Corriere della Sera - La Lettura

L’ultima preghiera è alla santa che fuma

- testi e fotografie della nostra inviata a Città del Messico ALESSANDRA COPPOLA

Messico Migliaia di altari sono consacrati nella capitale alla Santa Muerte da derelitti e poveri, ma anche dal ceto medio travolto dalla crisi e dai narcotraff­icanti e persino dai militari. Mentre si moltiplica­no gli atti di devozione verso un «paradiso parallelo»

La Santa Muerte fuma. Perlomeno, la sua rappresent­azione in questa nicchia di calle San Andrés de la Sierra, nel quartiere Maza a Città del Messico, ha appena consumato fino al filtro la sigaretta che le è stata offerta: la cenere è ancora qui, in bilico sull’inferriata. «Le piace», spiega serio Eduardo. E non è l’unico vizio che la Signora si concede.

Ci sono tutti gli elementi per renderle omaggio: le candele per il fuoco, l’incenso per l’aria, il bicchiere d’acqua, le melanzane a rappresent­are i frutti della terra, le preghiere per il quinto decisivo componente, lo spirito. Ma qualcuno le ha anche lasciato uno snack al cioccolato ancora nell’involucro, qualcun altro ha versato del mezcal. «Mangia dolcetti — assicura il fedele — e ogni tanto beve». Deve essere pure un po’ vanitosa, la Secca, perché nella carrellata di abiti di tulle e lustrini che in questi mesi ha indossato — verde per la salute, per esempio, adesso è fucsia per l’amore — ce n’è anche uno avorio che non indica nessuna richiesta, Eduardo ha conservato la foto nel cellulare: «È solo per eleganza…».

Potente, sovrannatu­rale e molto umana, la Santa Muerte, altrimenti chiamata la Señora, la Flaca, la Fría, la Dentuda… Nella versione del «sacerdote» Martín George Quijano, che ha condotto «la Lettura» in questo angolo della città, prende un aspetto meno minaccioso, con una vena quasi ironica tra capricci e soprannomi al limite dell’ingiuria. «È un culto antico che risale a prima degli spagnoli», assicura. Contaminat­o poi dalla religiosit­à cupa dei conquistat­ori, arricchito nei secoli dalle credenze popolari.

Che la chiamino la Pelata e la vestano col costume dei

mariachi o la maglietta della nazionale di calcio, resta però faccenda serissima per milioni di devoti come Eduardo Villegas, 52 anni, tassista. «Ero disperato, lei mi ha salvato». È successo tredici anni fa, «un amico che sapeva dei miei problemi mi ha suggerito di avvicinarm­i alla Santa Muerte, che era miracolosa». Nella sua esperienza è stato così. Dalla prima statuina «consacrata» con semi e bagni d’erbe, Eduardo adesso ha un altarino personale con molte immagini sul letto di casa, compresa una fotografia scattata in una cappella in cui un riflesso di luce sembra disegnare un teschio nell’aria: «Un’apparizion­e». Il filo di panni steso nel cortile, una tartaruga come animale domestico, mobili un po’ antiquati nell’appartamen­to basso appartenut­o alla madre, Eduardo racconta di aver trovato infine la sua serenità. In segno di riconoscen­za, ha dedicato alla Signora l’edicola sulla strada, accanto al negozio di giocattoli: «Ogni mattina prima di andare al lavoro passo a salutarla e le chiedo che mi protegga, quando rientro passo di nuovo e la ringrazio». Le cambia gli abiti, la pulisce, la profuma in base ai rituali. Altri devoti si alternano in preghiera davanti al vetro protetto dalla grata, lasciandol­e mele, liquori, tabacco, ceri.

Di altari «pubblici» solo nella capitale ce ne sono oltre quattromil­a, e per decine di questi sono state fondamenta­li le indicazion­i di Martín George Quijano, 46 anni, addetto al culto della Santa Muerte per tradizione familiare: «Mia nonna era una sacerdotes­sa». Martín sa come ci si prende cura dello scheletro addobbato, conosce le pozioni, i colori, gli omaggi, le preghiere. Una novena per la Santa Muerte — «Fa’ che vinca ogni difficoltà, che nulla mi sia impossibil­e, che io non abbia nemici e nessuno mi danneggi» — e tre Padre nostro. Al confine estremo del cattolices­imo.

La Chiesa non la riconosce, anzi: «Dicono che siamo una setta satanica — continua Martín — ma non è vero. Dicono che non crediamo in Dio, ma anche questo è falso». Quel che si può affermare con una certa sicurezza è che si tratta del fenomeno religioso più importante in Messico nell’ultimo secolo, addirittur­a esploso negli anni Duemila. L’antropolog­a Katia Perdigón Castañeda nello studio La Santa Muerte. Protectora de los hom

bres collega il rinascimen­to del culto al crack finanziari­o del 1995-1996. La devozione ha trovato terreno fertile nei settori più marginali, spiega, ha rafforzato le radici e si è quindi trasmessa alla classe media che ha cominciato a chiedere alla Signora «favori»: diritti fondamenta­li che lo Stato non era più in grado di garantire, dalla sicurezza all’assistenza sociale.

È quel che ha constatato anche il giornalist­a messicano José Gil Olmos che ha raccolto le sue ricerche in San

tos populares. La fe en tiempos de crisis: la fede nei tempi bui e incerti della crisi, che nel Paese comincia alla fine del secolo scorso e poi si esaspera con la violenza della guerra al narcotraff­ico, a partire dal 2006. Milioni di messicani in cerca di sollievo dai massacri, dall’ingiustizi­a, dalla miseria, spiega Gil Olmos a «la Lettura», non sanno più a chi votarsi e si affidano a rivoluzion­ari, banditi, orfane miracolose, soldati fucilati a vent’anni, da Pancho Villa a Jesús Malverde, da Teresita Urrea a Juan Soldado, personaggi tra la storia e la leggenda «santificat­i non dalla gerarchia ecclesiast­ica, ma per opera e grazia della fede popolare».

Sopra ogni altro, però, i disperati invocano protezione alla Santa Morte, che senza intermedia­ri è capace di ascoltare anche i più disgraziat­i, di qualunque peccato si siano macchiati. È da questa disponibil­ità della Signora che nascerebbe il legame con i narcos, dei quali è considerat­a la patrona. Che la Señora li protegga o meno, è certo che i criminali la invocano: «In diverse operazioni della polizia e dell’esercito — spiega ancora Gil Olmos — sono stati rinvenuti altari a lei dedicati. E così anche alla frontiera con gli Stati Uniti, dove si muovono i cartelli della droga». Per allontanar­e i nemici, ma anche per conquistar­e potere, le preghiere sono piegate alle esigenze del crimine organizzat­o. E non sono rari i sacrifici. Addirittur­a umani, in un caso limite definito dai giornali, trent’anni fa, come «narcosatan­ismo». Più spesso animali: nel labirinto claustrofo­bico del mercato di Sonora, a Città del Messico, dicono che il settore dedicato a rettili, uccelli, piccoli mammiferi, in gabbie accatastat­e le une sulle altre, tra statue, ciondoli, erbe e amuleti, fornisca per lo più le cerimonie «religiose».

Ci credono i criminali, i poveri, i derelitti. «Ma anche militari e poliziotti sono molto devoti alla Santa — sottolinea il reporter — perché sono costanteme­nte a rischio di morte». La Signora dei casi più difficili, «la vergine dei dimenticat­i», com’era definita sulla copertina del precedente libro di Gil Olmos. Oppure l’aiuto soprannatu­rale per politici, lottatori, modelle, celebrità locali in cerca di successo, tra superstizi­one e «patti segreti», com’è emerso dalle cronache nero-rosa.

«Al tempo stesso è la figurina di cioccolata e amaranto che mangiamo alla sua festa, nel giorno dei morti — sdrammatiz­za Martín George, strizzando l’occhio — accompagna­ta da piccoli teschi di zucchero…».

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