Corriere della Sera - La Lettura
Siamo il sogno che vorremmo sognare
1988-2018 Trent’anni fa Armando Punzo, drammaturgo e regista, portava il teatro nel carcere di Volterra. Nasceva la Compagnia della Fortezza. Che celebra il compleanno con uno spettacolo e un evento site-specific ispirato a Borges
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Tutto è cominciato trent’anni fa con uno sguardo alla Fortezza Medicea, arroccata sul punto più alto del colle su cui sorge Volterra, che da secoli ospita un carcere. «Venivo dall’esperienza finita con il Gruppo Internazionale L’Avventura — ricorda Armando Punzo, regista e drammaturgo, anima della Compagnia della Fortezza —, mi interrogavo sul futuro. Volevo continuare a fare teatro, a lavorare con gli attori: ma fuori dai sistemi di produzione ufficiali. Cercavo un nuovo inizio, il carcere sembrava offrirne uno». Fece domanda al comune di Volterra, senza grandi aspettative. «La risposta arrivò meno di un mese dopo. Insieme a un piccolo finanziamento della Regione Toscana». Era il 1988 e, per la prima volta, in un istituto di pena considerato ai tempi di massima sicurezza, faceva il suo ingresso il teatro, non come attività creativa di riabilitazione ma come esperienza d’arte e di cultura.
Tre decenni di «teatro in carcere» che Punzo e i suoi detenuti-attori hanno celebrato con una serie di iniziative, tra cui laboratori, incontri, mostre e installazioni, un evento site-specific ( Le rovine circolari, ispirato all’opera di Borges e allestito negli spazi post-industriali della centrale geotermica Enel - Nuova di Larderello, in provincia di Pisa) e un nuovo spettacolo, Beatitudo, andato in scena proprio nella «casa» della compagnia, tra le stanze, i corridoi e il grande cortile della Fortezza. Il 6 e 7 ottobre aprirà la stagione del Teatro Verdi di Pisa in prima nazionale, poi la tournée in tutta Italia. Un’opera con cui Punzo ha affrontato la sfida di rappresentare l’irrappresentabile. Spiega: «Al centro del progetto c’è l’immaginario vertiginoso di Borges, lo straordinario compagno di viaggio che è rimasto con noi negli ultimi due anni di lavoro, un autore che costruisce mondi intangibili, sospesi, illuminati dalla luce del sogno e non della realtà, continuamente messa in discussione e riconquistata sotto forma di possibilità altra». Cuore di Beatitudo «è la “felicità dell’azione” intesa come movi- mento rispetto all’idea di immobilità dell’essere umano, che sembra non voglia mai rischiare nulla. Uno spettacolo sulla possibilità di sognare in un presente sopraffatto dagli incubi. Noi siamo il sogno che vorremmo sognato dagli altri».
Borges rappresenta in qualche modo la sintesi di quelle «architetture dell’impossibile» la cui costruzione, sostiene Punzo, ha non solo reinventato il carcere ma l’idea stessa di teatro come necessità, a prescindere dalle categorizzazioni. «Quando sono entrato per la prima volta in questo luogo di detenzione, ne ho accantonato la stranezza, l’esoticità. Volevo evitare la narrazione del mondo carcerario. Ho detto ai detenuti: non sono né un educatore né uno psicologo, voglio dare vita a una compagnia teatrale. Se vi interessa, sono qui». Reazioni? «Mi hanno guardato un po’ straniti, incuriositi. I primi iscritti erano tutti napoletani, poi hanno cominciato a venire anche gli altri». Ricorda qualcuno in modo particolare? «Nella storia della compagnia ci sono attori che ne hanno segnato il cammino, Costantino Petito è stato sicuramente uno di questi».
Il traguardo dei trent’anni ha rappresentato la realizzazione di un’utopia, un percorso di crescita e affermazione che sembrava impossibile. «Eppure in carcere non disponiamo di uno spazio teatrale — lamenta il regista —, lavoriamo da sempre in un’ex cella di tre metri per nove, dove ogni giorno dalle venti alle cinquanta persone leggono, discutono, elaborano, progettano; oppure d’estate nei cortili, quelli che io chiamo “le piazze della città reclusa”». Nei sei lustri di vita della compagnia sono stati prodotti più di trenta spettacoli, «eppure è evidente che siamo un’anomalia nel teatro italiano. Sarebbe importante che il ministero della Cultura riconoscesse questa anomalia e ci sostenesse con più forza». Invece. «Quest’anno abbiamo subito un taglio ai finanziamenti di 25 mila euro. Non cerchiamo milioni, vorremmo però contare almeno su quanto ci era già stato riconosciuto. Riusciamo a portare avanti quest’esperienza studiata e sostenuta in tutto il mondo anche grazie a piccoli miracoli, come quello che ha coinvolto Acri, l’associazione di Fondazioni e Casse di risparmio: dopo aver assistito a un nostro spettacolo ha deciso di finanziare il progetto nazionale Per aspera ad astra. Come riconfigurare il carcere attraverso la
cultura e la bellezza. Il nuovo, ciò che è fuori dai canoni, è sempre osteggiato. Ma la nostra è un’idea più grande di noi, che
chiede di essere realizzata. Non faremo in tempo a vederla concretizzata compiutamente, ma succederà, come immagina Borges in Rovine circolari: “Voleva sognare un uomo, voleva sognarlo con minuziosa interezza e imporlo alla realtà”».