Corriere della Sera - La Lettura

Sorpresa! Hito Steyerl è l’artista più influente del mondo

Protagonis­te È la prima donna in vetta alla lista di «Art Review», una mostra a Rivoli e un libro si preparano a celebrarla in Italia. Ecco un ritratto della regista più apocalitti­ca (e un po’ integrata) che pensa i video anche come azioni di guerriglia.

- Di VINCENZO TRIONE

Vi apprestate a leggere un’intervista quasi assurda. Ne è protagonis­ta Hito Steyerl. Non una tra le celebrity dell’arte. Anche se il suo nome risulterà poco familiare, Steyerl è diventata nel 2017 la prima donna in vetta alla Power List — che cataloga le cento personalit­à più influenti nell’arte contempora­nea — della rivista britannica «Art Review».

Qualche mese fa ci siamo messi in contatto con questa irraggiung­ibile artista tedesca dai tratti orientali, che vive a Berlino, dove insegna New Media Art alla Universitä­t der Künste. Le abbiamo chiesto di raccontars­i a «la Lettura». L’occasione: i suoi prossimi appuntamen­ti italiani. Il 31 ottobre il Castello di Rivoli le dedicherà un’ampia personale (curata da Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio), che ruoterà intorno a una sinfonia dissonante fatta di registrazi­oni sonore alterate: vi si documenter­à il processo di addestrame­nto di alcuni dispositiv­i di intelligen­za artificial­e, che dovranno «imparare» a riconoscer­e il rumore di fi- nestre rotte. Sempre in autunno l’editore Johan&Levi pubblica il nuovo libro di Steyerl, Duty Free Art, nel quale, insieme con contributi inediti, sono radunati interventi usciti sulla rivista online «eflux». Quasi un manifesto di poetica, dove l’autrice, intreccian­do riflession­i critico-filosofich­e e meditazion­i sociologic­he, indaga sulla «guerra civile planetaria» in atto. Qual è il senso del fare arte in uno scenario segnato da diseguagli­anze e digitalizz­azione globale? Com’è possibile creare opere quando i produttori di armi sponsorizz­ano i musei e quando spesso quelle stesse opere sono trattate come valute nel mercato finanziari­o? E ancora: cosa sono diventate oggi le istituzion­i artistiche? Muovendo da queste domande, Steyerl si confronta con luoghi eterogenei — videogame e Wikileaks, fake news e web, tecnologie 3D e forme di controllo — per un progetto estetico anti-convenzion­ale.

La mostra torinese e la pubblicazi­one di Duty Free Art sono spunti stimolanti per accostarsi a una ricerca difficile da in- terpretare. Che sembra svelare l’identità di un’artista abile nel vivere le contraddiz­ioni della sua epoca e, insieme, sapiente nel porsi criticamen­te nei confronti di alcuni miti di oggi. Steyerl — per riprendere le oramai classiche categorie coniate da Umberto Eco — riesce a essere insieme «integrata» e «apocalitti­ca».

Integrata, innanzitut­to. L’artista che entra da protagonis­ta nell’art system (dalla Documenta di Kassel a Manifesta, alle Biennali di Venezia e di Shanghai). E, inoltre: l’artista che sceglie di agire come un «mediatore», intenta a lavorare con e come i media, pronta a disegnare reti di relazioni e di opportunit­à, in un serrato dialogo con il suo ambiente e con il suo tempo. Steyerl somiglia a quei «semionauti» di cui ha parlato il critico Nicolas Bourriaud, che si destreggia­no tra i segni dell’attualità, «mettendo in collegamen­to un mondo a un altro, una forma a una narrazione»: motori di ricerca che navigano tra «gigantesch­e masse di informazio­ni, in un contesto culturale caratteriz­zato dall’iperproduz­ione, dalla moltipli- cazione dei formati espressivi». Sono nati così lavori concepiti come campi di battaglia che, sovente, nascono da lecture-performanc­e dal ritmo ipnotico: leggendo un testo, l’artista interagisc­e con sequenze live di video. Immagini e testi sono sincronizz­ati. Questo materiale, poi, viene registrato e diventa parte di videoinsta­llazioni nelle quali confluisco­no documentar­i, riprese dal vero, frame generati dal computer. E soprattutt­o quelle immagini «povere», «a bassa intensità», cui Steyerl ha dedicato un acuto saggio nel 2009: immagini bastarde, degradate, illecite, inintenzio­nali, di dubbia origine, facili da diffondere, al di là della logica del copyright.

Per combinare questi episodi, Steyerl recupera, decostruis­ce e reinventa la tradizione del documentar­ismo insieme con quella del cinema d’animazione. Incalzante il ritmo dei suoi palinsesti visivi: veloci connession­i, fulminanti associazio­ni di idee. Giochi tra zoomate in profondità e inattesi campi lunghi. Frequente il ricorso a un «montaggio delle attrazioni», che consente il collegamen­to tra fotogrammi differenti e distanti. Vi si affrontano alcune urgenze della tarda modernità: l’ipercomuni­cazione, i big data che rischiano di sommergerc­i, il flusso di informazio­ni ridotte a slogan. E poi: il «circolazio­nismo», che allude al potere di certe immagini diffuse e moltiplica­te nel web. E infine: la speculazio­ne finanziari­a, la precarietà del controllo e della sorveglian­za, il trionfo di un’economia opaca, la militarizz­azione della società, «la violenza della democrazia e la democratiz­zazione della violenza».

Poi, c’è Steyerl l’apocalitti­ca. Che non si limita a testimonia­re. Pensa le sue videoinsta­llazioni come esercizi di attivismo critico, di guerriglia intellettu­ale. Le sue sono riflession­i intransige­nti sulle strutture della politica, sulle ingiustizi­e e sulle oscurità della nostra civiltà, di cui viene mostrato il volto più perturbant­e con uno sguardo lucido: le alienazion­i, il predominio delle multinazio­nali, il controllo delle idee.

Immersa in questa Babele, per continuare ad avere un significat­o, l’arte, suggerisce Steyerl, deve farsi pratica insurrezio­nale, duty-free. Non pagare nessun dazio ai potenti e al sistema dei musei e delle gallerie. Non lasciarsi sottomette­re al «dovere di rappresent­are la cultura di una nazione o qualche altro interesse coinvolto nella presentazi­one e produzione».

Da un lato dunque, per dirla con le parole dell’epilogo de Le città invisibili di Italo Calvino, Hito Steyerl sembra accettare l’inferno, diventando­ne parte. Dall’altro lato, vuole riconoscer­e «chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Intorno a questi argomenti avevamo inviato a Steyerl alcune domande, cui ha replicato dopo qualche tempo. In maniera tranchant, non di rado infastidit­a. Indossando gli abiti di una specie di Sibilla cumana dell’arte, ci ha consegnato evasive non-risposte. Ecco l’intervista, nella pagina qui accanto.

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