Corriere della Sera - La Lettura
L’illusione dei filantropi: fare il bene per poter fare il male
Anand Giridharadas attacca la falsa coscienza dei più ricchi che non cambiano i comportamenti dai quali cercano di emendarsi con iniziative umanitarie
Sono i grandi filantropi globali, spesso si sostituiscono a una politica sempre più disfunzionale e da bersaglio di decenni di cortei — dagli anni Sessanta al movimento Occupy Wall Street — sono diventati i promotori di ideali di uguaglianza di genere, inclusione delle minoranze, lotta al cambiamento climatico, apertura sull’immigrazione. Ma siamo sicuri che la «Corporate America» sia diventata buona? Di certo è quello che questa élite globale che si muove tra Aspen, Davos e la Clinton Global Initiative vuole raccontarsi e far credere.
Le cose invece, scrive Anand Giridharadas in Winners Take All («Chi vince piglia tutto»), stanno molto diversamente: «Le élite degli affari si stanno addossando il compito di cambiare il mondo», avverte l’ex columnist del «New York Times». Il problema è che «molti credono di stare cambiando il mondo quando po- trebbero invece (o anche) stare proteggendo un sistema che è alla radice dei problemi che desiderano risolvere». Un mondo dove il divario tra il loro 0,001 per cento e il resto della popolazione è abissale, e la globalizzazione non ha più il volto attraente e ottimista degli anni Novanta. Un mondo dove un’azienda che ha contribuito a far scoppiare l’epidemia degli oppioidi pensa di «redimersi» investendo soldi in cause importanti o dove l’amministratore delegato di una catena di pasticcerie s ’illude che mettere in guardia dai rischi degli zuccheri assolva dai danni alla salute causati dai suoi prodotti.
La maggior parte delle iniziative, anche lodevoli, di questi moderni filantropi, è la tesi di Giridharadas, non cambia davvero le regole del gioco, non riguarda quasi mai i salari, per esempio, o il diritto a sindacalizzarsi. E dell’idea di pagare più tasse questi titani della bontà non voglio- no neanche sentire parlare. Apertamente o meno, quasi tutti sono stati ben contenti del mega taglio fiscale di Trump: «I vincitori della nostra epoca devono essere sfidati a fare ancora più del bene. Ma non dite loro mai, mai, di fare meno male». Eppure la fascinazione per il loro impatto sulla società è leggibile a destra come a sinistra, da chi pensa che Trump sia «troppo ricco per essere corrotto» a chi ancora vede in Mark Zuckerberg un benefattore dell’umanità per aver creato una comunità di utenti globali.
Al cuore di questa fantasia, sostiene Giridharadas, «c’è l’idea che il mondo si possa cambiare meglio privatamente, dall’alto, non democraticamente con le riforme». Invece no, «non ci salveranno i miliardari», che invece, come suggerisce il premio Nobel Joseph Stiglitz recensendolo sul «New York Times», dovrebbero portarsi Winners Take All in vacanza.