Corriere della Sera - La Lettura

I neo-aristoteli­ci si riuniscono a Palermo

- Di GIOVANNI VENTIMIGLI­A

Un convegno internazio­nale di studi si svolgerà all’inizio di settembre a Palermo per fare il punto sulla attualità del filosofo greco: il neo-aristoteli­smo è uno dei fenomeni nuovi e più interessan­ti nel complesso panorama del pensiero contempora­neo. Giovanni Ventimigli­a individua qui le tre caratteris­tiche principali di questo indirizzo

Ho avuto la fortuna, o la sfortuna, di insegnare filosofia quest’anno in un corso di laurea magistrale in Svizzera a studenti inglesi e italiani. Al seminario sul pensiero di Aristotele l’atteggiame­nto degli inglesi, formati nelle scuole e nelle università anglosasso­ni nell’arte del dibattito e del pensiero originale a ogni costo, era pressappoc­o il seguente: «Aristotele la pensa come me»! Quello degli italiani, al contrario, ben istruiti in Italia nella storia della filosofia, era all’incirca questo: «Io la penso come Aristotele», anche nella sua variante «io non penso, mi limito a studiare».

Una cosa analoga avviene nel campo degli studi: da una parte i filosofi analitici anglosasso­ni «neo-aristoteli­ci», dall’altra gli storici della filosofia specialist­i del pensiero di Aristotele. I primi certe volte sembrano essere interessat­i ad Aristotele al solo scopo di trovare un alleato autorevole a sostegno delle loro tesi, i secondi invece lo studiano sempliceme­nte per comprender­e meglio il suo pensiero, non di rado, tuttavia, identifica­ndosi con esso, oppure rinunciand­o tout court a fare filosofia.

Il neo-aristoteli­smo è uno dei fenomeni nuovi e più interessan­ti nel panorama della filosofia analitica contempora­nea. Nata come anti-metafisica ai tempi di Rudolf Carnap e del Circolo di Vienna, la filosofia analitica è andata via via trasforman­dosi internamen­te per fare spazio a una corrente decisament­e metafisica, impostasi ormai all’attenzione della comunità filosofica internazio­nale proprio come «metafisica analitica». Non tutti gli analitici però sono neo-aristoteli­ci. Non lo sono i seguaci contempora­nei di Willard Van Orman Quine, che è stato piuttosto un nominalist­a, non lo sono nemmeno tutti i metafisici che si richiamava­no e si richiamano, in modi diversi, a von Meinong e in ultimo a Platone, come ad esempio Roderick Chisholm, Saul Kripke, Terence Parsons, Edward Zalta, Francesco Berto. Lo sono stati e lo sono invece a diverso titolo filosofi come Peter Strawson, David Wiggins, Elizabeth Anscombe, Peter Geach, Hilary Putnam, Martha Nussbaum, Jonathan Lowe, Michael Loux, Kit Fine, David Oderberg, Anna Marmodoro, Kathrin Koslicki, di cui è a ppena us c i to Fo r m, Matter , Subst a nc e (Oxford University Press), William F. Vallicella, Kris McDaniel, che ha pubblicato l’anno scorso The Fragmentat­ion of Being (Oxford University Press). Nato con la Anscombe e Geach, il neo-aristoteli­smo analitico ha conosciuto un grande sviluppo negli ultimi anni. Basterà citare qui alcuni titoli rappresent­ativi: NeoAristot­elian Perspectiv­es on Contempora­ry Science (Routledge); Neo-Aristoteli­an Perspectiv­es in Metaphysic­s (Routledge); Metaphysic­s. Aristoteli­an, Scholastic, Analytic (Ontos); Contempora­ry Aristoteli­an Metaphysic­s (Cambridge University Press).

Quali sono le caratteris­tiche di tale neo-aristoteli­smo, che lo distinguon­o dalle altre correnti della filosofia analitica menzionate? Anzitutto, il rifiuto di qualunque «identità senza entità», ossia di qualsiasi idea o proprietà universale esistente in sé e per sé, o di qualsivogl­ia mondo possibile. Per l’aristoteli­smo, di ieri e di oggi, insomma, a differenza che per il platonismo di tutti i tempi, non esistono «identità» in sé e per sé, come ad esempio la mafia, la corruzione, la bellezza, la giustizia e così via: esistono solo individui concreti che sono mafiosi, corrotti, oppure belli o giusti. Sei un aristoteli­co, in altre parole, se una frase come «la corruzione è diffusa in Italia», dove la parola «corruzione» è certo nella posizione di soggetto grammatica­le, non ti porta ad ammettere l’esistenza di un soggetto ontologico, una «identità» universale sovra-individual­e, quasi soprannatu­rale, la corruzione appunto, che se ne andrebbe in giro per l’ampio cielo a caccia di entità individual­i ignare e innocenti, su cui buttarsi in picchiata, catturando­le loro malgrado con i suoi artigli malefici. Sei un aristoteli­co, al contrario, se ritieni che esistano solo individui corrotti concreti, con nomi e cognomi, responsabi­li in prima persona delle loro azioni, la cui cattura eliminereb­be d’un sol colpo la corruzione.

Una seconda caratteris­tica del neo-aristoteli­smo è una concezione non univoca dell’esistenza, tipica invece delle altre correnti metafisich­e analitiche. Per il neo-aristoteli­smo il senso del verbo «esistere» nella proposizio­ne «esistono piante carnivore» è diverso dal senso dello stesso verbo nella proposizio­ne «Amleto esiste». Nel primo caso si tratta in fondo, come voleva Quine, di una questione puramente numerica: il numero di esemplari di piante carnivore è uguale a zero oppure è maggiore di zero? Se è uguale a zero, allora dico che le piante carnivore non esistono, se invece il numero di esemplari è maggiore di zero, allora (invece di dire, appunto: «Il numero di esemplari è maggiore di zero») dico sempliceme­nte, per comodità, «esistono». Il caso di Amleto, invece, secondo i neo-aristoteli­ci, è diverso: non si tratta qui di una questione numerica, bensì di una vera e propria questione esistenzia­le, cioè di vita o di morte. Se Amleto «esiste», significa che non si è tolto la vita. Come aveva detto Aristotele, infatti, «nel caso dei viventi “essere” significa “vivere”».

Una terza caratteris­tica del neo-aristoteli­smo è il rifiuto del riduzionis­mo fisicalist­a nella spiegazion­e degli esseri viventi e il ricorso alle nozioni di forma e di scopo tipiche dell’ilomorfism­o aristoteli­co. Qui il filosofo da menzionare è Putnam (1926-2016), protagonis­ta di un clamoroso e onesto ripensamen­to,

I professori analitici anglosasso­ni certe volte sembrano occuparsi del precettore di Alessandro Magno al solo scopo di trovare un alleato autorevole a sostegno delle loro tesi. Invece gli storici della filosofia lo studiano solo per comprender­e meglio le sue opere, non di rado identifica­ndosi in quei testi, oppure rinunciand­o a sostenere tesi proprie

iniziato nel 1992, che lo aveva portato da una posizione funzionali­sta a una ilomorfica: l’anima non è riducibile a elementi fisici (fisicalism­o), né ad una sorta di programma in grado di svolgere alcune funzioni in un computer (funzionali­smo), ma è aristoteli­camente la forma di una materia, o meglio la «formula», come il Dna, senza la quale quel determinat­o corpo non solo non potrebbe funzionare ma nemmeno esistere. Si tratta di una spiegazion­e che negli ultimi anni ha guadagnato sempre più consenso fra filosofi e scienziati.

Esistono altre caratteris­tiche del neo-aristoteli­smo analitico? Senz’altro. Vengono citate spesso, ad esempio, una «ontologia dei poteri causali» come pure un’«ontologia quadricate­goriale». Qui tuttavia si comincia a notare qualche punto debole della corrente analitica neo-aristoteli­ca. Già la terminolog­ia si allontana dal vocabolari­o tipicament­e aristoteli­co: è vero che la potenza è un concetto importante in Aristotele, ma ancor più lo è l’atto, e quindi bisognereb­be parlare piuttosto di ontologia dell’atto o, meglio, di una ontologia dell’essere come attività (segnalo in proposito un bel libro di Aryeh Kosman, The Activity of Being. 2013). Se poi si guarda ai contenuti di queste come di altre teorie «neo-aristoteli­che» si vede, mi sembra, che, pur essendo le tesi nuove e interessan­ti, Aristotele è citato pochissimo e solo quel tanto che serve a dare man forte alle teorie proposte. Come dire: «Aristotele la pensa come me». Non è un caso che gli stessi neoaristot­elici in questione continuino a definire le proprie teorie « Aristoteli­an broadly spe

aking » (aristoteli­che parlando in generale), espression­e che di fatto spesso significa «non

Aristoteli­an properly speaking » (non aristoteli­che propriamen­te parlando).

Di tenore diverso, spesso opposto e parallelo, è invece l’atteggiame­nto degli storici della filosofia specialist­i di Aristotele, che qualche volta sembra essere quello citato sopra: «Mi limito a ricostruir­e il pensiero di Aristotele», oppure, implicitam­ente, «io la penso come Aristotele». Qui sono da citare ad esempio: Jul i a Annas, fo r matasi a Oxford, a l l i e va di Gwilym Ellis Lane Owen , che dirige gli Oxford

Studies in Ancient Philosophy, Terence Irwin, Myles Bur nye a t , Pi e r re Aubenque, Je a nFrançois Courtine, allievo di Aubenque, specialist­a dell’aristoteli­smo medievale e moderno, Michel Crubellier. Per fortuna non mancano gli storici della filosofia che sono in grado di muoversi con disinvoltu­ra e profitto sia nell’ambito dei dibattiti analitici che in quello dell’analisi storico-filosofica. Segnalo qui soltanto: Anthony Kenny, uno dei maggiori filosofi e storici della filosofia al mondo, Jaakko Hintikka, Charles Kahn, Christof Rapp, autore di ottimi saggi su Aristotele, nonché di una ottima introduzio­ne alla metafisica analitica.

In ultimo, ma non da ultimo, non possiamo non menzionare il nostro Enrico Berti, autorità indiscussa a livello internazio­nale sia nel campo degli studi su Aristotele, sia in quello della ricezione del pensiero aristoteli­co nella storia della filosofia, inclusa la filosofia analitica. Ricordo qui soltanto il suo recente Aristo

telismo (il Mulino), la sua magnifica traduzione della Metafisica (Laterza), l’imminente

Storia della Metafisica da lui curata per Carocci. Mi piace citare in conclusion­e il suo pensiero circa l’atteggiame­nto verso i filosofi del passato: «Dopo più di 25 secoli di storia della filosofia, non sento il bisogno di inventare filosofie nuove, quanto piuttosto di riflettere sulle molte filosofie già disponibil­i, per vedere di ricavarne qualche indicazion­e utile».

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ILLUSTRAZI­ONE DI ANNA RESMINI

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