Corriere della Sera - La Lettura
Una cantina scavata quasi tutta nell’aldilà
Roberto Amato viola gli schemi e disegna una geografia in un nosocomio
Le attitudini terrestri di Roberto Amato è un libro difficile da rubricare. L’autore non si affida a nessun linguaggio poetico prestabilito, a nessuna convenzione metrica, a nessuno schema compositivo sperimentato. Forse l’unica disposizione riconoscibile è quella in direzione della discorsività: il verso si allunga, la voce che parla intende spiegare, rendere conto, ma anche rivendicare il suo peculiare destino. Ma la poesia sembra trovarsi proprio nella condizione di arresto, cioè nell’argine opposto alla spinta all’affabulazione. Dunque nel desiderio di concisione, nella scelta di non sprecare comunque le parole.
Il cosiddetto io poetico parla al presente della propria realtà e della regolamentazione della sua stessa vita dall’interno di un nosocomio. Soprattutto, parla per contrapporre il proprio mondo, legato senza soluzione di continuità alle attitudini terrestri dell’infanzia, al sistema di valori impersonato dal Dottore. Di qui la determinazione, la coerenza metaforica, la legislazione tutta personale eppure rigorosissima delle sue parole.
Questo libro, che conserva comunque un residuo misterioso e insondabile, potrebbe leggersi come una storia di formazione mancata. Il protagonista, infatti, è assolutamente renitente. Fin dall’inizio (tutta la seconda parte è dedicata alla rievocazione di episodi e scenari dell’infanzia) la sua esperienza è stata non prevista, fuori norma. Ed è proprio qui che il suo immaginario mostra integrità. «A un certo punto dissi che ci sarebbe voluta una rivoluzione copernicana/ per capire la posizione del sole, dei lampadari, delle sveglie»: ciò che viene rivendicato è un intero sistema di orientamento, una diversa cartografia esistenziale, che l’internato dalla sua cella riconosce come la propria prerogativa.
Principi, coordinate, prospettive, allora, si scambiano le parti, entrando in una condizione di reversibilità inedita: interno-esterno, luce-buio, dentro-fuori, sogno-veglia, infanzia-maturità («Qualche volta ho sognato che la casa non aveva fondo,/ che la cantina era scavata quasi tutta nell’aldilà»).