Corriere della Sera - La Lettura
«Faccio solo cose che trovo stimolanti Il resto è gossip, e
Non mi interessa »
«Non esiste nessuna connessione tra le mie conferenze-performance e quelle di Beuys».
L’altro autore che mi sembra abbia esercitato una rilevante influenza sulla sua ricerca è Jean-Luc Godard. I suoi lavori presentano un flusso visivo all’interno del quale si incontrano e si sovrappongono realtà e finzione. È quel che accade anche in alcuni film recenti di Godard: film elettrici, «radioattivi», estremi. La sfida di Godard: forzare i limiti del cinema. Quanto ha contato per lei il modello-Godard?
«Tantissimo».
Il terzo autore è Harun Farocki. I suoi film e le sue videoinstallazioni affrontano difficili e brucianti tematiche legate all’attualità: sorveglianza, alienazione sul posto di lavoro, cultura della protesta. Quanto ha influito la lezione di Farocki sul suo percorso?
«Persino più della lezione di Godard. E in modo più intimo, più profondo».
Poi, vorrei citarle Theodor W. Adorno. Che è stato tra i primi a interrogarsi filosoficamente sul rapporto tra l’arte e le arti e sulla necessità di ridefinire in maniera radicale i confini tra i linguaggi. Anche le sue opere sembrano porsi al di là delle barriere che separano cinema, performance, insegnamento, teoria dell’arte. L’identità dell’artista contemporaneo, secondo lei, risiede proprio in questa perdita del centro?
«Non saprei rispondere. Non ho idee a riguardo. Non mi interessa parlare dell’identità dell’artista contemporaneo. Per quel che mi riguarda, faccio solo “cose” che trovo affascinanti e stimolanti».
Che rapporto esiste tra la sua attività artistica e la sua attività teorica? Oggi gli artisti tendono sempre meno a teorizzare e a scrivere. Avverte la necessità di recuperare la tradizione delle avanguardie, animate da personalità che amavano coniugare l’avventura creativa con l’elaborazione concettuale?
«Non ho voglia né bisogno di recuperare niente del passato. Se ho voglia di scrivere, lo faccio. Semplice. Non ci sono altre ragioni».
E ancora: Wim Wenders, di cui è stata assistente. Quanto ha inciso il lavoro documentaristico di Wenders sul suo sguardo, che è attento a decifrare i lati più inquietanti del presente?
«Non tanto».
I maestri di cui abbiamo parlato hanno orientato la sua idea dell’arte come esperienza politica, civile, militante?
«Devo molto di più a Gerda Taro che a questi autori. A Martha Rosler. E ad Hannah Arendt. Noto che molti critici come lei tendono a mappare e a descrivere le pratiche delle artiste mettendole in relazione solo con quelle degli artisti e immaginando una relazione tra discepoli. Non ritengo che questo atteggiamento interpretativo sia necessario né che contribuisca a una comprensione più autentica e profonda dell’opera d’arte».
Infine, alcuni concetti-chiave intorno ai quali si muove la sua poetica. Partirei dalla nozione di immagini povere.
«Quel tipo di immagini non esiste più. L’alta definizione in 4k è il nuovo standard».
Altri concetti per lei decisivi: «circolazionismo» (che indica la circolazione delle immagini tra mondo reale e mondo digitale, in modo che acquistino un potere e una influenza crescenti), «junktime» (che indica l’esperienza distratta e frammentaria del tempo), «duty-free art» (che indica l’opera d’arte libera da vincoli e da sudditanze).
«Li considero ancora validi per decifrare quello che sta accadendo oggi».
Riflettendo proprio intorno a queste idee — immagini povere, circolazionismo, junktime e dutyfree art — lei ha affrontato il dialogo tra l’arte e il web. In che modo, secondo lei, l’arte può conservare un ruolo e una funzione in quella sorta di Aleph borgesiano che è la Rete?
«Gli artisti hanno sempre trovato un modo per esistere e per resistere. Ma, al momento, la Rete, sfortunatamente, è ancora troppo tossica. E, poi, credo che le persone preferiscano sempre le relazioni personali e umane per confrontarsi, per conoscersi».
Un’ultima domanda. Come riesce a saldare la sua inclinazione da contestatrice con la sua presenza centrale nell’artworld (confermata dalla classifica di «Art Review»)?
«Per me, quelle classifiche non valgono nulla. Sono gossip. Nient’altro. Gossip inutile e superfluo. E io sono palesemente disinteressata al gossip». (v. tr.)