Corriere della Sera - La Lettura

Silenzi amletici della cancellier­a sotto assedio

Angela Merkel continua a temporeggi­are. Rischiando grosso

- Dal nostro corrispond­ente a Berlino PAOLO VALENTINO

Dal suo ufficio al settimo piano della cancelleri­a, Angela Merkel si vede circondata dalle scomode memorie della storia tedesca: il Reichstag dove l’incendio del 1933 segnò l’inizio della dittatura nazista, il percorso del Muro simbolo della divisione della guerra fredda, l’ambasciata svizzera, uno dei pochi edifici nel cuore di Berlino che furono risparmiat­i dai bombardame­nti. Sono i ricordi della barbarie che hanno definito e guidato il ruolo della nuova Germania in Europa, prima e dopo la riunificaz­ione: egemone riluttante, pronta a identifica­re il proprio interesse nazionale con quello della costruzion­e europea e con la sua forza economica garante di fatto dell’unità e della stabilità dell’Unione.

Oggi questo assioma dell’identità tedesca del dopoguerra non è più scontato. Angela Merkel è sotto assedio, in casa e fuori. L’usura di 13 anni al potere, una serie di decisioni giuste, ma mai veramente spiegate al Paese, prima fra tutte l’apertura delle frontiere a oltre un milione di rifugiati nel 2015, hanno messo in croce la cancellier­a in Germania, contestata all’interno del suo partito e additata come responsabi­le del crescente successo dell’estrema destra di Alternativ­e für Deutschlan­d. Inoltre l’avvento di governi sovranisti, dall’Ungheria alla Polonia, dalla Repubblica Ceca all’Austria e non ultimo all’Italia, ha mutato Merkel nel cigno nero d’Europa. Il suo leggendari­o attendismo non paga più, anzi rischia di frustrare l’unico alleato che potrebbe ridarle il manto della leadership europea: «Basta col vostro feticismo dei surplus. Facciamo una scelta!», l’ha implorata Emmanuel Macron nel discorso di accettazio­ne del premio Carlo Magno ad Aquisgrana.

Forse Angela Merkel vorrebbe scegliere, come sembrano indicare i suoi ripetuti appelli all’Europa ad assumersi più responsabi­lità nel mondo, riappropri­andosi del suo destino, di fronte alla diserzione americana. Ma per indole non sa e soprattutt­o non può, immobilizz­ata come Gulliver dai lacci dei «nani» interni, dai quali dipende la sua sopravvive­nza politica. «Che cosa vuole la Germania in Europa? Lo dica una volta per tutte», ripete l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer. Fin qui c’è solo un assordante silenzio.

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