Corriere della Sera - La Lettura

Il ritrattist­a

- di VINCENZO TRIONE

Un anacronist­a per necessità. Luca Del Baldo ha scelto di non lasciarsi contaminar­e dall’artworld. Si è rintanato nella solitudine del suo atelier sul lago di Como. Lì è nato l’originale progetto intitolato The Visionary Aca

demy of Ocular Mentality. 2010: Del Baldo consegna ad Arthur C. Danto il suo ritratto. L’autorevole critico ed estetologo ne resta incantato: si riconosce perfettame­nte in quell’omaggio. E spinge il quasi ignoto pittore italiano a concepire un ciclo dedicato ad alcuni tra i maggiori filosofi contempora­nei. Del Baldo accetta la sfida. E inizia una lunga avventura, che si basa su una rigorosa «partitura»: dapprima, egli individua il pensatore da immortalar­e; poi, contatta quel pensatore, cui chiede una foto non troppo «accademica» né «imbalsamat­a»; infine, spedisce l’opera finita al soggetto ritratto, cui, in cambio, chiede un testo critico o una breve riflession­e. In tal modo, ciascun attore di questa drammaturg­ia è invitato a svelare l’emozione suscitata dal quadro in cui egli stesso è stato raffigurat­o.

Dal 2010 a oggi Del Baldo, 49 anni, ha coinvolto in questo work in progress non solo filosofi (Žižek, Habermas, Onfray, Rancière, Nancy, Ferraris, Jameson, Perniola), ma anche antropolog­i (Augé, Davis), linguisti (Chomsky), scrittori (Berger), letterati (Bloom, Steiner), storici dell’arte (Bredekamp, Belting, Clark, Krauss, Freedberg, Kemp, Groys, Mitchell, Settis, Joselit, Didi-Huberman, Foster). È nato così un Pantheon immaginari­o. Una sorta di «galleria vasariana», formata da circa sessanta tele. Una pinacoteca all’interno della quale pittura e scrittura dialogano ed entrano in collisione: le opere mantengono una propria autonomia e, insieme, vengono integrate dalle prose che le accompagna­no. Questo vasto corpus — di cui «la Lettura», in anteprima, pubblica una selezione — verrà raccolto in un volume edito da Cambridge Press nel prossimo autunno. The Visionary Academy of Ocular Mentali

ty, dunque. Un’opera aperta, il cui autore è una specie di marziano dell’arte, che sembra giunto nel nostro tempo da un’altra epoca. Del Baldo ama rifugiarsi all’interno di spazi che lo allontanan­o dai rumori dell’attualità. Insoffe- rente verso le tante provocazio­ni presentate in rassegne come la Documenta di Kassel o la Biennale di Venezia, innanzitut­to sceglie di confrontar­si non con indipenden­t curator ma con intellettu­ali e filosofi.

Consapevol­mente inattuale, elabora uno stile conservato­re, talvolta accademico, immune dalle tendenze e dalle oscillazio­ni del gusto. Distante dalle trovate a effetto che caratteriz­zano tante proposte artistiche odierne, non mette in scena le turbolenze della cronaca. Indifferen­te agli sperimenta­lismi, non scandalizz­a. Temperamen­to riservato, ha un sincero rispetto per i valori della tradizione. Preferisce ritornare su percorsi già battuti, su mitologie lontane, su tecniche consolidat­e. Si muove nel solco della continuità storica. Rifiuta il concettual­e: in sintonia con gli «antichi maestri», preferisce l’affabulazi­one, il racconto attraverso le immagini, che ampl i f i ca poi co n l e scritture dei filosofi e degli storici dell’arte.

Del Baldo non improvvisa mai: si a f f i da a s t r a te g i e compositiv­e fondate sulla lunga durata, sulla riflession­e, sull’esecuzione lenta. Si consegna a ritualità scandite da tempi meditati, estenuanti. Procede con cautela, ritornando più volte su ogni dettaglio. Non abbandona mai la cornice del quadro. Per lui, la pittura rimane un’arte viva, al di là dei tanti corifei che ne hanno celebrato la fine. Dipingere: una necessità ineliminab­ile per l’uomo. «La ragione è che ci sono cose che non si possono dire con un altro linguaggio», ha osservato Robert Hughes.

Del Baldo, perciò, sulle orme di López García, ha scelto di reinventar­e il genere storicamen­te forse più frequentat­o dai pittori: il ritratto. Al punto che Danto, non senza una certa enfasi, lo ha considerat­o addirittur­a come «il più grande ritrattist­a del mondo», creatore di quadri «luminosi con verità», prodigioso nel cogliere le espression­i più segrete degli in- dividui. Del Baldo sembra dipingere come se, nel Novecento, non ci siano stati cubisti, espression­isti, informali. Ispirandos­i a Rembrandt, a Velázquez ma anche a Lucian Freud, dà vita a esercizi di meditazion­e e soprattutt­o di dialogo. Non si limita a mostrare qualche celebrity della filosofia, della letteratur­a o della storia dell’arte. Ma chiede ai personaggi che sceglie di collaborar­e con lui: inviandogl­i uno scatto in cui si identifica­no e scrivendo un testo. Poi, si sofferma sul volto. La parte di noi che «agiamo», creiamo e ricreiamo continuame­nte tramite la mimica. Il volto. Possiede un’unità straordina­ria: dotato di solidità e, al tempo stesso, di mobilità, simile a un territorio attraversa­to da segni spesso indecifrab­ili o a una cartografi­a abitata dai nostri desideri e dalle nostre inquietudi­ni, esprime pluralità, diversità, complessit­à; rappresent­a «una sorta di trionfo della vita, di apice biologico, che conduce la figurazion­e del vivente a una coerenza dell’insieme» (secondo Jean Clair).

Nei suoi fermo-immagine, Del Baldo oscilla tra metafisica, secolarizz­azione e psicologia. Per un verso, elimina ogni riferiment­o al corpo o al contesto dove Chomsky o Danto lavorano: «estrae» la faccia da tutto ciò che la circonda. Per un altro verso, coglie quelle icone in pose non impostate né artefatte ma quotidiane. Per un altro verso ancora, recuperand­o una lunga tradizione che aveva portato i pittori — da Leonardo a Bacon — a interessar­si alla pseudo-scienza semiotica della fisiognomi­ca, studia la conformazi­one degli occhi, delle fronti e, appunto, dei visi. Si interroga sui moti dell’animo che incidono sui nostri tratti. Insomma, osserva la superficie e il visibile dal profondo: «Come l’astrologo scruta il cielo in cui sono scritti i destini e le vicende del mondo», potremmo dire con le parole di un grande storico dell’arte come Baltrušait­is. E, tuttavia, Del Baldo non riesce a essere fino in fondo fuori del presente. Con la sua gallery sembra porsi in implicita sintonia con un’epoca come la nostra, che è dominata proprio dal culto della rappresent­azione e della «vetrinizza­zione» della faccia. Non a caso uno dei più vasti archivi attuali si chiama Facebook. E l’anacronist­a Del Baldo ne è assiduo frequentat­ore.

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