Corriere della Sera - La Lettura
L’arte degenerata
Modernismo La Tate Modern e la Weiner Library di Londra celebrano con due rassegne la generazione di pittori, spesso devastati dallo stress post traumatico della Prima guerra mondiale, messa sotto accusa dal delirio purificatore nazista
Il 1° febbraio 1933, appena preso il potere, Adolf Hitler proclamò la fine della repubblica di Weimar che descrisse come un periodo di declino e anarchia e comunismo che aveva infettato lo spirito tedesco. A lui sarebbero bastati quattro anni, garantì, per rinnovare lo spirito della Patria. Strumento centrale, in questa iniziale Konsolidierungsphase, fase di consolidamento del nazismo, sarebbe stata l’arte. Pochi mesi dopo, il 3 settembre, in un comizio a Norimberga descrisse l’arte come un’arma: di attacco contro i valori corrotti di Weimar ma anche come «lo strumento piu fiero per difendere il popolo tedesco». Era l’oscura incoronazione di un metodo. Un totale coordinamento degli organi dello Stato, il Gleichschaltung che avrebbe rapidamente nazificato la Germania, creando un popolo nuovo anche attraverso l’influenza di un’arte nuova, purificata da quella, corrotta, del recentissimo passato. Hitler incaricò tre uomini: Joseph Goebbels, Alfred Rosenberg, Bernhard Rust.
Dopo l’estate, Goebbels aveva già creato la Reichskulturkammer, la Camera della Cultura sotto lo stretto controllo della quale veniva posta ogni attività intellettuale della Germania. Non esisteva ancora un’arte nazista, ma in quei primi mesi di «consolidamento» si diffusero per tutta la Germania mostre definite «camere degli orrori» dove l’arte moderna veniva indicata come inaccettabile. Nacque così la guerra all’«arte degenerata», Entartete Kunst, definizione che fin dagli anni Venti i nazisti utilizzavano per il modernismo visto come antitedesco, cosmopolita e per sua stessa natura anti- tetico a quella che era già allora l’esigenza principale di Hitler, la progressiva militarizzazione della società. L’arte non corrotta era quella rispettosa di Blut und Bo
den, la purezza del sangue e del suolo patrio. Sarebbero stati emarginati artisti modernisti, ebrei e cosmopoliti (per non parlare ad esempio dell’allora nuovissima tendenza del jazz americano, bollato come «musica negroide» inaccettabile per motivi razziali prima ancora che estetici).
Fino al 1936, con la necessità di dare al mondo durante l’Olimpiade di Berlino una fasulla impressione di apertura, era ancora possibile organizzare mostre di arte moderna. Terminata l’Olimpiade, Goebbels fece chiudere numerose mostre e annunciò una fase nuova, con «misure sistematiche, e a lungo termine, di conservazione culturale». Nel 1937 il quadriennio di Gleichschaltung poteva dirsi concluso. Monaco, capitale artistica come Berlino era quella politica, ospitò la prima grande mostra di Arte Germanica, organizzata dal Partito. Poco lontano, Goebbels decise di aprire anche una mostra di «arte degenerata» — per fornire in modo netto il contrasto visivo tra il «prima» e il «dopo» — con settecento opere esposte. Nelle foto dell’inaugurazione c’è Goebbels con il famoso impermeabile chiaro e il cappello, ma quel che conta è il discorso di Hitler: «D’ora in poi, dichiareremo una guerra durissima, e spazzeremo via quel che resta di ciò che aveva provocato la nostra decadenza culturale». Traduzione: confisca di tutte le opere d’arte moderna rimaste in Germania, tra musei, istituzioni, collezioni private di ebrei. Ventuno mila opere in tutto.
Due straordinarie mostre a Londra, aperte in contemporanea, ed entrambe lodevolmente gratuite, ripercorrono questo snodo dell’arte del Novecento. La Tate Modern, fino al 14 luglio 2019, presenta Magic Realism: Art in Weimar Germany, 1919-1933. Alla Weiner Library, prestigioso centro studi sulla Shoah di Russell Square, dietro il British Museum, London 1938: Defending Degenerate German Art, fino al 14 settembre. La Tate Modern rende omaggio al critico e storico dell’arte Franz Roh che nel 1925 coniò la definizione di «Realismo magico» (poi accantonata a favore di Nuova Oggettività: oggi quando si parla di Realismo magico si pensa generalmente alla letteratura sudamericana) per raccontare la nuova tendenza postimpressionista che dopo la fine della Prima guerra mondiale presentava una «realtà trasfigurata», la continuazione della guerra (che molti artisti avevano combattuto in trincea) con altri mezzi.
Otto Dix, George Grosz, Harry Heinrich Deierling, Rudolf Schlichter, Albert Birkle, Jeanne Mammen portano alla Tate lo spirito di un’era che non riusciva a dimenticare l’orrore della Prima guerra mondiale: per usare una terminologia contemporanea, è l’arte dello stress post traumatico. Ecco il suicida di Grosz che giace in una strada rosso sangue, con la prostituta a seno scoperto che guarda dalla finestra e l’impiccato appeso al lampione che anticipano di ottant’anni gli incubi di David Lynch; ecco le due donne impiccate nello studio dell’artista immaginate da Schlichter; ecco il Delitto passionale di Dix con l’uomo con la bombetta e la donna massacrata e seminuda sul pavimento. È l’arte di un’estetica nuova partorita nelle trincee della Prima guerra mondiale, che non poteva non entrare in rotta di collisione con la mobilitazione hitleriana per preparare la Germania a una nuova guerra, alla rivincita.
La mostra della Wiener Library ci presenta uno dei momenti piu nobili della storia dell’arte del Novecento, la mostra londinese che nell’estate del 1938 raccolse le opere «degenerate» sfuggite a furti e confische naziste, un successo enorme alle New Burlington Galleries con trecento lavori di Kandinsky, Beckmann, Kokoschka, Klee, Dix. Una mostra che attirò 12mila londinesi nelle prime settimane, estesa per un altro mese, sponsorizzata tra gli altri da Pablo Picasso e dalla famiglia Churchill. Alla Wiener Library c’è il ritratto di Einstein di Max Liebermann, il piu grande scienziato ebreo visto da uno dei più grandi pittori ebrei, opera sfuggita per miracolo ai nazisti. E alla Wiener c’è pure una lettera, difficile dire se più sconvolgente nella sua crudeltà o più ripugnante nella sua cortigianeria: Rosenberg che scrive a Hitler, con toni di ridicolo servilismo, che non vede l’ora d’incontrarlo personalmente per raccontargli la grande quantità di opere d’arte confiscate, cioè rubate, ai loro proprietari. Turba, ma in qualche modo riesce a confortare: l’arte è fragile, ma è anche tanto potente da aver fatto tremare la macchina dello sterminio nazista, e a averla costretta a dichiararle guerra.