Corriere della Sera - La Lettura
Le nostre spie in Spagna e nella Russia del 1961
Tengo sulla scrivania una pistola Browning FN 1910 calibro 9. Non la uso ma mi aiuta a pensare come lui, l’assassino
Un romanzo di spionaggio ambientato ai nostri giorni, come qualunque altra opera letteraria o cinematografica moderna, porta con sé, implicitamente, tutta una serie di dettagli imprescindibili. Impossibile, al giorno d’oggi, imbastire un intreccio narrativo senza menzionare telefoni cellulari, computer, geolocalizzazione e tutto l’armamentario tecnologico della nostra vita quotidiana. Con questi elementi, più o meno aggiornati, si sono scritti romanzi e girati film di spionaggio straordinari. I personaggi creati da Ian Fleming, John Le Carré, Helen MacInnes, Len Deighton e Robert Ludlum, tra tanti altri, si servono e beneficiano di una tecnologia all’avanguardia, lasciando tuttavia spesso in secondo piano il fattore umano, per dirla nel gergo classico della letteratura di spionaggio.
È stato proprio questo, il fattore umano, a rivelarsi l’elemento decisivo quando ho voluto impostare una serie di romanzi che girano attorno al personaggio di Lorenzo Falcó, ex trafficante d’armi, cacciatore senza scrupoli, assassino senza rimorsi, mercenario di se stesso. L’idea di scrivere di spionaggio mi accompagnava da molto tempo, quasi dagli esordi della mia carriera di romanziere, ma non avevo mai trovato il punto di partenza, la trama giusta. Cinque anni fa mi è sembrato di imboccare la buona strada in alcune pagine di Il tango del
la Vecchia Guardia e mi sono divertito molto a farlo. Da quel momento ho cominciato a pensare a un romanzo — uno solo — da dedicare a questo argomento. Ma è anche vero che il romanziere propone e il caso dispone. Tale è stato il mio piacere nella scrittura di Falcó che ho voluto prolungarlo, trattenendomi nel suo mondo per ancora qualche tempo, e inevitabilmente il romanzo di spionaggio iniziale si è trasformato in una serie. Ho appena terminato Eva, il secondo episodio, e sto per iniziare il terzo. Non so se ce ne saranno altri. Dipende se il piacere della narrazione si manterrà altrettanto vivo anche nel terzo volume.
Consapevole, come ho già accennato, della necessità di far ricorso a tecnicismi banali — lo dico in senso scherzoso, non dispregiativo — nei romanzi di spionaggio ambientati ai nostri giorni, ho deciso che Falcó si sarebbe svolto in circostanze e scenari ormai lontani dalla nostra realtà, pur avendo fatto parte, spesso tragicamente, del nostro passato. Semmai al posto di Fleming, Le Carré o Graham Greene, il mio personaggio avrebbe intrecciato legami di parentela con i loro precursori, vale a dire con i personaggi creati agli esordi del genere, nei primi decenni del Ventesimo secolo. Mi riferisco ai romanzi che ogni appassionato conosce a memoria, benché oggi in larga parte dimenticati dal grande pubblico: L’enigma delle sabbie di R. E. Childers; Ashenden
o L’agente inglese di Somerset Maugham; Il pesce cinese di Jean Bommart; I trentanove scalini di John Buchan; o le opere straordinarie della prima epoca di quel maestro della letteratura di spionaggio moderna che è stato Eric Ambler, soprattutto La maschera di Dimitrios.
Fattore ancor più rilevante, quell’epoca e i suoi perso-