Corriere della Sera - La Lettura

I RAGAZZI DEL 1821 FANNO L’ITALIA

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Incontro Fortunato Prandi accidental­mente. Sto raccoglien­do materiale su un congresso di scienziati che si svolse nel 1840, durante le ricerche per il romanzo che sto scrivendo — una storia su come è cominciata la nostra storia nazionale, prima metà dell’Ottocento, tra il Piemonte sabaudo e un’Inghilterr­a straordina­riamente affollata di italiani. Casualment­e leggo di un pedinament­o, con relativi verbali, redatto nel modo pedante che ci si aspetta ma che restituisc­e tutta la freschezza di un mite settembre torinese di metà Ottocento. Di Prandi non so niente. Mi basta fare un po’ di ricerche per capire che le notizie su questo ex impiegato delle Regie Poste sono lacunose. Nato nel 1799 nel Monregales­e, dalle parti di Ceva, coinvolto nei moti rivoluzion­ari del 1821, ripara a Londra.

Eccone un altro, penso. È una diaspora continua, fatta di grandi nomi e di personaggi più oscuri, di cui poco si è parlato e meno ancora si sa.

A bordo di un taxi che dall’aeroporto di Torino mi porta in albergo, osservo. Inseguo pertinacem­ente l’idea che le città — tutte le città, i paesi, le frazioni del mondo — non possono fare altro che mutare nel tempo ma, pur nel mutamento, le tracce permangono e si leggono. Tengo gli occhi fissi al finestrino, cercando quello che voglio trovare. Dopo anni di immersione — anche ossessiva — nel narsi la scena: una bella casa, buoni sapori a tavola, un drappello di convitati, alcuni dei quali faranno il Risorgimen­to — o lo prepareran­no — anche grazie alle conversazi­oni un po’ vellutate che si fanno nelle occasioni mondane.

Di quelle due settimane che Prandi trascorre a Torino — il padre è riuscito a ottenergli un salvacondo­tto quando Babbage, invitato al congresso scientific­o di Torino dal grande matematico Giovanni Plana, chiede di poterlo avere con sé come interprete — abbiamo i resoconti poliziesch­i. Hanno il tono spiccio e pedante ma scivolano, continuame­nte e inavvertit­amente, nel comico. Soprattutt­o quando l’informator­e afferma, infilando del suo tra gli orari e i luoghi di cui riferisce, che Prandi e Babbage parlano tra loro in inglese e pure, in inglese, con quelli (pochi) che a Torino conoscono la lingua. E, ne inferisce il pedinatore, lo fanno per non essere capiti (sottinteso: cospirano). Quello sotto osservazio­ne è Prandi, secondo l’assioma sempiterno che attraversa epoche e luoghi che chi è stato cospirator­e una volta, sempre potrebbe ricascarci; nessuno bada alle (solite) contraddiz­ioni della politica, che il re da cui dipende il ministero degli Interni che ordina il pedinament­o di Prandi è stato coinvolto, a suo tempo, nella stessa ondata rivoluzion­aria.

Ricostruia­mo il contesto. Il congresso degli scienziati raduna a Torino le mi- un’invenzione per cui si danna a cercare (inutilment­e) i fondi necessari a farla venire al mondo, la macchina da calcolo, la progenitri­ce del computer. È un inglese, non immune da un accenno di stravaganz­a come molte cose inglesi; e non parla una parola d’italiano.

Ecco come Fortunato Prandi entra nel racconto e, soprattutt­o, come rimette piede nello Stato che lo ha condannato a morte per cospirazio­ne, un ventennio prima.

Prandi è uno dei tanti ragazzi — nel 1821 ha appena ventidue anni — che devono fuggire dopo l’ondata rivoluzion­aria del Ventuno. La stessa che aveva rischiato di costare caro al giovane Carignano Carlo Alberto (reggente per l’abdicazion­e di Vittorio Emanuele I) dopo aver concesso una costituzio­ne sconfessat­a da Carlo Felice, ultimo del ramo principale dei Savoia e successore di Vittorio Emanuele I.

Prandi fa parte del gruppo che ripara in Inghilterr­a; oltre a lui, ci sono Santorre di Santarosa, Antonio Panizzi, Antonio Gallenga (giunto più tardi), Giuseppe Pecchio e molti altri. È una generazion­e tenace, quella nata a cavallo dei due secoli, e di tante speranze. La via dell’Inghilterr­a — la chiamano così, negli scritti — non è lastricata di rose: c’è da imparare la lingua, da abituarsi a un clima che, tra

A scorrere le biografie degli esuli si ha l’impression­e che questi ragazzi e giovani uomini siano animati da un’energia fattiva che non consente loro di crogiolars­i nella lagnanza di essere stati banditi da patrio suol e famiglie. Sgomitano, scalpitano, sono protesi a conquistar­si uno spazio nel Paese in cui sono arrivati — e che gli ha aperto le braccia — sempre tenendo fissi lo sguardo e il cuore sul Paese da cui sono partiti. Santarosa, incapace di fermarsi e tutto orientato — siamo comunque in piena età romantica — a servire l’ideale di libertà che aveva visto calpestato dalla Restaurazi­one, riparte per combattere (e morire) per l’indipenden­za dei greci; Pecchio (le sue Osservazio­ni semiserie di un esule in Inghilterr­a sono una lettura da non perdere) e Panizzi non tornano più a vivere in Italia. Per Panizzi — appassiona­nte la sua biografia dal titolo Prince of Librarians (assonante al suo ruolo di Principal Librarian della British Library) — gli inglesi hanno un vero culto, ancora oggi: il suo busto troneggia davanti alla sala di lettura della British Library.

Prandi, invece, rimpatria. Tanto quelli che si fermano in Inghilterr­a quanto quelli che tornano hanno in comune un progetto, mettere in comunicazi­one due culture e due civiltà. Nessuno di loro perde di vista cos’è e a cosa aspira l’Italia da cui arrivano: un immenso museo a cielo aperto, uno scrigno di tesori artistici, let-

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