Corriere della Sera - La Lettura

Intuizione geniale che frenò la terapia

- di GIANCARLO DIMAGGIO

Stanley Kubrick si è mai chiesto se mettere in scena Il caso Dora di Freud? Avrebbe girato un gran film. Un racconto potente, torbido: «La casa era in fiamme; mio padre, in piedi accanto al mio letto, mi diceva di alzarmi; mi vestii in fretta». Un sogno, una finestra su un quadrilate­ro amoroso sghembo e malato. Il padre di Dora ha una relazione con la signora K., il signor K. tenta di sedurre Dora quattordic­enne. Lei si presenta con sintomi isterici: afonia, tosse nervosa, emicrania. Si annoia. L’analisi fallì. Eppure Freud ci costruì sopra teorie che hanno rallentato il progresso della psicoterap­ia. Pierre Janet prima e Freud stesso fino ad allora attribuiva­no i sintomi isterici a eventi traumatici reali. Oggi sappiamo che è così e operiamo di conseguenz­a. Freud invece insistette sulle fantasie sessuali di Dora, che immaginava eccitata dalla corte del signor K.: i sintomi isterici nascevano da lì. Ci sono voluti decenni per tornare all’origine traumatica della sofferenza psichica. Oggi un terapeuta si concentrer­ebbe sull’impatto che la freddezza della madre e il comportame­nto ambiguo del padre avevano sulla ragazza. Cercherebb­e di farle capire che i sintomi nascevano da motivi sensati: sei afona e chi non ha voce sa che non viene ascoltato. Eppure c’era del genio nel lavoro di Freud, dice Francesco Gazzillo, psicoanali­sta acuto. Il lavoro sui sogni: indagarli, perché offrono tracce del funzioname­nto intrapsich­ico e relazional­e. Grande idea. E poi Freud capì che quello che chiamiamo transfert, il modo in cui il paziente vede il terapeuta, dipende sì dalla storia del paziente, dai suoi schemi relazional­i. Ma in parte dalle caratteris­tiche reali del terapeuta. Siamo terapeuti ma anche umani, con una storia e una posizione del mondo. I pazienti si confrontan­o con questo.

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