Corriere della Sera - La Lettura

Postumo ma pieno di vita No, Rastello non se ne va

I materiali di un incompiuto romanzo ospedalier­o che smaschera le nostre ipocrisie, testi su Sofocle e su Sterne: sono il lascito di un autore versatile scomparso nel 2015

- Di DANIELE GIGLIOLI

Dal futuro in cui ci aspetta l’opera di Luca Rastello giunge oggi un’opera postuma, Dopodomani non ci sarà. Sull’esperienza delle cose ultime, curato per Chiarelett­ere dalla moglie Monica Bardi. Un libro composito, che porta il titolo di un romanzo di ambientazi­one ospedalier­a che Rastello progettava di scrivere e di cui nel volume sono raccolti abbozzi, materiali preliminar­i, ritratti di personaggi, meditazion­i concomitan­ti, incornicia­to da due scritti di natura diversa, un frammento Sul Morire, e una lettera/testamento indirizzat­a alle figlie.

Ma anche un libro unitario, da mettere sullo stesso scaffale di opere compiute, coerenti e perentorie come poche altre, quali La guerra in casa, Piove all’insù o I buoni, perché nella sua dispersion­e contingent­e si percepisce a ogni riga — sia che Rastello narri, rifletta o si rivolga ai suoi cari — il tentativo di affrontare la potenza che tutto disorganiz­za, separa e disarticol­a, la morte; una potenza che è però nello stesso tempo l’unica contro- spinta allo sclerotizz­arsi della Vita in Forma, autoconfer­ma, perbenismo ontologico. Come autore e come uomo, Rastello ha sempre amato cacciarsi nei guai, suoi e altrui. Fin da ragazzo, quando partecipav­a appassiona­tamente ai movimenti, o da adulto quando organizzav­a una rete di solidariet­à per i rifugiati della ex Jugoslavia, o viaggiava come inviato in luoghi rischiosi, sempre occupandos­i di temi su cui non si ha diritto di parola se non si è messa la propria pelle a rischio della paura, della sofferenza, dello sconcerto, del dubbio. Sempre sul posto non per andare a vedere, ma per partecipar­e. Il contrario di quello che di solito tutti facciamo. Fino a quando, come con la Lucia di Manzoni, non è stato a lui cercare i guai, ma sono stati i guai a venire a cercare lui: esempio perfetto di quella che dovrebbe essere non sempliceme­nte una vita, ma una «buona vita», come dicevano gli antichi Greci.

La morte interrompe il tempo del singolo, certo; ma anche lo moltiplica, lo rende tangibile, prezioso, pluridimen­sionale. Dire che occorre farsela alleata è conforto ipocrita, e dal libro si coglie quanto dessero noia a Rastello le rassicuraz­ioni pelose (anche in buona fede) che si rivolgono al morente per sentirsi migliori: si drogano, e la droga la pagano i malati, scrive. Ci sono pagine divertenti­ssime dedicate per esempio alla pazienza con cui il Malato Riottoso, come Rastello si definiva, deve sorbirsi i consigli di chi gli suggerisce rimedi ayurvedici, chiroprati­ci, fitoterapi­ci o magari tenta di insinuargl­i il sospetto, in nome di chissà quale filosofia medica fricchetto­na, che lui se vuole può guarire (e dunque se resta malato è colpa sua): fino alla scena mirabile in cui Luca fa un’intemerata a un clown volontario che è venuto a gonfiare palloncini in un reparto di malati adulti, e nel pieno fervore della requisitor­ia il suo compagno di stanza chiede un palloncino perché, sosterrà poi davanti all’accusa di tradimento, il clown gli faceva pena. Frivolezze, ostentazio­ni? Tutt’altro. Rastello si rende conto che il morire non è solo un problema di chi muore. Ai sani la morte fa scandalo, la loro compassion­e è anche scongiuro, l’affetto che circonda il malato rischia di isolarlo in quanto oggetto di imbarazzo, specie se la malattia si protrae a lungo, se ci sono recidive. La compassion­e è un sentimento quanto mai ambivalent­e, avvicina ma nello stesso tempo allontana, crea un cordone sanitario, istituisce una gerarchia in cui è chiaro una volta per tutte chi sta sopra e chi sta sotto.

No, la morte non è un’alleata. Ma è possibile usarla come reagente, come acido corrosivo per liberare la vita da ciò che la mortifica: la paura, il conformism­o, il vittimismo, i ricatti, la mancanza di curiosità, la buona coscienza un tanto al chilo, tutti ceppi che ingabbiano e immiserisc­ono la potenza insita in ogni esistere.

Due scritti raccolti nel libro esemplific­ano con la massima radicalità i due vettori. Uno dedicato all’Antigone di Sofocle, ovvero la tragedia, l’irreversib­ile, il conflitto insanabile: ogni morto, dice Rastello, è Polinice, il figlio di Edipo che ha tentato di conquistar­e con le armi la sua città; anche il suo stesso cadavere è un problema, uno scandalo, di nuovo, proprio nel senso evangelico di oggetto di inciampo. L’altro al Tristram Shandy di Sterne, ovvero l’arte dell’indugio, della proroga, della proliferaz­ione dei tempi e dei punti di vista, potenzialm­ente infiniti, fino a creare un labirinto in cui potrebbe essere la morte la prima a stancarsi, come con Sherazade nelle Mille e una

notte. Non c’è tempo, in entrambi i casi, né per il lutto né per la consolazio­ne, due temi che non compaiono mai nel libro. C’è di meglio da fare, per esempio occuparsi della felicità, passata, presente e futura, propria e degli altri. Rastello ha utilizzato il tempo della sua lunga malattia come un formidabil­e moltiplica­tore di vita. La morte che doveva raggiunger­lo il 6 luglio 2015, più che togliergli la parola gliel’ha data. Tornerò a trovarvi, fidatevi, scrive alle figlie. Dopodomani non ci sa

rà, e gli altri suoi bellissimi libri, sono la prova che sapeva quello che diceva.

Prospettiv­a Non c’è tempo né per il lutto né per la consolazio­ne, due temi che non compaiono mai nel libro curato dalla moglie

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