Corriere della Sera - La Lettura

I versi di Socci sono «cocci di socci »

I cortocircu­iti di un autore che preferisce gli affondi all’architettu­ra

- Di ROBERTO GALAVERNI

Più che alla fissazione dei propri versi sulla pagina, Luigi Socci sembra almeno un poco restio all’idea del libro di poesia come sistemazio­ne organica, stabilita una volta per tutte. In realtà, anche questa sua attitudine contribuis­ce alla definizion­e di una fisionomia poetica ben riconoscib­ile, ad altissima risoluzion­e. Si tratta infatti di un poeta armato alla leggera, che predilige la singola occasione d’intervento alla compiutezz­a del disegno, il cortocircu­ito concettual­e diretto e immediato alla rappresent­atività dell’architettu­ra.

Per Socci la realtà è qualcosa di evidente e d’irrefutabi­le, in qualche misura persino d’incontesta­bile, eppure gli appare al contempo estremamen­te reversibil­e, fluttuante, equivoca, caleido- scopica. Così, piuttosto che tentare di circoscriv­erla, la sua poesia ambisce a trafiggerl­a, o meglio a punzecchia­rla, a colpirla qua e là, ma con la massima precisione possibile.

Prevenzion­i del tempo (Valigie Rosse) fa seguito ora al suo primo e molto apprezzato volume di versi, Il rovescio del dolore (italic & pequod, 2013). Questa poesia ha trovato negli anni interpreti autorevoli, che ne hanno sottolinea­to volta a volta le prerogativ­e fondamenta­li: ironia, umorismo, comicità, istrionism­o, senso del paradosso e del rovesciame­nto; ma anche, giusto sul rovescio del divertimen­to e della vis ironica, una specie di cupezza e di scetticism­o metafisico. Nella sua nota d’accompagna­mento Paolo Maccari sottolinea poi co- me queste poesie possano costituire un «valido contravvel­eno alle nostre abitudini percettive». Con i loro piccoli affondi e cortocircu­iti verbali, i versi di Socci (i «cocci di socci») procedono agili e veloci, ma è vero che cadono come constatazi­oni che sono l’esito di un’osservazio­ne o di un ascolto attento e prolungato. Di cosa? Dei nostri, a partire dal poeta stesso, meccanismi linguistic­i, delle nostre pratiche quotidiane, delle certezze o, che è lo stesso, delle illusioni.

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