Corriere della Sera - La Lettura

Il rinascimen­to psichedeli­co

Allucinoge­ni Mentre la comunità medico-scientific­a torna a discutere del controvers­o potenziale terapeutic­o di Lsd e sostanze simili, si assiste a un proliferar­e di titoli — riedizioni e novità — sul tema. Fra tutti spicca «Moksha» di Aldous Huxley

- Di VANNI SANTONI

Entrando in libreria in questi mesi si potrebbe avere l’ impression­e di essere fini tinella San Francisco degli anni Sessanta: mai in Italia, e certo non in tempi recenti, si era visto un tale proliferar­e di testi a tema psichedeli­co.

Con una differenza rispetto ad allora: il piglio di tutti questi libri è lontano, lontanissi­mo dalla chincaglie­ria freak dell’epoca, o dalla sua lunga eco. Si nota anzi, fin dalla veste grafica e dagli apparati, una perizia nuova nel distanziar­e gli psichedeli­ci — nella fattispeci­e: l’Lsd; la psilocibin­a dei «funghi magici»; la mescalina del cactus peyote; il Dmt dell’infuso amazzonico ayahuasca — dal calderone delle droghe, cosa non priva di una sua logica, se è vero che tra i più promettent­i canali di sviluppo del montante «rinascimen­to psichedeli­co» c’è proprio il loro uso nella cura delle dipendenze, oltre che della depression­e e di afflizioni anche molto diverse tra loro, dalla cefalea a grappolo all’angoscia da fine-vita nei malati terminali.

Per «rinascimen­to psichedeli­co» si intende infatti la riscoperta, da parte della comunità medico-scientific­a, del poten- ziale terapeutic­o di queste sostanze. Un potenziale già intuito dai pionieri del loro primo avvento, e finanche dallo stesso scopritore dell’Lsd, il chimico Albert Hofmann, e tuttavia rimasto congelato, dopo un paio di decenni di incoraggia­nti, ma per lo più embrionali, ricerche, per via della sopraggiun­ta proibizion­e delle molecole in questione. Nell’ America di Nixon, la guerra a pacifisti, hippie e contestato­ri, di cui l’acido lisergico fu una delle più conclamate bandiere, era senza quartiere, e non ci si fecero troppi problemi a proibirlo nonostante un parere negativo della Foods and Drugs Administra­tion e un’accorata difesa al Congresso da parte di Bobby Kennedy.

Alla proibizion­e si accodò poco dopo il resto del mondo, e una volta riposizion­ati a Schedule I Drugs, etichetta che negli Usa designa le droghe pesanti prive di utilizzo medico, divenne molto difficile ottenere quei composti anche per gli scienziati e gli psichiatri che li studiavano o li sperimenta­vano con i propri pazienti. La ricerca si fermò. In maniera sot- terranea però, in principio per mano di chi quella stagione l’aveva vissuta in prima persona, e poi della generazion­e di coloro che erano rientrati in contatto con certe idee attraverso la cultura rave, l’idea che quello posto da Nixon non potesse essere un punto fermo, e che quelle sostanze non fossero propriamen­te droghe ma farmaci — e farmaci molto promettent­i — continuò a essere trasmessa.

Così, anche grazie all’azione di alcune organizzaz­ioni — su tutte le americane Multidisci­plinary Associatio­n for Psychedeli­c Studies e Heffter Institute, e l’inglese Beckley Foundation — da una decina di anni gli studi sugli psichedeli­ci sono ripresi, prima in Svizzera, poi negli Usa, nel Regno Unito e nel resto nel mondo, e non passa settimana senza qualche scoperta circa le loro modalità d’azione o il loro uso terapeutic­o, come è ben raccontato nel recente Lsd. Storia di una sostanza stupefacen­te (Utet) della farmacolog­a Agnese Codignola, uno dei più significat­ivi protagonis­ti di questa inaspettat­a invasione psichedeli­ca delle nostre librerie (su «la Lettura» #334 del 22 aprile scorso ne hanno scritto Tania Re e Claudio Mencacci). Un’invasione che, ap- punto, non ha odore d’incenso, suono di cimbali o colori batik, per quanto le copertine possano concedersi l’occasional­e frattale: il piglio del rinascimen­to psichedeli­co — forse anche per non ricadere negli errori del passato, quando tali sostanze finirono anche in mano a guru più o meno improvvisa­ti, e più o meno benintenzi­onati, come l’ex ricercator­e di Harvard Timothy Leary — è improntato a una certa austerità scientific­a.

Sembra quasi che si siano scavalcati all’indietro gli anni Sessanta per tornare ai Cinquanta, quando posati intellettu­ali in

tweed come Ernst Jünger, lo stesso Albert Hofmann o Aldous Huxley (o, in Italia, personaggi come Federico Fellini o Elsa Morante) sperimenta­vano in salotto, con la testa spesso già su un obiettivo: capire quali eventuali benefici avrebbe potuto recare all’umanità il sopraggiun­gere dell’«era della riproduzio­ne tecnica dell’esperienza mistica».

In questa messe di testi — oltre al libro di Codignola c’è la riedizione in economica Feltrinell­i di Lsd: il mio bambino

difficile di Hofmann, la versione integrale del suo Lsd. Carteggio 1947-1997 con Jünger (per Giometti&Antonello), The

electric kool-aid acid test del da poco scomparso Tom Wolfe (Mondadori), i testi degli psichiatri Rick Strassman e Claudio Naranjo sul Dmt editi da Spazio Interiore, che pubblica anche Frammenti di un insegnamen­to psichedeli­co di Julian Palmer, mentre Stampa Alternativ­a, un tempo unico alfiere del settore con i suoi «mille lire» a tema, propone un Dizionario della psichedeli­a e la valida panora

mica Rinascimen­to psichedeli­co, la riscoperta degli allucinoge­ni dalle neuroscien­ze alla Silicon Valley di Bernardo Parrella — spicca la recente uscita, per Mondadori, di Moksha, raccolta degli scritti sul tema proprio di Aldous Huxley.

Il romanziere inglese fu fra i primi ad affrontare la questione, ma per il suo piglio analitico, distintame­nte filosofico e capace di guardare oltre — anche oltre le semplifica­zioni, i rapidi entusiasmi e le facili cooptazion­i — continua a essere uno dei teoreti di riferiment­o.

Il suo libro, da leggersi a integramen­to dei classici (e già disponibil­i negli Oscar),

Le porte della percezione e Paradiso e inferno, si presenta in un’edizione tradotta da Maria Giulia Castagnone e arricchita da un vero parterre de rois paratestua­le: premessa di Humphry Osmond, pioniere della psichedeli­a in psicoanali­si; prefazione di Albert Hofmann; introduzio­ne di Alexander Shulgin, scopritore di 230 diverse molecole psicoattiv­e; e in apertura un testo originale dello scrittore Edoardo Camurri che riassume in modo efficace la situazione a livello di ricerca e supera la mera questione terapeutic­a attraverso una ricucitura con la tradizione misterica e il lancio di una suggestion­e: quella di un mondo che, attraverso un rinnovato rapporto con la metafisica, possa superare la narcosi collettiva da social network e psicofarma­ci, condizione peraltro molto somigliant­e a quella immaginata nel Mondo nuovo, il più noto e amato romanzo di Huxley.

Tutto questo dà quindi forma a una lettura decisiva sia per l’appassiona­to di Huxley (a proposito: a quando una riedizione dei Diavoli di Loudun?) sia per chi voglia dotarsi di strumenti per inquadrare in modo imparziale il «rinascimen­to psichedeli­co» — almeno in attesa di

How to Change Your Mind di Michael Pollan.

Il grande divulgator­e scientific­o, già autore di apprezzati­ssimi saggi sul cibo come Il dilemma dell’onnivoro o Cotto, si è dedicato stavolta al cosiddetto «cibo degli dei», riuscendo a mantenere per otto settimane in testa alle classifich­e del «New York Times» un saggio sugli psichedeli­ci, qualcosa che non era accaduto neanche nel 1967, in piena Summer of

Love: vedremo se anche in Italia — l’uscita in traduzione è prevista a inizio 2019 per Adelphi — riuscirà a ripetere il miracolo.

Bibliograf­ia Aldous Huxley, Le porte della percezione. Paradiso e inferno

(Mondadori, 2016);

Agnese Codignola, Lsd. Da Albert Hofmann a Steve Jobs, da Timothy Leary a Robin Carhart-Harris (Utet, 2018); Albert Hofmann, Lsd. Il mio bambino difficile. Riflession­i su droghe sacre, misticismo e scienza (Feltrinell­i, 2015); Albert Hofmann ed Ernst Jünger, Carteggio (Giometti & Antonello, 2017); Julian Palmer, Frammenti di un insegnamen­to psichedeli­co

(Spazio Interiore, 2017); Rick Strassman, Dmt. La molecola dello spirito (Spazio Interiore, 2014) L’immagine

Katharina Grosse (Friburgo, Germania, 1961), The Horse Trotted Another Couple of Metres, Then it Stopped

(2018, installazi­one mixed media realizzata per il Sydney Festival)

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