Corriere della Sera - La Lettura
Più meticci che vichinghi Un genoma scandinavo
Karin Bojs è una giornalista scientifica svedese in cerca delle proprie radici. Alla morte della madre, osservando al funerale i resti della sua famiglia frantumata, si mise sulle tracce degli antenati, non solo di quelli prossimi, anche di quelli remoti, paleolitici. In Scandinavia i registri familiari sono accurati, ma le sue indagini genealogiche divennero inevitabilmente nebulose quando si spinse indietro oltre il Settecento. Oggi però esistono le analisi del Dna, che ci danno informazioni sulla nostra salute, ma anche sul nostro albero di discendenza.
Così la Bojs sottopose sé stessa e alcuni familiari ai test genetici e iniziò un viaggio a ritroso nel tempo. Nel libro che lo racconta, I miei primi 54.000 anni (Utet), la storia della sua famiglia si intreccia con quella dell’Europa preistorica. Tutto comincia sul lago di Tiberiade con un incontro ravvicinato tra un Neanderthal e una sapiens, avvenuto 54 mila anni fa, con nascita di un bambino di robusta costituzione. Il piccolo ibrido è visto con sospetto dagli altri, ma ha un gran futuro davanti a sé. Gli accoppiamenti tra specie umane sono diventati ormai un topos letterario, al limite della morbosità: quanto erano consensuali i loro rapporti sessuali? Dove sono avvenuti? Ma la fantasia in questo caso trova conferma nella scienza: la rivista «Nature» il 23 agosto ha pubblicato la scoperta del genoma di una ragazza, vissuta 90 mila anni fa sui Monti Altai, che ebbe madre neanderthaliana e padre sapiens.
Non fidatevi troppo però dei test che vi dicono quanto Dna neanderthaliano avete nel vostro genoma. La Bojs mescola in modo un po’ disinvolto dati scientifici, opinioni personali e speculazioni, ma la scrittura, pur tra molte digressioni, fluisce inarrestabile come le linee genetiche che insegue. Il responso è significativo: lei, come ognuno di noi, ha migliaia di antenati, provenienti dai posti più diversi. Ha ereditato per parte materna alcuni tratti degli antichi cacciatori di renne e di foche paleolitici (con i loro capelli neri, pelle scura e occhi chiari) arrivati nel nord 10 mila anni fa da Spagna e Francia, e a loro volta discendenti di quelli che avevano incontrato i Neanderthal. Questi pionieri attraversarono il Doggerland, la terra rigogliosa, ora sommersa dal mare del Nord, che univa la Svezia alla Scozia.
La linea materna del padre della Bojs si ricollega invece ai primi agricoltori, arrivati in ondate successive dal Medio Oriente attraverso Anatolia, Balcani ed Europa centrale, e approdati in Svezia 6 mila anni fa con la loro pelle chiara. A queste due grandi migrazioni si aggiunse a partire da 4.800 anni fa una terza, che l’autrice ritiene di aver trovato nella sua linea paterna grazie all’analisi del cromosoma Y dello zio paterno. È quella dei pastori nomadi che a cavallo irruppero dalle steppe asiatiche, alti e di carnagione scura, il cui idioma fu forse l’antenato di tutte le lingue indoeuropee. Infine il suo Dna rivela qualche traccia genetica siberiana e una lieve vicinanza con i lapponi.
Karin Bojs scopre insomma su di sé un’evidenza che ultimamente mette d’accordo archeologi e genetisti: tutte le culture sono fusioni di gruppi umani, di idee e di lingue. Ogni europeo è un mosaico genetico a sé. La preistoria dell’Europa si riassume in tre grandi ondate migratorie, scandite dai cambiamenti climatici, e negli esiti delle loro convivenze e mescolanze. Tutti gli svedesi quindi, come tutti gli italiani, sono discendenti di immigrati arrivati da est e da sud. Eppure ancora oggi qualcuno cerca invano nel Dna una conferma dei propri pregiudizi razziali: in Ungheria non molto tempo fa vendevano falsi test genetici che garantivano al richiedente l’assenza di ebrei e rom tra gli antenati.