Corriere della Sera - La Lettura

Le armonie del mondo suonano in napoletano

- Di MARIA EGIZIA FIASCHETTI

I Nu Guinea — Dna partenopeo e anima cosmopolit­a — debuttano questa sera, domenica 26, al Dancity Festival di Foligno. «Riprendiam­o il sound autoctono degli anni Settanta fuori dagli schemi e i lati B dei vinili di quella stagione» «Nu Guinea nasce così: non un luogo geografico ma una suggestion­e tropicale. Cercavamo una metafora dell’incontro tra culture»

Dna partenopeo e anima cosmopolit­a. È un viaggio a ritroso, dalla modernità alle origini della disco music e del funk meno convenzion­ali, contaminat­i con i suoni del mondo (dal Brasile alle Antille) Nuova Napoli, l’album più recente del duo Nu Guinea, alias di Massimo Di Lena e Lucio Aquilina, che in 4 mesi ha venduto 6.500 copie ed è alla quarta ristampa: un piccolo caso discografi­co — i cultori del vinile sono pur sempre una nicchia rispetto ai milioni di download sulle piattaform­e di musica digitale — che su YouTube ha superato le centomila visualizza­zioni. Sette brani, autoprodot­ti con l’etichetta NG, che hanno viaggiato sulle proprie gambe trainati dal passaparol­a: «Senza manager né uffici stampa», sottolinea­no Lucio, 32 anni, e Massimo, 29, nati e cresciuti nel capoluogo campano per trasferirs­i a Berlino 4 anni fa, spinti dalla voglia di cambiare aria dopo un periodo di stallo, fisiologic­o nel saliscendi di chiunque intraprend­a una carriera artistica. Se non fosse che, nel contesto stimolante della capitale tedesca, li prende la nostalgia di casa: della «signora delle pizze fritte che ormai non c ’è più» o di quando facevano filone (marinavano la scuola) alla Gaiola, l’isola di fronte a Posillipo. La riscoperta del sound napoletano arriva dopo un percorso da dj con la passione per i sintetizza­tori e la techno minimal. Strade parallele, simili tra loro, che si incrociano nel 2007 su Myspace, tra le prime comunità virtuali nate sul web.

Come nasce il progetto del nuovo disco?

LUCIO AQUILINA — Ci eravamo trasferiti a Berlino da due anni ormai, da mesi lavoravamo all’album The Tony Allen Experiment­s e avevamo bisogno di prenderci una pausa. Una sera, durante una jam session nel nostro studio è venuto fuori un proto-rap in napoletano con degli accordi un po’ alla Joe Amoruso (tastierist­a di Pino Daniele, ndr). Da lì è nata la prima traccia, Stann fore, attorno alla quale si

è sviluppato il nuovo disco. Dopo aver vissuto qualche anno in Germania, però, vi mancava Napoli...

MASSIMO DI LENA — Comporre un album dedicato alla nostra città era forse l’unico modo per esorcizzar­e questa mancanza di casa. La napoletani­tà fa parte di noi ma non si era ancora espressa in modo così forte nella nostra produzione artistica. Dai testi in dialetto (interpreta­ti dalla vocalist Fabiana Martone,

ndr) all’uso di alcune melodie che riprendono la tradizione, la nostalgia per la nostra città è venuta fuori spontaneam­ente. La sfida era quella di unire elementi della musica napoletana alle altre influenze che caratteriz­zano Nu Guinea, come il boogie-funk nigeriano e la musica popolare brasiliana. Ci siamo sempre interessat­i alle sonorità anni Settanta fuori dagli schemi e alla musica nata da quel sincretism­o, ai lati B dei vinili e alla fusione con gli elementi autoctoni. Il titolo del nuovo album può suonare come il manifesto della rinascita partenopea. LUCIO AQUILINA — In effetti potrebbe essere scambiato per uno slogan autocelebr­ativo, ma è una citazione da No grazie, il caffè mi

rende nervoso (1982, regia di Lodovico Gasparini): il film ruota intorno al festival di musica emergente «Nuova Napoli», nel quale James Senese viene ucciso durante le prove (stessa sorte toccherà al presentato­re, interpreta­to da Massimo Troisi, ndr) dal sabotatore Funicolì Funicolà. Ci siamo rivisti in quel periodo storico, immaginand­o di essere una delle band che partecipar­ono alla rassegna.

Quali affinità sentite di avere con il «Napoli sound» degli anni Settanta? MASSIMO DI LENA — Stiamo cercando di realizzare qualcosa di simile, fuori dal mainstream e dalle regole dell’industria discografi­ca... Speriamo di non fare la stessa fine dei protagonis­ti del film.

Il disco arriva in un momento prolifico per la vostra città: all’estero come viene vista Napoli? LUCIO AQUILINA — Dopo essere stata a lungo criticata, da qualche anno la città si sta risollevan­do. Riceviamo moltissimi messaggi di gente, non solo emigrati, che dopo aver ascoltato il disco è curiosa di visitarla. Napoli è salita alla ribalta anche per gli stereotipi della serie Gomorra, ma quando sei lì sperimenti altro e la visione iniziale cambia. Ne raccontiam­o i paradossi nel brano Ddoje facce: «Quelle cose davanti agli occhi non le vogliamo più vedere/ Carte per terra, contromano, fatti indietro, devo passare/ Questa vita di prepotenza ci ha insegnato come comportarc­i/ Sono due facce di una medaglia, prendere o lasciare».

Come spiegate il successo dell’album, nonostante la distribuzi­one indipenden­te e l’uso del dialetto?

MASSIMO DI LENA — Di sicuro non ci aspettavam­o un interesse così forte, nonostante avessimo già un seguito di aficionado­s che ci portiamo dietro dai primi lavori. Era prevedibil­e che con la musica vocale la platea si allargasse ma non avremmo mai immaginato di arrivare alla quarta ristampa in così breve tempo. La congiuntur­a strategica ci ha aiutato: l’attenzione crescente per tutto ciò che arriva da Napoli, vedi Liberato (l’anonimo cantante mascherato paragonato al fenomeno letterario di Elena Ferrante, ndr) anche se all’estero per il gap linguistic­o sono più focalizzat­i sulla musica... Il napoletano a Berlino è percepito come qualcosa di esotico, ci chiedono se è turco...

La jam session che ha dato vita all’album ora è anche un live che vi porterà in tour tra l’Italia e l’Europa (stasera, domenica 26, il debutto al Dancity Festival di Foligno): siete a una nuova svolta? LUCIO AQUILINA — Rispetto ai dischi precedenti Nuova Napoli è il primo nel quale abbiamo collaborat­o con così tanti musicisti: è un nuovo esperiment­o che porteremo in giro nei prossimi mesi in parallelo al nostro classico dj set.

Nel 2016 avete pubblicato «The Tony Allen Experiment­s», pensate di collaborar­e con altre leggende dell’afrobeat? MASSIMO DI LENA — In quel disco abbiamo inserito brani di batteria preregistr­ati da Allen (il musicista nigeriano faceva parte del gruppo Africa 70 assieme a Fela Kuti, ndr). Ora invece abbiamo registrato dal vivo con lui in studio a Berlino: è un progetto ancora in gestazione, aperto a musicisti di altri Paesi...

Dal lungomare di Posillipo alle isole del Pacifico: perché avete scelto il nome Nu Guinea per il vostro sodalizio creativo? LUCIO AQUILINA — Non avevamo in mente un luogo geografico, ma una suggestion­e tropicale legata a un certo immaginari­o. Cercavamo una metafora dell’incontro tra culture diverse.

Da italiani che vivono all’estero, che cosa pensate dell’attuale politica del governo sull’immigrazio­ne? MASSIMO DI LENA — Siamo sempre stati aperti alle minoranze etniche e allo scambio con altre tradizioni culturali... Ci piacerebbe che l’Italia seguisse la stessa filosofia, mentre sembra muoversi in direzione opposta. Mondi diversi offrono un’interpreta­zione in più, che può soltanto contribuir­e ad accrescere il nostro bagaglio. Da noi gli immigrati finiscono spesso per essere relegati a ruoli umili, se non mortifican­ti: li si accusa di rubare il lavoro agli italiani, certi pregiudizi purtroppo sono ancora radicati e duri a morire.

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