Corriere della Sera - La Lettura
I Paesi dell’Est scordano le lotte per la libertà
Polacchi, cechi e ungheresi: cresce l’insofferenza per i valori democratici
Il giovane nonno e leader ungherese Viktor Orbán — la cui figlia maggiore si è fatta beccare mentre gettava un pannolino sporco per terra in Croazia, mettendo così in pratica il sovranismo ambientale (tenere pulito solo in casa propria) — ha assunto ufficialmente nelle scorse settimane la guida della destra continentale, sia dell’Est che dell’Ovest: convinto che le elezioni europee del 26 maggio prossimo rappresenteranno un’occasione unica per ottenere la maggioranza e rimodellare l’Unione Europea a proprio piacimento, si è già candidato a presiederla.
Molti sono gli elementi a favore di questa ipotesi. In ordine sparso, il sostegno da parte di Trump e Putin; lo stato di quasi completo disorientamento in cui si trovano le forze liberali, democristiane e socialdemocratiche costruttrici dell’Europa; ma soprattutto il fatto che Orbán è sempre riuscito a giocare d’anticipo sui suoi avversari, sia a Budapest e nella regione che a Bruxelles. Tanto per dare qualche segnale, ha proseguito imperterrito l’opera di riportare la capitale ungherese a come era fino al 18 marzo 1944, non esitando a spostare il monumento a Imre Nagy, leader della rivoluzione del 1956, dalla piazza del Parlamento alla riva del Danubio, in ossequio al principio secondo cui anche un comunista «buono» resta pur sempre un comunista.
A questo proposito, anche a Praga l’anniversario dell’invasione del 1968 è stato celebrato in sordina, con alti livelli di disaffezione nonché di ignoranza da parte di molti cittadini cechi, slovacchi ed europei (per non parlare dei russi). Per chi ritiene la Primavera di Praga una parte integrante del patrimonio democratico del continente, questa è un’altra brutta notizia, non sufficientemente compensata dall’esistenza nella capitale ceca di un eccellente e rinnovato Museo del comunismo che, contrariamente ad altri nella regione, è altamente istruttivo ed esauriente.
La battaglia è e sarà in primo luogo culturale, tra chi fa leva sulle paure e i pregiudizi e chi vuole ragionare. Per cominciare, bisogna chiedersi perché proprio i tre Paesi — Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria — che combatterono coraggiosamente le dittature comuniste in nome degli ideali europei, oggi guidino la battaglia contro di essi.