Corriere della Sera - La Lettura
L’arte di arrangiarsi, costi quel che costi
L’ottimismo vitalistico della Cina d’oggi proposto dallo sceneggiatore Liu Heng
Seguire le chiacchiere di Zhang Damin vuol dire inoltrarsi in un dedalo di pensieri che possono non portare a nulla o sbocciare in trovate surreali. Quasi che le circonvoluzioni mentali del protagonista del romanzo di Liu Heng siano il calco dei vicoli della vecchia Pechino, gli hutong, un reticolo destinato per la sua stessa conformazione a farsi universo.
Seguire le gesta di Zhang, popolano figlio di famiglia numerosa, significa anche abbandonarsi al racconto di una Cina che per un momento sembra mettere da parte ideologia e politica. Non che le questioni che segnano la società cinese siano assenti nel libro uscito nel 1997 e molto letto in patria, firmato da uno dei suoi più famosi sceneggiatori e narratori (classe 1954, Liu ha lavorato parecchio con il regista Zhang Yimou). Ma qui il tono è quello della leggerezza e la materia l’arrabattarsi quotidiano, con un piglio se non proprio picaresco (sempre nel microcosmo degli hutong si resta) almeno goliardico, con lo sberleffo di qualche moderata scurrilità.
«Se davvero hai delle capacità dacci sotto, lavora» così «avrai la casa e non starai più male»: Zhang si ingegna, punta a sollevarsi dal mero sostentamento cui la sua famiglia, dopo la morte del padre in fabbrica, è condannata. Registro comico e patetico dialogano. L’irresistibile sequenza delle discussioni su come razionalizzare gli spazi angusti della casa trasforma l’arte d’arrangiarsi in metafora. Come metaforica, pur nella dovizia di dettagli realistici, è l’assurda scelta di montare il talamo nuziale te- nendovi al centro un albero di melograno. Eppure anche la resilienza più vitale, l’ottimismo più sfrontato hanno un volto nascosto. I compromessi accettati dalla stragrande maggioranza della popolazione cinese quando ha abbracciato un modello di sviluppo che lasciava già intravedere costi pesantissimi: «Voglio solo guadagnare qualcosa di più. Se questo vuol dire essere malati, allora sono pronto a beccarmi una malattia al giorno; ben venga una vita di malanni, purché non ci lasci le penne».