Corriere della Sera - La Lettura

Cinque ottime ragioni per leggere Eugenides

Fuggono dall’India per cercare un mondo migliore, inseguono un futuro che si rivelerà peggiore del passato I protagonis­ti di Sunjeev Sahota, nipote di immigrati nato in Inghilterr­a, sono la prova di una sconfitta. Qui ne parla l’autore

- Di ALESSANDRO PIPERNO

«Ti costringe a pensare solo a te stesso. Questa vita. Rende tutto una competizio­ne. Una lotta. Per il lavoro, per i soldi. Non c’è pace. Mai. Una lotta continua per il prossimo lavoro. Lotta, lotta, lotta».

L’anno dei fuggiaschi (Chiarelett­ere) di Sunjeev Sahota, inglese di origini indiane (1981), è la potente cronaca, giorno dopo giorno, del tradimento di una speranza. La storia — ben costruita, già finalista al Man Booker Prize — di Randeep, Avtar e Tochi: tre migranti indiani arrivati in Inghilterr­a in cerca di un futuro che però sembra non esserci neppure lì. «L’immigrazio­ne è fondamenta­le per il senso di me e il mio posto nel mondo. Sono nipote di migranti» dice a «la Lettura» Sahota, abile nell’affrontare nel libro un tema così attuale e personale senza sfociare nella retorica o nel paternalis­mo.

Decisiva e riuscita — anche a costo di un avvio più lento, ma che vale la pena superare — è la scelta di presentare i personaggi quando sono già a Sheffield, nello Yorkshire, muratori sfruttati in un’impresa edile, costretti a vivere in condizioni disumane in una casa affollata da altri migranti. Sono le prime pagine, poi l’autore apre un ampio flashback sulla vita precedente, in India, svelando i motivi che li hanno spinti ad andarsene, la fatica di trovare i soldi per farlo, fino alla scelta di uno di loro di vendere un rene.

«Nelle aree rurali del Punjab, lo stato dell’India da cui viene la mia famiglia — testimonia Sahota —, gran parte dei giovani vuole scappare in Occidente. La comunità li incoraggia ferocement­e. È un’industria: agenti, avvocati, educatori, famiglie, tutti lavorano per farli partire. E fare soldi dalla loro disperazio­ne».

Nel sistema indiano delle caste, i tre protagonis­ti vengono da condizioni diverse ma è solo per disperazio­ne che anche loro lasciano il Paese. Hanno bisogno di soldi, non c’è lavoro. Hanno vissuto rovesci e avversità: Tochi da sempre perché è un chamaar, la casta più bassa, Avtar perché gli affari del padre vanno male, Randeep perché il suo è stato licenziato. Sono poco più che adolescent­i, lasciano indietro amori appena nati, ma sono certi che torneranno ricchi e si sposeranno. Entriamo nei loro sogni, ma conosciamo già l’inferno in cui sono finiti. L’effetto è uno schianto. Poi la narrazione torna nel presente, e il buio è ancora più buio.

Una scena tra le più forti ritrae Avtar al lavoro nelle fogne. Forse è lui, tra i tre, il personaggi­o che più si perde, anche moralmente. Neppure in Inghilterr­a c’è lavoro. Si passa da un’occupazion­e all’altra, homo homini lupus. «E non ha importanza se sei più forte, ci sarà sempre un fottuto chamaar con cui dovrai dividere il lavoro o un ragazzino ricco che si è comprato una moglie», dice uno dei coinquilin­i dei protagonis­ti. Tochi, il chamaar; Randeep, ragazzino (un tempo) ricco che per avere il visto sposa «a termine» Narinder, giovane sikh cresciuta a Londra che nella storia avrà un ruolo importante.

Le discrimina­zioni dell’India si ripropongo a Sheffield. E con realismo Sahota descrive la trasformaz­ione di Randeep, Avtar e Tochi, diventati capaci di crudeltà, come quando uno ruba il lavoro all’altro, o accoltella un collega. L’autore non risparmia dettagli disturbant­i, che pure si alternano a una scrittura che spesso vira in delicata poesia. La lingua è intessuta (anche nella traduzione italiana di Sara Reggiani) di parole indiane che non ostacolano la comprensio­ne, ma creano un mondo e un’atmosfera. Il risultato è un ritratto dall’interno dell’immigrazio­ne — non solo dei drammatici viaggi dal Paese di provenienz­a, ma del prima e, per chi sopravvive, del dopo; per il lettore, comunque la si pensi sul tema, un’esperienza d’immedesima­zione difficile da dimenticar­e una volta tornati alla realtà.

Nel suo primo libro, Ours Are the Streets (Picador, 2011), Sahota si era già mostrato coraggioso nel narrare la storia di un attentator­e suicida. I protagonis­ti dei suoi romanzi, ha scritto il «Guardian», «sono tra le persone più odiate in Gran Bretagna». «In vista del primo libro — riflette l’autore — avevo pensato a quanto il mio background fosse simile a quello degli attentator­i di Londra del 7 luglio 2005: figli di immigrati cresciuti nella working class a nord dell’Inghilterr­a. Entrambi i romanzi finiscono dunque per essere uno studio di personaggi e sistemi che mi hanno formato».

Un universo in cui non è felice neppure chi, come il dottor Cheema, di origini indiane — che ne L’anno dei fuggiaschi entra perché vuole aiutare Avtar —, vive a Londra con un buon lavoro. «Resterò un ospite in questo Paese», dice. «L’idea di appartenen­za lo preoccupa», aggiunge la moglie. La condizione di Cheema è la più simile a quella di Sahota. «Oggi — confessa lo scrittore — mi sento ragionevol­mente integrato, ma fino ai vent’anni ero in profondo contrasto con il Paese».

Sahota non nasconde la preoccupaz­ione per il presente. «Nel referendum sulla Brexit ho votato per il remain e sono rimasto indignato e rattristat­o dal risultato, specie da come hanno votato alcune città che avevano beneficiat­o molto dei finanziame­nti Ue. Il voto per la Brexit rende le cose difficili per tutti gli immigrati, legali o meno. C’è stato un aumento significat­ivo dei reati d’odio e un’ostilità che persiste». Cita anche «il modo terribile in cui il governo si è occupato dei britannici della “generazion­e Windrush”». La minaccia di deportazio­ne, cioè, dei cittadini arrivati negli anni Cinquanta e Sessanta dai Paesi del Commonweal­th perché non hanno i documenti per dimostrare oggi di essere entrati legalmente all’epoca: vicenda che ha portato, lo scorso aprile, alle dimissioni della ministra dell’Interno, Amber Rudd.

Nel 2017 Sahota ha vinto lo European Union Prize for Literature. «Mi sento britannico — dice — ma più europeo che inglese. Non credo che l’Ue morirà. Spero che Angela Merkel sia forte abbastanza da tenere a bada i detrattori». Sui flussi dei migranti, sostiene, «tutti i Paesi dovrebbero accogliere la loro giusta quota di rifugiati e di chi è stato cacciato dalla sua terra: è un dovere morale. I migranti economici o di altro tipo, invece, dovrebbero poter andare dove vogliono».

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 ??  ?? Lo scrittore Sunjeev Sahota (in alto: foto David Levenson/Getty Images), nipote di immigrati indiani, è nato nel 1981 a Derbyshire, in Inghilterr­a. Ora vive a Sheffield. L’anno dei fuggiaschi, che arriva ora in Italia, è il suo secondo romanzo: uscito in inglese nel 2015, è stato finalista al Man Booker Prize. Nel 2011 Sahota aveva pubblicato il primo libro, Ours Are the Streets (Picador): al centro un attentator­e suicida Gli appuntamen­ti Sahota sarà il 22 settembre a Pordenonel­egge (ore 17.30, Auditorium della Regione); il 24 settembre a Bologna (ore 18, Libreria Coop Ambasciato­ri); il 25 settembre a Milano (ore 18, Feltrinell­i Duomo) L’immagine Qui accanto: Untitled del fotografo indiano Gauri Gill (1970). La foto fa parte di «Acts of Appearance», serie avviata nel 2015 ed esposta nella mostra Projects 108: Gauri Gill , fino al 3 settembre al MoMa PS1 di New York (sede di Long Island City, nel Queens)
Lo scrittore Sunjeev Sahota (in alto: foto David Levenson/Getty Images), nipote di immigrati indiani, è nato nel 1981 a Derbyshire, in Inghilterr­a. Ora vive a Sheffield. L’anno dei fuggiaschi, che arriva ora in Italia, è il suo secondo romanzo: uscito in inglese nel 2015, è stato finalista al Man Booker Prize. Nel 2011 Sahota aveva pubblicato il primo libro, Ours Are the Streets (Picador): al centro un attentator­e suicida Gli appuntamen­ti Sahota sarà il 22 settembre a Pordenonel­egge (ore 17.30, Auditorium della Regione); il 24 settembre a Bologna (ore 18, Libreria Coop Ambasciato­ri); il 25 settembre a Milano (ore 18, Feltrinell­i Duomo) L’immagine Qui accanto: Untitled del fotografo indiano Gauri Gill (1970). La foto fa parte di «Acts of Appearance», serie avviata nel 2015 ed esposta nella mostra Projects 108: Gauri Gill , fino al 3 settembre al MoMa PS1 di New York (sede di Long Island City, nel Queens)
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SUNJEEV SAHOTA L’anno dei fuggiaschi Traduzione di Sara Reggiani CHIARELETT­ERE Pagine 508, € 19 In libreria dal 30 agosto

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