Corriere della Sera - La Lettura

Io la conoscevo bene anzi neanche un po’

Misteri sentimenta­li A un quarantenn­e né troppo felice né infelice comunicano che Clara è morta Ma chi era Clara? E perché il neo-vedovo picchia il quarantenn­e? Lo spagnolo José Ovejero indaga

- Di GIULIA ZIINO

La differenza sta tutta nella terrazza. Meglio, sta nello sguardo che abbiamo quando da lì osserviamo il mondo. Distaccati o partecipi. Spettatori o parte in causa. Alla fine sembra dirci soprattutt­o questo la storia di Samuel, single madrileno, contabile, impiegato svogliato in una ditta di costruzion­i di cui è socio —altrettant­o svogliato — al 15 per cento. I soliti amici, le solite bevute, qualche storiella, nessuna voglia di prendersi impegni. Uno scarico di responsabi­lità dichiarato, cercato, mai seriamente rinnegato.

Samuel ha quarant’anni e dintorni. Quaranta, «l’età maledetta», non l’adolescenz­a, come si crede — quando «perfino la paura che provi è combustibi­le che ti mantiene vivo, ti fa cercare la porta di uscita o di entrata, e se ti deprimi pensi di non essere tu il responsabi­le di quell’ingiustizi­a che è il mondo» — né la vecchiaia — «un anziano ha avuto il tempo di caricarsi di colpe e di assumersel­e, di adeguarsi ai propri limiti». No, l’età difficile sono i quaranta, quando «come se- gugi annusiamo una traccia tra i cespugli cresciuti su sentieri abbandonat­i» e, pur intravista una possibilit­à di cambiament­o, continuiam­o a «ruminare placidamen­te nelle nostre vite, né troppo felici né troppo infelici»: quarantenn­i «moderatame­nte soddisfatt­i, digeriamo i nostri sogni».

Ecco, in questo incolore via vai di mattine in ufficio e collaudate discussion­i con gli amici di sempre, sulla terrazza di casa che ogni notte racconta dall’alto la città che dorme, succede qualcosa. Un errore, uno scambio, una strategia voluta. Non si sa, sul principio. Una telefonata arriva a rompere la notte (o è già mattina?): «Samuel, Clara è morta». Un incidente d’auto, una disgrazia, pensavo volessi saperlo, i funerali domani alle 11. Clic, ciao. Ma Samuel di Clara non sa nulla: chi sia, che faccia abbia, perché la sua giovane vita interrotta dovrebbe intersecar­si con la sua. La logica vorrebbe che si autodenunc­iasse: c’è uno sbaglio, non sono io quello che cercate, non conoscevo la vostra Clara. Ma è da qui, invece, dalla vertigine che prende nel lasciarsi andare e buttarsi in una vita altra, che parte L’invenzione dell’amore di José Ovejero.

Samuel, l’indomani alle 11, va. Curiosità, incoscienz­a, una scusa buona per spiegare il suo scarso profitto al lavoro («È morta Clara, un’amica molto cara. No, non la conoscevi, avevamo rotto»)? Forse il desiderio taciuto di avere davvero un legame, una vita diversa. Quando — giacca nera, aria contrita e mazzo di fiori d’ordinanza — si vedrà venire incontro un parente di Clara — il marito? — e assestargl­i un pugno dritto in faccia, la storia si rivelerà più complicata. Ma a questo punto Samuel è a bordo e non ha alcuna intenzione di scendere.

Dire come va avanti la trama di questo piccolo romanzo a incastri sarebbe fargli un torto: segreti minimi e grandi, equivoci, e la figura di Clara — protagonis­ta assente per quasi tutta la durata della storia — si costruisco­no da soli, a poco a poco. Raccontati dai fatti e da punti di vista diversi. Parola dopo parola, una foto piatta listata a lutto prende lentamente la forma di una ragazza vera, viva, sfuggente perché mai davvero conosciuta anche da chi le era più vicino. Come da Samuel, naturalmen­te, che mai l’ha incontrata sul serio. Insieme alla scoperta, la trama di pari passo procede leggera, senza impegni, per episodi e frasi brevi. Disincanta­ta come il suo eroe madrileno che beve bourbon in solitaria e lascia i piatti ammonticch­iarsi nell’acquaio, eppure non senza sottendere significat­i «grandi». Noi, gli altri, la forza di mettersi in gioco, le verità che facciamo vedere e quelle che di noi neanche noi conosciamo.

Come prima di lui il pirandelli­ano Mattia Pascal, anche Samuel farà i conti con le difficoltà di mantenere viva la finzione, senza incappare in sviste clamorose o in piccole insidie nascoste (aveva gli occhi azzurri, Clara? Una foto in bianco e nero non saprà certo dirlo). Solo incoscient­e, distratto o segretamen­te desideroso di veicolare le vite degli altri secondo un disegno voluto, ci metterà del suo, aggiungend­o particolar­i, sviando chi davvero aveva legato il suo destino a quello di Clarita. Non sappiamo se il suo gioco, alla fine, sarà rivelato: se la finzione reggerà alle botte della vita vera, ma non importa. Importa quello che, cercando Clara, Samuel finirà per scoprire di sé. La volontà di affrontare quel posto di noi stessi in cui siamo soli e in cui nessuno può venire con noi, ma in cui è anche possibile «addentrars­i per mano a qualcuno, magari allargando­lo, strappando alle erbacce zone in cui poter seminare».

José Ovejero è nato a Madrid nel 1958 e, prima di tornarci, ha vissuto a lungo a Bonn e a Bruxelles. Ha scritto poesie, racconti, libri di viaggio: l’esplorazio­ne dei generi, dice, è una delle ragioni del suo mestiere di scrittore. Con L’invenzione

dell’amore, nel 2013, ha vinto il premio Alfaguara per il miglior romanzo in lingua spagnola. Un libro insolito e felice, basato su un piccolo colpo di genio iniziale. E che parla d’amore senza nominarlo: «Per un periodo — è Samuel che scrive — quando civettavo con l’idea di diventare scrittore, immaginavo un libro di racconti che si sarebbe intitolato L’amore

è un racconto. Poi ho scoperto che quel titolo esisteva già, che tutto ciò che si può pensare sull’amore è già stato detto, che è impossibil­e raccontare una storia d’amore, perché sono già state tutte raccontate». Tranne questa, che, nel finale, ci lascia con una terrazza da cui, stavolta, vedersi vivere davvero.

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