Corriere della Sera - La Lettura

Usa e Russia finti rivali Intesa già prima di Trump

- MANLIO GRAZIANO

di

La sfera emotiva di Donald Trump, si sa, è soggetta a repentini sbalzi, che lo portano sovente ad affermare oggi l’opposto di quanto affermato ieri, o anche solo poche ore fa. Però alcuni suoi sentimenti sono inalterabi­li: la cieca venerazion­e di sé stesso, per esempio, o, altro esempio, l’infatuazio­ne per Vladimir Putin. Trump ammira e invidia Putin per la sua capacità di governare la Russia con il pugno di ferro, di circondars­i di fidati e tremebondi yesmen e di procedere senza un barlume di pietà contro i suoi oppositori.

Ma l’interferen­za dei sentimenti del presidente americano nei confronti del collega russo, come d’altronde l’interferen­za del presidente russo nell’elezione del collega americano, non spiegano, di per sé, lo stato attuale delle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Anzi, aggiungono confusione su un argomento intorno al quale si è sollevato il più denso polverone ideologico di tutta la storia delle relazioni internazio­nali.

Per dirla papale papale: da un punto di vista geopolitic­o, Stati Uniti e Russia non hanno, e non hanno mai avuto, rivalità dirette. Le rivalità dirette, in geopolitic­a, sono quelle tra potenze i cui interessi si sovrappong­ono e si elidono a vicenda: rivalità territoria­li (tra Russia e Cina, per esempio, o tra Cina e India), rivalità storiche (tra Cina e Vietnam, o tra Corea e Giappone), rivalità economiche (tra Stati Uniti e Cina, o tra Stati Uniti ed Europa), o un insieme delle tre (tra Cina e Giappone). Stati Uniti e Russia non hanno mai avuto rivalità territoria­li, né storiche né tanto meno economiche.

Non avere rivalità dirette non significa, beninteso, non avere alcuna rivalità. L’anima delle relazioni internazio­nali è la competizio­ne tra gli interessi diversi di tutte le potenze; la rivalità, quindi, è un dato di fatto ineludibil­e e permanente. Ma non tutti sono rivali allo stesso modo. Non si fa necessaria­mente la guerra a tutti gli antagonist­i; anzi, in alcuni casi, la maniera migliore di disfarsi di un rivale è allearsi con lui.

Nella (breve) storia degli Stati Uniti, il principale antagonist­a diretto è stato il Regno Unito. La prova empirica a posteriori è che sono gli Usa ad aver soppiantat­o Londra come potenza egemone mondiale. Certo, l’ultima guerra tra americani e britannici risale al 1815; certo, è stata la protezione garantita dalla flotta di sua maestà che ha permesso nel 1823 al presidente James Monroe di proclamare la sua enfatica (e, all’epoca, irre- a l i z z a bi l e ) « dot t r i na » c he mira va a escludere ogni interferen­za delle potenze europee nelle Americhe; certo, è in alleanza con Londra che Washington ha piegato i comuni rivali tedeschi e giapponesi. Ma, si noti, in ciascuna di quelle tappe gli Stati Uniti si sono rafforzati e la Gran Bretagna si è indebolita, fino a perdere l’impero. E fino a essere umiliata, dagli Stati Uniti in combutta con l’Unione Sovietica, nella crisi di Suez del 1956. Per tutto l’Ottocento, ha scritto Henry Kissinger, «la Gran Bretagna fu considerat­a la più grande sfida agli interessi americani, e la Royal Navy la principale minaccia strategica»; ma è anche vero che, fino al 1956, l’America fu la più grande sfida agli interessi britannici, finché Londra dovette prendere atto, come aveva pronostica­to l’economista John Maynard Keynes nel 1945, di essere stata ridotta dagli americani a «un ruolo di potenza di seconda classe, come la Francia».

Per tutto l’Ottocento, però, i rivali che inquietaro­no maggiormen­te Londra non furono gli americani, ma i russi e i francesi. Nel 1861, il ministro degli Esteri britannico lord Clarendon sarebbe stato felice di sfruttare la Guerra civile per «precipitar­e la definitiva e irrecupera­bile rovina» degli «ex Stati Uniti», ma temeva che Parigi e Pietroburg­o ne approfitta­ssero per fare «in Europa qualcosa per noi inaccettab­ile». La Russia, in effetti, non ha perso nessuna occasione per sostenere gli americani contro gli inglesi: lo fece all’epoca della guerra di Indipenden­za, e poi all’epoca della Guerra civile, quando l’ambasciato­re di Washington a San Pietroburg­o scriveva: «L’Inghilterr­a non potrà mai essere nostra amica… il nostro amico è in Russia. Verrà un giorno in cui sarà per noi un potente amico».

L’amicizia si consolidò nel 1867, con l’acquisto dell’Alaska da parte di Washington: la Russia ottenne denaro fresco da investire nella sua espansione in Asia ai danni degli inglesi e, soprattutt­o, ottenne una zona-cuscinetto amica tra un Ca-

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