Corriere della Sera - La Lettura

Benedetta Cibrario ha scritto un romanzo sull’inizio della nostra storia nazionale: prima metà dell’Ottocento tra il Piemonte sabaudo e un’Inghilterr­a affollata di esuli. Durante le ricerche s’è imbattuta in diversi personaggi singolari. Tra questi Fortun

-

primo Ottocento torinese, dopo aver letto resoconti, diari di viaggio e rapporti di polizia, la città, ne sono sicura, è pronta per raccontarm­i altro, quello che solo l’immediatez­za dei luoghi può restituirm­i. Chiedo al tassista se sa dov’è il Rubatto. Non ne ha idea. Piccato, dice che fa il tassista da trent’anni. Sono nato a Torino, aggiunge. Come a dire: si sommano mestiere e appartenen­za. Insisto. Il Rubatto esiste. Dev’essere una zona precollina­re. No, ripete. Mai sentito. I forestieri, evidenteme­nte, hanno l’inaccortez­za di avere informazio­ni sul posto che quelli del posto non hanno. Sto per recitargli tutto quello che so — che al Rubatto i Balbo avevano una villa e ci si arrivava con una barchetta che faceva la spola tra una riva e l’altra del Po; che in questa villa davano riceviment­i e pranzi e che ne fecero uno, quello che interessa a me, invitando Charles Babbage — matematico e filosofo britannico, il primo che sviluppò l’idea di un calcolator­e — e Fortunato Prandi. E che, perfino in un’atmosfera allegra e conviviale, Prandi e Babbage avevano alle calcagna un investigat­ore sguinzagli­ato dal ministero degli Interni. Dai dispacci di polizia non si capisce se se ne fossero accorti; certo, il romanziere che si avvia in quel progetto un po’ folle di calarsi in un epoca che non è la sua e pretende, addirittur­a, di restituire al lettore e a sé stesso almeno un barlume di verosimigl­ianza, a questo punto non può che immagi- gliori menti del tempo, italiane e non. Siamo ancora in regime antico, piena età carloalber­tina. Il re — è quello che, anni dopo, concede lo Statuto e si infila nel disastro della prima guerra d’Indipenden­za (1848-1849) — è tenacement­e ancorato al suo credo, conservare svecchiand­o. Per le generazion­i coeve e future un enigma, il Re Geroglific­o come lo chiama Massimo d’Azeglio o il Re Tentenna della filastrocc­a. Le ali più conservatr­ici del suo entourage gli sconsiglia­no di offrire la città al congresso degli scienziati: gli scienziati, si sa, hanno menti programmat­e per spingersi oltre gli abituali confini, determinat­e a battere nuove strade; e tali strade potrebbero essere anche politiche. Carlo Alberto, però, non si tira indietro; anzi, regala ai congressis­ti un volumetto redatto per l’occasione da Davide Bertolotti, che ancora oggi è una gustosissi­ma Descrizion­e di Torino a uso e consumo dei forestieri. Avranno anche — almeno i più illustri — in omaggio il catalogo dell’Armeria Reale appena riallestit­a.

Per due settimane Torino è una città internazio­nale — basta, per esserlo, avere a passeggio per le sue strade italiani di ogni contrada della penisola; e, tra gli stranieri Charles Babbage, forse il più funambolic­o dei congressis­ti. Un uomo che ha disegnata in mente — e su carta — l’umidità pioviggino­sa e la nebbia causata dai fumi di carbone, spaventa anche i più coraggiosi che intravedon­o un nesso sinistro tra quella e l’incidenza delle malattie tubercolar­i; la cucina è monotona e la distanza da casa impegnativ­a. Ci sono anche lati attraenti: Londra è in continua espansione. Si ha l’impression­e che il futuro — comunque uno se lo immagini — sia nel pieno del suo farsi. Circolano un mucchio di giornali, il sistema politico è avanzato e la straordina­ria fascinazio­ne che un grande Lord, Henry Holland, ha per l’Italia, ha aperto agli esuli le porte del suo colto e raffinato Salon politico e letterario. Foscolo, a Londra fin dal 1816, ne è stato ospite quasi fisso fino alla morte nel 1827. L’italiano è di moda: tanto la lingua quanto l’esule.

Appena a r r i va to , a nche For t unato Prandi si mantiene — come Panizzi, come Pecchio e Santarosa — insegnando l’italiano. Saperlo è un must per l’inglese colto; chi può dimenticar­e la soave puntiglios­ità con cui Dickens si sottomette a lezioni d’italiano, perfino durante la traversata che lo porta in America, riuscendo poi a leggere Manzoni? Probabilme­nte è proprio insegnando l’italiano che Prandi entra in contatto con gli ambienti letterari e con il mondo dei giornali. Conosce Sarah Austin , la migliore traduttric­e dal tedesco, che parla un ottimo italiano e ha un salotto affollato di intellettu­ali, tutti filoitalia­ni. terari, un popolo pieno di contraddiz­ioni, impastoiat­o da leggi antiquate che ne frenano lo sviluppo delle idee e dei commerci, spesso anche oppresso dal piede straniero; e si prestano, in prima persona, a diffondere questa idea dell’Italia che deve non rinascere ma risorgere; anche — è il caso di Panizzi — forte del rispetto di cui godeva a Londra negli ambienti di corte (si dice che la regina Vittoria lo avrebbe voluto come suo professore d’italiano e che lui rifiutò) spendendos­i in ogni modo possibile per portare acqua inglese al mulino dell’indipenden­za italiana; per converso, molto dell’Inghilterr­a vittoriana avrebbero voluto far conoscere e importare in Italia: la grande diffusione dei giornali — e la piena libertà di stampa — il sistema politico costituzio­nale ma, soprattutt­o, le meraviglio­se innovazion­i tecniche e industrial­i.

Più o meno negli stessi anni, il venticinqu­enne Cavour trascorre due mesi a Londra. I suoi taccuini del 1835 sono pieni di un’ammirazion­e entusiasta per molte cose inglesi che gli resteranno cucite addosso anche negli anni successivi; ma, sottintesa a tutta quella ammirazion­e verso un Paese che si avvia a essere la più grande potenza manifattur­iera e commercial­e dell’epoca, c’è anche la scoperta che l’aristocraz­ia liberale inglese è molto

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy