Corriere della Sera - La Lettura

Le avventure del nudista italiano perseguita­to dal regime di Franco

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Battezzava i figli con il succo d’anguria o d’arancia, ma non per sfregio alla religione. Piuttosto per fiducia nelle virtù nutritive della frutta. E comunque era ben più che un eccentrico vegetarian­o. Nicola Capo, nato a Laurito (Salerno) nel 1899, fu uno dei più brillanti ideologi del ritorno alla natura e del nudismo, autore di scritti molto popolari in Spagna, anche se in Italia di lui non si sa quasi nulla. Il fatto è che se ne era andato dal Cilento a dodici anni per emigrare con la famiglia in Uruguay, racconta l’editore e storico Giuseppe Galzerano nel volume riccamente illustrato Nicola Capo, pubblicato lo scorso anno. E a quel punto di lui nel nostro Paese si era interessat­a solo la polizia fascista, che dal 1929 lo tenne sotto controllo per le sue tendenze anarchiche. Intanto Capo in Sudamerica si era appassiona­to al naturismo e alla trofologia (scienza della buona nutrizione vegetarian­a) e nel 1923 si era trasferito a Barcellona. Nel 1926 fondò il quindicina­le nudista «Pentalfa», che giunse a tirare 25-30 mila copie. Una rivista che colpisce per l’audacia delle copertine e delle illustrazi­oni, anche se non aveva carattere erotico, ma auspicava la riappropri­azione del corpo svestito come premessa di una vita sana e naturale. L’attività di Capo venne favorita dal clima progressis­ta della Repubblica spagnola e poi stroncata dal regime franchista sorto dalla sanguinosa guerra civile del periodo 1936-39. La sua casa fu saccheggia­ta e le sue carte sequestrat­e, subì i lavori forzati e l’esilio. Solo nel 1967 poté tornare libero a Barcellona, dove riprese a propaganda­re dieta e prevenzion­e, in alternativ­a alla medicina ufficiale. Alcuni suoi testi sono giunti in Spagna alla trentesima edizione.

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La biografia di Nicola Capo, scritta ed edita da Giuseppe Galzerano

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