Corriere della Sera - La Lettura
Usa e Russia finti rivali Intesa già prima di Trump
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La sfera emotiva di Donald Trump, si sa, è soggetta a repentini sbalzi, che lo portano sovente ad affermare oggi l’opposto di quanto affermato ieri, o anche solo poche ore fa. Però alcuni suoi sentimenti sono inalterabili: la cieca venerazione di sé stesso, per esempio, o, altro esempio, l’infatuazione per Vladimir Putin. Trump ammira e invidia Putin per la sua capacità di governare la Russia con il pugno di ferro, di circondarsi di fidati e tremebondi yesmen e di procedere senza un barlume di pietà contro i suoi oppositori.
Ma l’interferenza dei sentimenti del presidente americano nei confronti del collega russo, come d’altronde l’interferenza del presidente russo nell’elezione del collega americano, non spiegano, di per sé, lo stato attuale delle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Anzi, aggiungono confusione su un argomento intorno al quale si è sollevato il più denso polverone ideologico di tutta la storia delle relazioni internazionali.
Per dirla papale papale: da un punto di vista geopolitico, Stati Uniti e Russia non hanno, e non hanno mai avuto, rivalità dirette. Le rivalità dirette, in geopolitica, sono quelle tra potenze i cui interessi si sovrappongono e si elidono a vicenda: rivalità territoriali (tra Russia e Cina, per esempio, o tra Cina e India), rivalità storiche (tra Cina e Vietnam, o tra Corea e Giappone), rivalità economiche (tra Stati Uniti e Cina, o tra Stati Uniti ed Europa), o un insieme delle tre (tra Cina e Giappone). Stati Uniti e Russia non hanno mai avuto rivalità territoriali, né storiche né tanto meno economiche.
Non avere rivalità dirette non significa, beninteso, non avere alcuna rivalità. L’anima delle relazioni internazionali è la competizione tra gli interessi diversi di tutte le potenze; la rivalità, quindi, è un dato di fatto ineludibile e permanente. Ma non tutti sono rivali allo stesso modo. Non si fa necessariamente la guerra a tutti gli antagonisti; anzi, in alcuni casi, la maniera migliore di disfarsi di un rivale è allearsi con lui.
Nella (breve) storia degli Stati Uniti, il principale antagonista diretto è stato il Regno Unito. La prova empirica a posteriori è che sono gli Usa ad aver soppiantato Londra come potenza egemone mondiale. Certo, l’ultima guerra tra americani e britannici risale al 1815; certo, è stata la protezione garantita dalla flotta di sua maestà che ha permesso nel 1823 al presidente James Monroe di proclamare la sua enfatica (e, all’epoca, irre- a l i z z a bi l e ) « dot t r i na » c he mira va a escludere ogni interferenza delle potenze europee nelle Americhe; certo, è in alleanza con Londra che Washington ha piegato i comuni rivali tedeschi e giapponesi. Ma, si noti, in ciascuna di quelle tappe gli Stati Uniti si sono rafforzati e la Gran Bretagna si è indebolita, fino a perdere l’impero. E fino a essere umiliata, dagli Stati Uniti in combutta con l’Unione Sovietica, nella crisi di Suez del 1956. Per tutto l’Ottocento, ha scritto Henry Kissinger, «la Gran Bretagna fu considerata la più grande sfida agli interessi americani, e la Royal Navy la principale minaccia strategica»; ma è anche vero che, fino al 1956, l’America fu la più grande sfida agli interessi britannici, finché Londra dovette prendere atto, come aveva pronosticato l’economista John Maynard Keynes nel 1945, di essere stata ridotta dagli americani a «un ruolo di potenza di seconda classe, come la Francia».
Per tutto l’Ottocento, però, i rivali che inquietarono maggiormente Londra non furono gli americani, ma i russi e i francesi. Nel 1861, il ministro degli Esteri britannico lord Clarendon sarebbe stato felice di sfruttare la Guerra civile per «precipitare la definitiva e irrecuperabile rovina» degli «ex Stati Uniti», ma temeva che Parigi e Pietroburgo ne approfittassero per fare «in Europa qualcosa per noi inaccettabile». La Russia, in effetti, non ha perso nessuna occasione per sostenere gli americani contro gli inglesi: lo fece all’epoca della guerra di Indipendenza, e poi all’epoca della Guerra civile, quando l’ambasciatore di Washington a San Pietroburgo scriveva: «L’Inghilterra non potrà mai essere nostra amica… il nostro amico è in Russia. Verrà un giorno in cui sarà per noi un potente amico».
L’amicizia si consolidò nel 1867, con l’acquisto dell’Alaska da parte di Washington: la Russia ottenne denaro fresco da investire nella sua espansione in Asia ai danni degli inglesi e, soprattutto, ottenne una zona-cuscinetto amica tra un Ca-