Corriere della Sera - La Lettura
Silenzi amletici della cancelliera sotto assedio
Angela Merkel continua a temporeggiare. Rischiando grosso
Dal suo ufficio al settimo piano della cancelleria, Angela Merkel si vede circondata dalle scomode memorie della storia tedesca: il Reichstag dove l’incendio del 1933 segnò l’inizio della dittatura nazista, il percorso del Muro simbolo della divisione della guerra fredda, l’ambasciata svizzera, uno dei pochi edifici nel cuore di Berlino che furono risparmiati dai bombardamenti. Sono i ricordi della barbarie che hanno definito e guidato il ruolo della nuova Germania in Europa, prima e dopo la riunificazione: egemone riluttante, pronta a identificare il proprio interesse nazionale con quello della costruzione europea e con la sua forza economica garante di fatto dell’unità e della stabilità dell’Unione.
Oggi questo assioma dell’identità tedesca del dopoguerra non è più scontato. Angela Merkel è sotto assedio, in casa e fuori. L’usura di 13 anni al potere, una serie di decisioni giuste, ma mai veramente spiegate al Paese, prima fra tutte l’apertura delle frontiere a oltre un milione di rifugiati nel 2015, hanno messo in croce la cancelliera in Germania, contestata all’interno del suo partito e additata come responsabile del crescente successo dell’estrema destra di Alternative für Deutschland. Inoltre l’avvento di governi sovranisti, dall’Ungheria alla Polonia, dalla Repubblica Ceca all’Austria e non ultimo all’Italia, ha mutato Merkel nel cigno nero d’Europa. Il suo leggendario attendismo non paga più, anzi rischia di frustrare l’unico alleato che potrebbe ridarle il manto della leadership europea: «Basta col vostro feticismo dei surplus. Facciamo una scelta!», l’ha implorata Emmanuel Macron nel discorso di accettazione del premio Carlo Magno ad Aquisgrana.
Forse Angela Merkel vorrebbe scegliere, come sembrano indicare i suoi ripetuti appelli all’Europa ad assumersi più responsabilità nel mondo, riappropriandosi del suo destino, di fronte alla diserzione americana. Ma per indole non sa e soprattutto non può, immobilizzata come Gulliver dai lacci dei «nani» interni, dai quali dipende la sua sopravvivenza politica. «Che cosa vuole la Germania in Europa? Lo dica una volta per tutte», ripete l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer. Fin qui c’è solo un assordante silenzio.