprio amato, un famoso fotografo che ha deciso di mettere in mostra il suo corpo plastinizzato all’interno di una mostra del famoso e ambiguo dottor Tulp (il personaggio del celeberrimo quadro di Rembrandt). Un romanzo teso, ben costruito, che si avvolge in una sorta di spirale di follia e con un finale che sorprenderà anche il lettore più smaliziato.
A colpire è l’attenzione dell’autrice rispetto al corpo, che diventa il centro dell’ossessiva vicenda della protagonista. È proprio nella ricognizione delle mem- bra del fotografo morto che si addensa il perturbante, forse la cifra migliore di Guasti, che sta nel rendere desiderabile qualcosa che è squallido. Il lettore si scopre, inseguendo la follia visionaria della donna, ad amare le viscere, i muscoli, le cartilagini di un uomo morto. La parola che forse meglio descrive l’atteggiamento della protagonista è devozione: c’è nel modo con cui Giada veglia il cadavere esposto un sentimento religioso, che nasce dalla convinzione che le sue azioni possano in qualche modo ridonare carne, sangue e vita all’amato.
L’amore in queste pagine conduce tutti a una sorta di delirio, che la scrittura dalle Tribuiani trasforma in un’ allucinazione collettiva. Nella pagina questo sentire trova la giusta dimensione nello stile e nella lingua del romanzo. La sin- tassi ossessiva, l’uso continuo dell’indiretto libero che fa entrare il lettore nella mente di una persona disturbata, acquista maggiore evidenza quando Giada parla dell’amato, mentre in altri momenti segna leggermente il passo. Un tentennamento dovuto alla paura di strafare, comprensibile alla prima prova narrativa. Guasti, comunque, ci consegna l’entrata in scena di una romanziera (che aveva pubblicato solo una raccolta di racconti) che ha i mezzi per raccontare storie nuove e poco consolanti.