Corriere della Sera - La Lettura
Il comune dissenso del pudore
Abitudini Il ’68 ha rotto gli argini: il nudo non scandalizza più e il turpiloquio è un programma politico. «Ma — dice Marta Boneschi — c’è molto smarrimento». Tuttavia nell’arte, come vediamo nelle pagine successive, succede qualcosa di strano...
Nel 1947 la guerra è finita da due anni ma la censura continua. In quell’anno, per l’inaugurazione del Piccolo Teat ro di Milano, Giorgi o Strehler e Paolo Grassi progettano di mettere in scena La mandragola di Machiavelli. Ma l’assessore Dc al Comune di Milano si oppone («un’adultera, un marito cornuto, un frate ruffiano») e il veto viene approvato a Roma dal Servizio revisione teatrale. Cinque anni dopo, nel 1952, lo stesso ufficio romano, che dipende dal sottosegretario Giulio Andreotti, vieta la rappresentazione de La governante, una commedia di Vitaliano Brancati che tratta il tema dell’omosessualità femminile. Andrà in scena solo negli anni Sessanta, dopo l’abolizione (1962) della censura teatrale, ma Brancati era già morto. Contro quel divieto, lo scrittore nel 1947 pubblica un pamphlet, Ritorno alla censura, in cui si legge: «L’Italia non si stanca mai di essere un Paese arretrato. Fa qualunque sacrificio, perfino delle rivoluzioni, pur di rimanere vecchio».
«Un giudizio che vale ancora oggi, e che descrive il modo con cui in Italia si è affrontato, direi non affrontato, il problema morale», dice a «la Lettura» Marta Boneschi, il cui libro Il comune senso del pudore (il Mulino) arriva in libreria in questi giorni. «Unica eccezione il convegno sulla questione sessuale organizzato dalla rivista “La Voce”, a Firenze, nel novembre 1910. Scienziati, filosofi, scrittori di diversa formazione cercarono di riflettere sulla sessualità. Rimase un caso isolato, poi è stata tutta una storia di censure, divieti, sequestri da un lato, battute ammiccanti, film scollacciati, commedie per far ridere, mai però un tentativo serio di raggiungere un’idea di pudore basata sul rispetto di sé e degli altri».
La dicitura «comune senso del pudore» appartiene al linguaggio giuridico, che definisce osceni «gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore».
«Sì, si trova nell’articolo 529 del Codice Rocco, entrato in vigore nel 1931 e modificato solo nel 2016. E già la lunga durata del Codice penale, che portava la firma del ministro di Mussolini, la dice lunga sulla storia italiana».
Ma che cosa significa «comune sentimento»?
«Intanto non è affatto comune. Anzi è decisamente asimmetrico, questo sentimento del pudore. Perché distingue pesantemente uomini e donne; è sulle donne infatti che pesano le regole del pudore, per esempio devono evitare vestiti e atteggiamenti capaci di suscitare pensieri libidinosi. Le donne sono sotto il controllo della famiglia e poi del marito. L’unica realizzazione possibile per una donna onesta è il matrimonio. Fino al 1968 l’adulterio femminile è un reato penale. E lo stupro, fino al 1996, è classificato come offesa alla morale. L’altra distinzione riguarda le classi sociali: quello che è pudore per la classe media non è certo condiviso dai ceti subalterni, dai contadini che, nonostante la presenza della chiesa, hanno meno divieti».
I difensori della morale e del pudore — nella storia dell’Italia moderna se ne contano moltissimi — sostengono che il pudore comincia con Adamo ed Eva che, dopo aver mangiato il frutto proibito, si vedono nudi e si coprono.
«Ma anche qui vige una netta disparità fra i sessi: nell’affresco di Masaccio nella chiesa del Carmine a Firenze è Eva che si copre il petto e il ventre mentre Adamo si copre solo gli occhi. Per i comitati di moralità dell’Italia post-risorgimentale così come per i ministri democristiani e i magistrati pronti a denunciare e sequestrare, il sentimento del pudore è assoluto, una legge voluta da Dio, cioè non tiene conto delle differenti culture ed epoche storiche».
L’uomo cacciatore e la donna tentatrice; ma la donna che cede, o salva l’onore con il matrimonio riparatore o è considerata una prostituta...
«Giusto perché cacciatore, l’uomo può cercare il suo piacere dovunque. Fino alla Legge Merlin del 1958, c’erano le case di tolleranza per soddisfare il maschio italiano. Ma anche qui vigeva una paradossale disparità: le donne di quelle case erano sottoposte a frequenti visite mediche; gli uomini, i clienti, no. Ecco, già che si parla di case chiuse, ho fatto una scommessa con alcuni amici: dopo il no-vax, dopo il ripristino della leva obbligatoria, scommetto che il ministro Salvini proporrà il ritorno dei bordelli».
Il Codice Rocco entra in vigore due anni dopo il Concordato con la Chiesa cattolica. E nasce allora quella che lei chiama la «santa alleanza».
«Chiesa e Stato combattono insieme l’immoralità. Certo, l’ideologia maschilista di Mussolini non coincide con i dettami dei preti, ma il Duce lancia la campagna demografica e premia le famiglie numerose, il sesso deve solo servire a dare figli alla patria».
A guerra finita, con i governi democristiani, la difesa del cosiddetto pudore tocca il suo culmine.
«Tutto ciò che riguarda il sesso subisce un attacco violento. Che non risparmia le opere d’arte: nel 1947, quando si impedisce la rappresentazione de La mandragola, una rivista viene denunciata per oscenità perché contiene una riproduzione della Maya desnuda di Goya».
Negli anni Cinquanta e Sessanta, è il cinema a essere preso di mira.
«È la forma di spettacolo più popolare. Ci si accanisce contro i film francesi: La ronde (Il piacere e l’amore), Il diavolo in corpo, Il disprezzo. Si tagliano molti film italiani: I dolci inganni di Lattuada, Rocco e i suoi fratelli di Visconti, La dolce vita è vietato ai minori di 16 anni. Ancora più stretto è il controllo sulla Rai, e sulla televisione che inizia le trasmissioni nel 1954. L’amministratore delegato Filiberto Guala, uomo devoto e ligio ai richiami del Vaticano, impone rigidi divieti agli spettacoli di varietà e ai film».
Poi le cose cominciano a cambiare.
«Il benessere degli anni Sessanta, le vacanze di massa, l’emergere di una cultura giovanile che chiede maggiori libertà accelerano la trasformazione. Anche se nel 1966 i giovani redattori del giornale “La zanzara” del liceo Parini di Milano vengono processati per l’inchiesta sul sesso svolta fra i loro coetanei. La rottura vera sarà nel 1968, quando, insieme con gli slogan politici che inneggiano alla rivoluzione, si comincia a rivendicare la liberazione sessuale».
E oggi?
«Vedo una grande confusione. Il nudo integrale non dà più scandalo, lo spettacolo Bestie di scena di Emma Dante ha girato l’Italia senza problemi».
Il turpiloquio dilaga nei talk-show.
«E non solo: il vaffanculo è diventato un proclama politico. Su internet si possono vedere film porno di tutti i tipi, libri come Cinquanta sfumature conquistano il pubblico femminile, nei social è abolita ogni riservatezza. Ma intanto, per la visita ufficiale del presidente iraniano Rohani a Roma si coprono le statue dei Musei capitolini. Ho l’impressione che la caduta delle vecchie regole non abbia portato con sé una moralità più matura, meno repressiva ma più consapevole. La riprova di questo smarrimento ce la danno i casi di ragazze che postano sui social foto intime che poi fanno il giro della rete. Con terribili conseguenze, come accadde alla ragazza di Napoli che finirà per uccidersi non potendo più reggere le offese e gli insulti. Occorre prendere atto che non se n’è andato solo il pudore biblico, protezione del corpo e tutela di sé, se ne sono andati anche il pudore delle buone maniere, il rispetto di sé e della sensibilità altrui, quell’atteggiamento che nel Cinquecento raccomandavano Erasmo da Rotterdam e monsignor Della Casa: senza ricorrere a comandamenti dettati da Dio, venivano poste lì le prime basi della civiltà moderna».