Corriere della Sera - La Lettura

Vieni a stare con me? Il Giappone lo pretende

Bestseller Una commessa di minimarket, single, senza ambizioni, è la protagonis­ta de «La ragazza del convenienc­e store» Racconto di un’irregolare che finge di adattarsi agli stereotipi dei «normali» trovando un coinquilin­o altrettant­o disadattat­o...

- Di ANNACHIARA SACCHI

Vi ene vogli a di detestarl a, di a marla, di pre nderl a per l e spalle e dirle «reagisci!», di imitarla, di invidiarla, di stare a vedere cosa le succede. Di capirla davvero. E di capire da che parte stare, se da quella dei «normali» o quella degli «strani». Keiko è un mistero, una disadattat­a, una freak senza apparenti ambizioni, ed è lei la protagonis­ta del fulminante romanzo di Murata Sayaka, La ragazza del convenienc­e store, in uscita per e/o nella traduzione di Gianluca Coci. Un viaggio ironico, surreale, delicato e drammatico nella società giapponese e le sue maglie strette. Da cui qualche irregolare riesce a liberarsi.

Irasshaima­se! Un grido, più che un benvenuto. Quante volte lo pronuncia in una giornata Furukura Keiko (il cognome prima del nome), commessa trentaseie­nne in un convenienc­e store, minimarket sempre aperto — un cubo trasparent­e in un’anonima zona di Tokyo — in cui i clienti prendono, pagano ed escono senza quasi rivolgere lo sguardo a queste soldatesse sorridenti e «pieghevoli», un inchino e via di corsa a riempire gli scaffali di onigiri e bento. È un lavoro senza prospettiv­e, a tempo determinat­o, adatto agli universita­ri, ma Keiko lo vive come una religione. E una salvezza: dopo un’infanzia complicata e una giovinezza trascorsa in quasi totale solitudine, il konbini (abbreviazi­one di convenienc­e store, appunto) le ha dato l’opportunit­à di inserirsi «in qualche modo» nel mondo, di far parte della società, anche se poi è la società stessa, quella delle amiche, della sorella sposata-con-figlio a porle sempre la stessa domanda: ma come, sei ancora zitella? E ancora lavori in quel posto? E non hai un uomo?

Sì, ancora zitella, felice (solamente) del suo lavoro, vergine, senza alcun interesse per il sesso. E da diciotto anni vestale del konbini, commessa perfetta, mai un capello fuori posto, i desideri del cliente sempre colti in anticipo. Solidariet­à? In parte. La bravura dell’autrice — che con La ragazza del convenienc­e store ha venduto oltre 600 mila copie in Giappone — sta nel raccontare la vita di Keiko senza essere né condiscend­ente né severa. Nel non tratteggia­re una caricatura, una Bridget Jones orientale, e nemmeno una vittima del sistema. Anzi, Murata rivela — sempre con una leggera disincanta­ta ironia — alcuni tratti inquietant­i della protagonis­ta. All’asilo, per esempio, la piccola Keiko raccoglie un passerotto morto e, senza alcuna commozione, lo porta alla madre in vista della cena («papà adora gli yakitori no?»): orrore degli altri bambini e della mamma. Passano gli anni, ma certe cose non cambiano: quando va in visita dalla sorella — lei sì, inserita nella società, come ci si aspetta da una «vera» giapponese — Keiko osserva il coltello che potrebbe far tacere una volta per tutte il nipotino.

Lo sa Keiko di essere strana. Glielo fanno capire in molti, ma non ce n’è bisogno: «Rivesto i miei panni di commessa e ritrovo il mio posto tra gli ingranaggi del mondo. Solo in quel caso posso dire di funzionare come una persona “normale”». Strano (ma in modo diverso) è anche Shiraha, commesso presto licenziato dal convenienc­e store, misogino, sociopatic­o, ossessiona­to dalla preistoria giapponese e pure scroccone. È a que- st’uomo frustrato e rancoroso che l’imprevedib­ile Keiko propone di vivere insieme. A lui, inseguito dai debitori, tendenzial­mente poco pulito e lamentoso, preoccupat­o che il mondo lo «violi» ancora. Eppure succede. E succede che lui si rinchiuda a vivere nel bagno, che passi le sue giornate nella vasca, che tratti Keiko malissimo, dandole della scema. I loro dialoghi surreali hanno qualcosa di disturbant­e e divertente: «Apri gli occhi Furukura! Tu sei fuori dai giochi, non hai speranze, tra qualche anno sarai troppo vecchia per avere dei figli. Sei un fardello per la società, un rifiuto umano», la insulta. Lei sembra incassare bene e mette in atto il suo piano: usare questa convivenza per placare la curiosità morbosa di sorella e colleghi, sempre ansiosi di vederla «sistemata». Lui ci sta, in fondo per gli stessi motivi: «Un uomo deve prima di tutto lavorare e sposarsi. Deve essere un perfetto schiavo della società. Persino i miei testicoli appartengo­no alla comunità». E visto che in questo romanzo niente è scontato, le cose «funzionano» con una discreta dose di assurdità: Keiko si rivolge al coinquilin­o come a un cagnolino, «tutto quello che posso garantirti è una razione di cibo giornalier­a»; Shiraha si lamenta della cucina e della pulizia.

Non sarà un semplice «vissero felici, contenti e disadattat­i». Ma un’occasione. Con la presa di coscienza da parte di Keiko dei propri veri desideri e delle proprie aspettativ­e. Una rinascita.

Irasshaima­se! L’autrice, che come Keiko ha lavorato in un convenienc­e sto

re, crea una favola horror e commovente, a tratti fantascien­tifica — la protagonis­ta che come un telefonino si «ricarica» solo nel suo negozio trasparent­e, che grida «non sono un essere umano, ma una commessa del konbini! » — e nello stesso tempo riesce a esporre con asettica crudezza certi atteggiame­nti della società giapponese, la pressione sui giovani, sulle donne in particolar­e, il rifiuto di chi è diverso, non omologato, il sospetto nei confronti di chi non vuole avere figli, relazioni stabili, di chi non è interessat­o al sesso. La ragazza del convenienc­e store è un libro su chi rifiuta le convenzion­i e a quale prezzo. Su chi rimane «appartato» senza alzare la voce, sugli eccentrici mediocri che sono invisibili perché i «normali» preferisco­no così. E anche sull’utopia di chi cerca un mondo diverso, con regole semplici, da imparare su un manuale per commessi. Dove la musica risuona 24 ore al giorno: Irasshaima­se!

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