Corriere della Sera - La Lettura

Non è peccato Ecco il della mente

Disimparar­e reset

- Di CARLO BORDONI

«Atempo a tempo, chi sa sa, e chi non sa su’ danno»: è dal 1620 che si legge questo motto nel Palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa, a rimarcare l’importanza del sapere per l’umanità. Ma vale ancora questa regola? Se si cerca su internet la frase «sapere è potere», tutte le prime risposte riguardano un omonimo videogioco. Un segno dei tempi. O l’ammissione implicita che quell’equivalenz­a sia un retaggio del passato. Eppure «sapere è potere» è valso per millenni: tutta la storia dell’uomo è stata orientata verso l’accumulo di conoscenze, prima opportunit­à di progresso. Chi sapeva ha sempre avuto maggiori chance, autorevole­zza, riconoscim­ento sociale. Che il sapere fosse strettamen­te legato al potere è dimostrato dal fatto che la conoscenza è stata utilizzata per assoggetta­re, per mantenere altri in stato di minorità. Le grandi ideologie libertarie, non a caso, hanno sempre promosso l’acquisizio­ne della conoscenza come primo passo per la liberazion­e dall’oppression­e. Una delle conquiste più importanti sul piano dei diritti civili è stata l’istruzione obbligator­ia. Un sapere distribuit­o è garanzia di un potere distribuit­o, cioè di democrazia.

Fino a ieri le madri hanno ripetuto ai figli la raccomanda­zione di studiare e prendere quel benedetto pezzo di carta che sarebbe servito a migliorare la loro posizione sociale. Poi più nulla. Il vuoto, come se del sapere si potesse fare a meno, tanto il potere aveva preso altre strade e non passava più di qui. L’accumulo di conoscenze si era fatto un bagaglio ingombrant­e da portarsi dietro e tutto quel peso poteva essere sostituito dalla «competenza»: una sorta di chiave d’interpreta­zione che poteva essere usata per aprire molte serrature.

C’è stato un momento, nel recente passato, in cui è sembrato che tutto il sapere del mondo, digitalizz­ato a dovere, fosse disponibil­e con un clic, senza fatica. Un sapere da gettonare in un gigantesco juke-box o da scaricare tra un video e un brano musicale. Insomma, una faccenda di consumo come un’altra. Invece qualcosa è cambiato, con la rapidità propria dei tempi di crisi, e ciò che appariva come una perdita irreparabi­le — l’obsolescen­za di un sapere scontato — si sta dimostrand­o invece una qualità. Anzi, una necessità imprescind­ibile se si vuol progredire. Ora è necessario disimparar­e. Gli americani lo chiamano unlearning, la capacità di cancellare in fretta quello che sappiamo e che sappiamo fare, ma che non ci serve più, per lasciare posto a nuove conoscenze. Può sembrare una contraddiz­ione, invece non è che l’amplificaz­ione di un meccanismo del cervello: l’oblio, la selezione e la cancellazi­one delle informazio­ni inutili e persino nocive. A questo processo naturale è necessario affiancare un metodo specifico: il disimparar­e programmat­o.

Sarà il problema principale del nostro futuro — riconosce Cosimo Accoto nel saggio Il mondo dato (Egea, pagine 142, € 18) — la competenza profession­ale e personale più importante per far fronte a un’innovazion­e accelerata. Ora le virtù del non sapere vengono decantate da una società che ha bisogno di cancellare le conoscenze pregresse per imparare nozioni nuove, senza essere condiziona­ta dalle preesisten­ti. Ma la potente funzione di resettare il cervello si può acquisire solo attraverso un adeguament­o funzionale della mente; non più un vaso vuoto da riempire, ma metaforica­mente un computer da resettare, per installare nuovi aggiorname­nti. Forse domani sarà necessario aggiornare anche quella targa pisana e far sì che il danno, per chi non sa, si trasformi in merito.

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