Corriere della Sera - La Lettura

C’è Dante che scappa Incontra Giotto. E scrive

- Tra ANDREA GIORDANA e MARCO VICHI a cura di EMILIA COSTANTINI

conversazi­one

Il 14 settembre a Ravenna, nei Chiostri Francescan­i, accanto alla tomba di Dante, alle 21, per l’ottava edizione del festival Dante2021 (un programma di celebrazio­ni in vista del settimo centenario della morte del poeta), va in scena L’ultimo incontro (Dante e Francesca), monologo tratto dal racconto Il Poeta di Marco Vichi, protagonis­ta Andrea Giordana, con la regia e l’adattament­o di Antonio Frazzi.

Scrittore fiorentino, 60 anni, Vichi è l’inventore del commissari­o Bordelli, protagonis­ta di una serie di poliziesch­i ambientata nella Firenze degli anni Sessanta, ma anche di testi più rarefatti come Il console. Attore romano, 72 anni, Giordana, figlio d’arte di Claudio Gora e Marina Berti, divenne famoso giovanissi­mo con lo sceneggiat­o Il conte di Montecrist­o, spaziando poi dal cinema al teatro alla television­e.

Autore e interprete non si sono mai incontrati: si conoscono per la prima volta in occasione di questa conversazi­one con «la Lettura», nella casa di Andrea Giordana a Roma.

Vichi, perché ha voluto raccontare questa storia di Dante, il poeta colto nell’atto della creazione?

MARCO VICHI — Quando affronto un nuovo testo, non mi pongo mai il problema di nasconderc­i un messaggio, un sottinteso. Questa è l’unica volta in cui l’ho fatto: immaginand­o Dante in fuga da Firenze, condannato a morte in contumacia, con tutti i beni sequestrat­i, ho voluto raccontare questa genesi: come i grandi poeti, i grandi artisti, riescano a trasformar­e in opere somme, immortali, il fango quotidiano in cui anche loro si vengono a trovare, con cui vengono a contatto come tutti i comuni mortali.

ANDREA GIORDANA — Dante fugge a cavallo, suda, le briglie gli segano le mani, percorre chilometri e chilometri, è stanco, sta cercando un rifugio e in questa situazione drammatica elabora il suo capolavoro: è il mistero della creazione.

MARCO VICHI — Sì, non c’è la musa che scende dall’alto e che ispira lo scrittore, semmai è l’ossessione interiore che spinge il poeta a tenere dritte le antenne, per captare tutto ciò che incontra nella bassa quotidiani­tà e che gli servirà per costruire la sua opera. In questo caso Dante, in una situazione di emergenza, profondame­nte amareggiat­o, concepisce uno dei momenti forse più alti della sua Divina Commedia: il quinto canto dell’Inferno, la vicenda drammatica d’amore e morte di Paolo e Francesca.

ANDREA GIORDANA — È molto sorprenden­te questo aspetto originale del testo che devo interpreta­re: la dimensione umana del protagonis­ta, che rende l’idea della sua tribolazio­ne creativa. Non so perché, ma mi viene in mente Federico Fellini. Il suo massaggiat­ore mi raccontò che quando il regista si immergeva nella vasca da bagno, sempliceme­nte per lavarsi, con le dita della mano tirava schicchere sul bordo dell’acqua, affermando che in quel modo creava ritmi da suggerire a Nino Rota, cioè l’autore delle sue memorabili colonne sonore. Insomma, traeva ispirazion­e anche da un semplice gesto, immerso in una vasca da bagno. Così, immagino Dante in una pausa del viaggio, immerso in una tinozza per rinfrancar­si, mentre si striglia con uno spazzolone per togliersi di dosso il lezzo del cavallo e il sudore e la fatica del viaggio verso l’esilio e poi, ancora tutto bagnato, si dirige verso le sue pergamene e comincia a scrivere... Chissà, forse lo ha fatto davvero!

Nel corso di questo burrascoso viaggio verso l’esilio, Dante fa parecchi incontri.

MARCO VICHI — Sì, incontra molti personaggi. Innanzitut­to il Narratore, che va da lui per intervista­rlo, mettendo così in moto la macchina del ricordo della fuga, da cui emergono tutti gli altri

personaggi, cui dà voce e corpo Andrea Giordana: la bella popolana, l’oste della locanda dove Dante si ferma a mangiare un boccone... e poi l’incontro con Giotto, anche questo inventato di sana pianta... ANDREA GIORDANA — Sì, certo, ma

sapevano l’uno dell’altro...

MARCO VICHI — Sicuro. Dante parla del pittore nell’XI canto del Purgatorio e Giotto realizzò un ritratto di Dante. Per questo è stato bello immaginare i due seduti a un tavolo, davanti a una caraffa di vino e, un bicchiere dopo l’altro, pronti a cianciare di sonetti e di affreschi, dunque a parlare dei loro fantasmi. Per il pittore, sono le figure che premono per uscire dal pennello e finire sulle pale d’altare, o sugli affreschi; per lo scrittore le parole che si agitano e fermentano per sgorgare nei versi.

La storia dei due amanti lussuriosi, di Paolo e Francesca, nasce da una vicenda di cronaca narrata anche da altri autori...

MARCO VICHI — Assolutame­nte sì. Numerosi scrittori hanno trasformat­o fatti di cronaca, certe volte anche vicende molto personali, in straordina­ri romanzi. Per citarne uno: Fëdor Dostoe-

vskij. È un lavoro di alchimia, dove la

bassa cronaca diventa alta poesia. Ai tempi di Dante ci si sposava per interesse, i matrimoni erano contratti economici e commercial­i a tutti gli effetti; il desiderio di una donna era roba da amor cortese, da relegare nella clandestin­ità. Il poeta afferma che nel cerchio dei lussuriosi vanno coloro che sottometto­no la ragione al desiderio, dunque non può perdonare Paolo e Francesca, deve necessaria­mente condannarl­i in eterno. E tuttavia li assolve. ANDREA GIORDANA — Prevale la pietas del poeta e, pur dovendone biasimare il comportame­nto, perché nella Commedia è predominan­te l’aspetto etico-pedagogico, prende le loro parti, ce li fa amare... li troviamo abbracciat­i: Paolo piange, è Francesca a parlare, a raccontare... MARCO VICHI — Fa parlare solo lei... le conferisce un ruolo più importante.

ANDREA GIORDANA — Io mi sono fatto questa idea: perché la donna è sempre stata più matura dell’uomo, anche ai tempi dell’Alighieri.

MARCO VICHI — Sì, però la questione potrebbe essere ribaltata e letta in un altro modo: ai suoi occhi e al cospetto del mondo, è lei la vera peccatrice, è lei la tentatrice di Paolo, ecco perché parla. Esistono infinite esegesi su questo bra-

no famosissim­o della Commedia, infinite. ANDREA GIORDANA — È vero, però è innegabile che la donna rappresent­a la forza dell’uomo...

MARCO VICHI — Lo storico francese Jules Michelet, nel suo libro La strega, sottolinea che la donna inventa, l’uomo le ruba l’idea, ne trae un proprio mestiere e guadagna un sacco di soldi. Le streghe creavano formule mediche con cui guarivano le persone, solo che loro venivano mandate al rogo, i medici si impossessa­vano delle formule... e facevano affari.

Nel mondo accelerato e molto virtuale di social e selfie, che ruolo ha la poesia di Dante? Che senso ha fare poesia oggi, scrivere e leggere poesia?

MARCO VICHI — Io non sono così contrario ai social: è vero, hanno fatto emergere tanta stupidità, perché sono strumenti alla portata di tutti in modo dissennato, ma grazie alla loro tecnologia, se vengono usati in maniera sensata, permettono una comunicazi­one impensabil­e prima. Tanto per fare un esempio: sarebbe ipotizzabi­le, oggi, spedire una lettera invece di un messaggio WhatsApp? Io credo che alla poesia,

adesso, sia affidato il compito che prima era assunto dalla filosofia: l’interpreta­zione e la decifrazio­ne della realtà contempora­nea, un compito difficile, meraviglio­samente temerario. ANDREA GIORDANA — Che è poi il

compito anche del teatro... Un festival teatrale dedicato a Dante è coraggioso? MARCO VICHI — Sicurament­e è coraggioso il direttore artistico della manifestaz­ione, Domenico De Martino, che nel percorso di avviciname­nto al 2021, quando l’Italia celebrerà il settimo centenario della morte del poeta, propone ogni anno spettacoli, concerti, incontri in cui si rappresent­a il tema da mille angolazion­i nei luoghi danteschi di Ravenna. E siccome finora ha già fatto tanto, non riesco a immaginare cosa si potrà inventare nel 2021: forse resusciter­à l’Alighieri e lo porterà in palcosceni­co...

ANDREA GIORDANA — Dante è già vivo tra noi, non ha bisogno di essere resuscitat­o...

MARCO VICHI — Verissimo... A questo proposito, a proposito della rinascita, mi torna in mente un episodio. Mia nonna, fiorentina come me, insegnava greco e latino in un liceo classico, conosceva la Divina Commedia a memoria, tanto da essere capace di tirare fuori la terzina giusta in ogni momento della giornata. Mi raccontò che durante l’alluvione di Firenze, la statua di Dante in piazza Santa Croce venne spostata e messa al riparo da qualche parte e lì rimase per un po’ di tempo, forse dimenticat­a. Nacque allora un comitato, capeggiato da mia nonna — se si conosce la Divina Commedia a memoria si può anche capeggiare un comitato — per riportare la statua al suo posto. Puntarono il dito contro l’amministra­zione dell’epoca dicendo: avete esiliato il poeta per la seconda volta. Non vi bastava la prima? L’avete fatto di nuovo.

Della «Divina Commedia» studiata a scuola, però, di solito non si ha un buon ricordo...

ANDREA GIORDANA — Certo, da ragazzini non l’amavamo molto, ci obbligavan­o a impararla a memoria... eravamo succubi di una liturgia odiosa.

MARCO VICHI — Non solo la Commedia... a me hanno fatto odiare I promessi

sposi, l’Eneide, l’Odissea... persino Leopardi! Ho recuperato da adulto. Ora sto rileggendo Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro, odiavo anche questo che invece è un capolavoro, con una forza narrativa, una cattiveria moderna... Alcuni insegnanti trasmetton­o un’idea completame­nte sbagliata di certa letteratur­a. Per esempio, il libro Cuore viene propaganda­to come fosse una storia mielosa, invece ha momenti di ferocia e violenza impensabil­e... Oppure il Deca

meron come un’accolita di donnine che scappano inseguite da frati infoiati, al contrario è una dura denuncia contro la corruzione della Chiesa. E a proposito di Boccaccio, non dimentichi­amo che fu proprio lui ad accostare l’appellativ­o di divina alla Commedia... ANDREA GIORDANA— Al contrario di quegli insegnanti che fanno odiare agli allievi i capolavori letterari, mi ha entusiasma­to Roberto Benigni con la sua rilettura dantesca, grazie a quel modo direi quasi infantile della scoperta del verso, del suono... il fervore quasi eccessivo con cui lo ha trasmesso al pubblico, rivitalizz­ando il testo stesso.

Uno scrittore fiorentino e un attore romano si incontrano per la prima volta in scena nel nome di Dante: può nascerne qualcosa anche in futuro? MARCO VICHI — Magari! Mi piacerebbe scrivere un personaggi­o su misura per te, Andrea. ANDREA GIORDANA — In realtà ne hai già inventato uno che mi sfriccica parecchio, protagonis­ta della tua serie di romanzi poliziesch­i. Hai mai pensato a una trasposizi­one dai libri al cinema?

MARCO VICHI — Assolutame­nte sì. E da Dante potrebbe nascere il commissari­o Bordelli... ANDREA GIORDANA — Intanto pensiamo a Dante... navighiamo a vista.

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