Corriere della Sera - La Lettura
Benvenuti in Guyana tante etnie, nessun popolo
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«Le brassage est une richesse »: la pubblicità di una nota birra olandese tappezza le vie di Cayenne e dintorni, in Guyana francese ( Lagwiyann, come la chiamano i creoli). Brassage vuol dire «mescolamento» e si riferisce alla preparazione del mosto nella produzione della birra. In senso figurato è il «mescolarsi dei popoli», versione francese del melting pot. La Guyana francese, dipartimento d’Oltremare dal 1946, è un Paese straordinario e per lo più sconosciuto agli europei del continente. Lembo di Francia in America del Sud, confina con il Suriname (l’ex Guyana olandese) e il Brasile, da cui la separa la più lunga frontiera terrestre di Francia (649 chilometri). I circa 260 mila abitanti, concentrati per più della metà nella cosiddetta «isola di Cayenne» (Cayenne, il capoluogo, Matoury e Remire-Montjoly) sono di origini, lingue e culture le più disparate. In Guyana francese le migrazioni, forzate e libere, per scelta e per rifugio, sono state da sempre la regola. Potersi dire autoctoni è un’eccezione riservata ad alcuni gruppi amerindiani.
Prima di atterrare all’aeroporto di Matoury, l’aereo da Parigi fa un lungo giro sull’Amazzonia, sorvolando fiumi luccicanti e tortuosi e un’immensa, intermi- nabile foresta. Il vapore acqueo che si sprigiona dalle ricorrenti piogge forma grumi di nuvole effimere: il militare che viaggia al mio fianco («Starò due anni qui», racconta) chiede al vicino se si tratta di incendi appiccati dagli indigeni. Sorvoliamo il più grande parco di Francia, il Parc amazonien de Guyane. La Guyana francese è grande tre volte e mezza la Lombardia e più del 90% del territorio è ricoperto da foresta. Con una densità di popolazione di tre persone per chilometro quadrato, è il dipartimento meno popolato di Francia, anche se il numero di abitanti sta velocemente crescendo.
«Questa foresta — racconta Céline Fremaux, la giovane direttrice del parco — ha vissuto epoche di ben maggiore occupazione umana». Il parco lavora a progetti di conservazione della flora e della fauna, di valorizzazione dei saperi indigeni e di riscoperta di tracce del passato. Gli archeologi stanno mettendo in luce molte presenze e movimenti delle popolazioni pre-europee. Anche in questa parte del continente americano le ricerche mostrano che le società originarie erano tutt’altro che statiche e chiuse: scambi e scontri tra comunità dette paleo-indiane e società di lingua arawak o caribe, provenienti dalle isole caraibiche e da zone costiere, caratterizzano il passato dell’enorme territorio che è il Plateaux des Guyanes (Guyana, Suriname, Guyana francese). A metà del Novecento si pensava che tutti gli amerindiani fossero scomparsi, decimati dalle malattie, dall’inedia, dagli scontri con i creoli e con i cercatori d’oro. «Ancora cinquant’anni fa — racconta la direttrice del parco — non c’era crick (i piccoli corsi d’acqua ramificati nella foresta, nda) che non fosse stato esplorato e, letteralmente, setacciato dagli orpailleurs ». Decine di migliaia di «cercatori» o «setacciatori» d’oro ( orpailleurs in francese) hanno percorso la foresta a partire dalla metà dell’Ottocento. Oggi ci sono una trentina di piccole società autorizzate all’estrazione superficiale e alcuni residui garimpeiros, cercatori d’oro clandestini provenienti dal Brasile. La grande partita è l’estrazione dell’oro in profondità, che contrappone interessi locali e nazionali, oltre a porre enormi interrogativi sull’impatto ambientale. Un collettivo guyanese, «Or-dequestion» ( hors de question in francese significa «fuori discussione») lotta contro l’apertura di grandi progetti minerari.
Gli amerindiani in realtà non erano scomparsi. A partire dagli anni Cinquanta, Jean-Marcel Hurault e Françoise e Pierre Grenand fotografarono e docu-