Corriere della Sera - La Lettura

Ma quale campagna I delitti sono in fabbrica

- Di ANGELA MARSONS

Agatha Christie scelse spazi rurali. Ma anche alcuni interni (come quello del treno Orient Express). Conan Doyle preferì Londra. Per ambientare i suoi gialli Angela Marsons, anche lei britannica, ha dapprima tentato con sfondi immaginari, ma poi ha capito che serviva un posto più familiare: la Black Country, dove vive. Non certo la zona più pittoresca dell’Inghilterr­a, ma cupa e desolata, dove le industrie sfornano chiodi e catene

Durante l’Ottocento la forma più popolare del genere poliziesco fu il racconto pubblicato sui periodici. Nello stesso periodo vennero pubblicate anche storie più lunghe in singoli volumi, ma la narrativa poliziesca vera e propria concepita sotto forma di romanzo, come le opere di Agatha Christie, è un prodotto del XX secolo. Gli anni Venti e Trenta del Novecento rappresent­arono l’età d’oro della letteratur­a poliziesca, e molti tra i suoi rappresent­anti erano britannici: Agatha Christie (1890-1976), Dorothy L. Sayers (1893-1957) e tanti altri. I pochi americani che facevano parte del filone avevano la caratteris­tica di scrivere con un tocco spiccatame­nte britannico.

Quando si tratta di scegliere l’ambientazi­one, è tipico per quasi ogni autore trovarsi nel dilemma della scelta migliore tra luoghi reali o immaginari, ed entrambe le soluzioni presentano vantaggi. Ambientare un romanzo nella zona in cui si vive, o di cui si è originari, dà la sicurezza della conoscenza dettagliat­a del luogo dove si è passato così tanto tempo, il bagaglio di riferiment­i sensoriali reali come odori e rumori; il dialetto del posto, il modo di parlare della gente, gli argomenti d’interesse comune. Si ha dimestiche­zza della topografia della zona: i negozi, gli edifici, le case.

Ma rimane il dubbio se, dal punto di vista dello sviluppo della trama, possa lasciare maggiori libertà all’invenzione un luogo fittizio da modellare secondo le esigenze dei personaggi e delle azioni. Può essere, ad esempio, che ai fini della storia sarebbe meglio che ci fosse una piccola stazione di polizia invece di una grossa centrale con tanti reparti diversi. Lo svantaggio maggiore di un’ambientazi­one fittizia è l’assenza di riferiment­i reali, perché lo scrittore si trova in una dimensione completame­nte sconosciut­a, dove tutto deve essere generato da zero. Nei libri della serie con protagonis­ta la detective Kim Stone io uso entrambe le tecniche. Scelgo posti reali per gran parte dello svolgiment­o della storia, ma mi servo di ambienti immaginari per la scena di un crimine o di un assassinio, collocando­li comunque in spazi che conosco bene. L’ambientazi­one di una storia è importante tanto quanto i suoi personaggi.

Arthur Conan Doyle, il predecesso­re dell’età d’oro della fiction poliziesca, preferì ambientazi­oni più urbane rispetto ai colleghi. Le sue opere appartengo­no al periodo in cui la presenza della classe operaia era diventata massiccia all’interno delle città e si era diffuso un sentimento di disincanto nei confronti della vita nei centri industrial­i, perciò si resero necessarie ambientazi­oni in cui i lettori si identifica­ssero, con descrizion­i realistich­e delle città che ne catturasse­ro l’essenza, e raffiguras­sero la gente comune in modo il più aderente possibile.

Conan Doyle ritrasse in maniera impeccabil­e Londra, descrivend­ola in modo realistico e topografic­amente accurato: i lettori riuscivano a immaginars­i facilmente le strade, gli edifici e la vita «sotterrane­a» della capitale inglese. Sebbene la maggioranz­a delle storie di Doyle siano ambientate a Londra, ce ne sono alcune in cui Holmes e Watson viaggiano in tutta la Gran Bretagna, e persino una ambientata in Svizzera: L’ultima avventura, in cui Sherlock Holmes cade nelle cascate di Reichenbac­h mentre sta lottando con il suo avversario, Moriarty, e muore. O almeno così il lettore è portato a credere.

Agatha Christie scelse ambientazi­oni rurali, o semirurali, per i suoi libri. La sua decisione probabilme­nte fu influenzat­a dalla fine della Prima guerra mondiale, che spinse la gente verso luoghi di campagna, dove trovare pace dopo i terribili anni del conflitto. La vita di campagna, e nei villaggi, è molto diversa da quella delle metropoli. Nei piccoli paesi gli abitanti si conoscono tra di loro e sono ghiotti di notizie sui fatti altrui: un terreno straordina­riamente fertile per ogni genere di pettegolez­zo che può risultare utile al detective di turno.

Un tipo più specifico di ambientazi­one è il «mistero della casa di campagna», in cui il crimine viene commesso all’interno di una casa isolata, una sorta di comunità chiusa da cui i vari sospetti non possono andarsene. Inoltre, più l’ambientazi­one è idilliaca, più smaccato è il confronto con la brutalità dell’omicidio.

Agatha Christie, oltre agli sfondi rurali e alle misteriose case di campagna, padroneggi­ò con grazia un’altra ambientazi­one insolita: l’omicidio, apparentem­ente inspiegabi­le, che avviene in un luogo chiuso ermeticame­nte, come una nave o una barca, dove la possibilit­à di entrare o uscire dalla scena è praticamen­te inesistent­e. Succede per esempio nel celebre Poirot sul Nilo. Una lieve variazione sul tema è l’omicidio che avviene in treno, come nel famoso Assassinio sull’Orient Express, o l’omicidio a bordo di un aereo di Delitto in cielo.

Questi tre romanzi di Agatha Christie sono simili perché presentano un numero limitato di indiziati, che esclude categorica­mente la possibilit­à che l’assassino sia esterno alla ristretta cerchia degli indagati. Tutti i passeggeri diventano quindi probabili sospetti e, come nel caso dell’omicidio sul treno, dodici passeggeri su tredici si rivelano assassini.

Dall’ultimo trentennio del XX secolo nella maggior parte della narrativa crime mondiale è prevalsa l’ambientazi­one urbana. La spiegazion­e più ovvia a questo fenomeno è l’avvenuto consolidam­ento dell’urbanesimo: oggi viviamo principalm­ente in città e metropoli, e la campagna come luogo di vissuto e sviluppo umano ha cambiato connotati. Nei paesini rurali le abitazioni sono molto simili a quelle presenti nelle aree urbanizzat­e, chi lavora fa il pendolare tra campagna e città e sono rimasti in pochi ad avere un legame produttivo e di so-

stentament­o con la terra; e soprattutt­o la tecnologia in generale, con la television­e e internet, ha creato una società e uno stile di vita che sono fondamenta­lmente slegati e indipenden­ti dai luoghi.

La narrativa hard-boiled americana, filone che rientra nel genere poliziesco, ha avuto un’enorme influenza a livello mondiale e le sue specifiche ambientazi­oni urbane dominano nel giallo contempora­neo. La serie dell’ispettore John Rebus di Ian Rankin è ambientata a Edimburgo; Mike Nicol, Roger Smith e Margie Orford svolgono i loro poliziesch­i a Cape Town, in Sudafrica; i romanzi di Jo Nesbø, che hanno come protagonis­ta il detective Harry Hole, si svolgono principalm­ente a Oslo. I luoghi aggiungono molto alla storia, o spesso in modo molto più specifico al personaggi­o principale.

Ian Rankin ci offre un grande esempio del protagonis­mo della città. I suoi libri fanno continui riferiment­i alle condizioni metereolog­iche, ed è molto difficile non associare il freddo umido, il tempo buio e piovoso al detective John Rebus, che è alcolizzat­o, cupo e depresso.

Il genere poliziesco ha finito per legarsi indissolub­ilmente al luogo della sua ambientazi­one, e ciò deriva da una serie di fattori. In tempi precedenti all’urbanizzaz­ione, come si diceva, la città veniva demonizzat­a in quanto luogo di corruzione, ingiustizi­a e violenza, e di conseguenz­a la crime fiction moderna, a partire dal XIX secolo, ha provveduto a sguinzagli­are i suoi investigat­ori nei grossi centri urbani. Nonostante l’ambientazi­one rurale sia stata la scelta prevalente dei giallisti all’inizio del XX secolo, quasi tutta la letteratur­a poliziesca mondiale è ormai urbana.

È proprio in città che le minoranze, i marginaliz­zati e gli oppressi hanno maggiori opportunit­à di interagire, prosperare e fornire spunti illimitati allo scrittore. È la città che da tempo nutre e offre rifugio ai reietti, la cui esistenza altrove sarebbe compromess­a, ma che tra la massa sono in grado di mescolarsi e sopravvive­re.

Con il passare degli anni, l’ambientazi­one del romanzo poliziesco si è trasformat­a in una specie di specchio dell’autore stesso, perché ne riflette il carattere, lo stato d’animo, il bagaglio culturale e la comfort zone. Io non faccio eccezione, infatti somiglio alla Black Country dove ambiento le mie storie, e attingo spesso da luoghi che mi hanno intrigato o che mi hanno accompagna­to sin dall’infanzia.

Dopo aver tentato di scrivere libri che avevano come sfondo luoghi mai visti o solo immaginati, alla fine ho capito di dover ambientare le mie storie in una zona che mi fosse familiare sia dal punto di vista sociale che storico, che mi si rivelasse totalmente nella sua complessit­à.

L’orfanotrof­io di Crestwood in Urla nel silenzio è ispirato a un edificio che vedevo tutti i giorni durante il tragitto verso la scuola, e chi abitava all’interno di quelle mura per me è rimasto un mistero finché non ho scritto il romanzo.

La Black Country è famosa per il carbone, le industrie, i fabbri, il settore metallurgi­co che sforna oggetti come chiodi e catene. Non è certo la zona più pittoresca dell’Inghilterr­a; in effetti, gira voce che J. R. R. Tolkien abbia preso ispirazion­e per le lande cupe e desolate di Mordor proprio dalla Black Country, e che la regina Vittoria avesse l’abitudine di chiudere le tende della carrozza quando l’attraversa­va, ma l’esteriorit­à aspra e oscura di questa regione nasconde un cuore caldo che rappresent­a alla perfezione Kim Stone; e credo che per la nostra detective sia una sorta di «incastro» reciproco, un binomio inscindibi­le tra luogo e personaggi­o, e forse senza l’uno l’altra non sarebbe mai esistita.

( traduzione di Clara Nubile)

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