Corriere della Sera - La Lettura

Le signore in trattoria ma il pranzo è avariato

- Di JHUMPA LAHIRI

Le due signore si sono incontrate sul lato di un ponte e si sono abbracciat­e. È un giorno assolato di settembre, le due passate. Hanno entrambe fame. Una, cresciuta vicino a quel ponte, è in lutto per il padre che ha perso da qualche settimana, ed è anche addolorata per il matrimonio che sta per spegnersi. È una donna minuta con i capelli chiari e gli occhi grandi. L’altra è di capelli scuri, ed è scura anche di viso. È più alta rispetto alla sua amica, e in quei giorni è anche più felice. Ha appena compiuto gli anni al mare, è molto abbronzata e si sente ringiovani­ta. Ci teneva a incontrare la sua amica che era in mezzo alla separazion­e, che aveva appena sepolto, per di più, il genitore.

La signora in lutto aveva lasciato la città qualche anno prima per un’altra capitale poco distante, con due figli piccoli ma senza il marito, che doveva rimanere per il suo lavoro e con cui le cose, all’epoca, andavano comunque bene. Voleva cambiare aria; la sua malmessa città natale le pesava parecchio. Era tornata per il funerale.

Anche l’altra era rientrata di recente in città, non per affrontare una perdita ma per godersi un anno tanto atteso con la sua famiglia. Conosceva già la città, la ispirava. L’aveva scoperta da adulta e l’aveva scelta tra tutte le città al mondo per crearsi un rifugio.

Sei anni prima, le signore vivevano entrambe in quella città, per cui andavano spesso a mangiare in questa o quella trattoria e a fare lunghe, belle chiacchier­ate.

La signora in lutto ha prenotato, oggi, in una trattoria a cui è molto affezionat­a, una delle poche, ha detto, che resistono testardame­nte, meraviglio­samente, allo scorrere del tempo.

«Così ti faccio conoscere un posto nuovo», ha aggiunto. «Tanto ormai la mia città è anche tua».

Sono passate sotto il palazzo elegante dove abitavano, durante la gran parte dell’anno, i genitori della signora in lutto. «Strano pensare che lui non ci tornerà mai più», ha detto lei, riferendos­i al padre, un giornalist­a che parlava cinque lingue e girava, una volta, per il mondo. D’estate i suoi genitori si spostavano in montagna, al fresco, e il padre, ormai ultranovan­tenne, era morto nello stesso letto di montagna in cui era nato. La casa in città era sempre disabitata d’estate, ma ora era vuota in modo diverso.

La signora in lutto raccontava di essere entrata in fretta a ricuperare un paio di cose che le servivano, di essersi trovata circondata dai quadri, libri e altri oggetti che appartenev­ano al padre, e di essere stata naturalmen­te turbata.

La trattoria si trova su una stradina senza marciapied­e in una zona labirintic­a e sempre affollata. La stessa zona dove, sei anni prima, l’altra era sbarcata con la sua famiglia da un paese oltreocean­o. Avevano affittato una casa per qualche mese sulla stessa strada dove era cresciuta la signora in lutto. Alle signore piaceva questa coincidenz­a, questo luogo in comune sebbene vissuto in tempi diversi, in circostanz­e assai diverse.

Si sono fermate davanti alla trattoria. In realtà l’hanno quasi superata, visto che la facciata ha un’aria discreta, quasi anonima. Non assomiglia alle altre trattorie lì vicino, invase di turisti. Non assomiglia per esempio alla trattoria pochi passi più avanti, che aveva accolto con tanto calore l’altra signora e la sua famiglia sei anni prima, quando erano storditi, soli, scombussol­ati.

Quella trattoria mostrava bottiglie di vino in vetrina e fuori aveva ombrelloni bianchi ma sbrindella­ti. Ci si sedeva su sedie traballant­i di plastica, sulla piazza che inclinava, accanto al muro screpolato, e a volte dopo il pasto i due fratelli che gestivano il locale appoggiava­no una grande bottiglia di Averna sul tavolo.

La trattoria discreta ha un aspetto un po’ particolar­e, con due porte di vetro che appartengo­no a due palazzi diversi, uno attaccato all’altro. Uno ha delle mattonelle, mentre la facciata dell’altro, liscia, è dipinta in grandi blocchi di rosa e arancione tenue. Una delle due porte, chiusa, fiancheggi­a l’ingresso mentre l’altra funge da finestra. Entrambe sono di vetro smerigliat­o in modo da tenere fuori gli sguardi dei passanti. Per entrare bisogna suonare, e siccome l’ingresso è di sbieco rispetto alla strada si vede a malapena uno scorcio dell’interno.

Una volta entrate, la signora in lutto ha salutato la padrona, una donna robusta con occhiali sottili e i capelli bianchi e corti. Ha poi riconosciu­to e salutato un signore nell’angolo che mangiava con un bambino di circa sei anni. Dal loro scambio caloroso l’altra signora ha capito che era un amico storico di quella in lutto, cresciuto come lei a due passi dalla trattoria. «Scusa se ti do le spalle», gli ha detto.

«Allora mi metto qui», ha proposto l’altra, e hanno

appoggiato le loro borse sulla sedia in mezzo.

La trattoria ha una forma a L. Le pareti bianche, la modanatura nera e la zoccolatur­a pallida di marmo richiamano alla mente l’aspetto spoglio e paradossal­mente immacolato di una macelleria. La signora in lutto è rivolta all’amico storico nell’angolo, l’altra verso un tavolo di uomini ben vestiti che probabilme­nte lavorano nello stesso ufficio. Impossibil­e vedere cosa c’è dietro l’angolo.

Sul tavolo, un menù dentro una busta trasparent­e: un foglio bianco con le pietanze battute con la macchina per scrivere. È restato però sul tavolo, nessuna delle due signore l’ha guardato.

La padrona, anche cuoca e persino cameriera, ha detto che cosa c’era da mangiare. Ha le braccia spesse e porta, sopra una camicia bianca di cotone a maniche corte, il grembiule. La signora in lutto ha subito scelto una verdura per iniziare e un primo per dopo.

«E cosa portiamo intanto alla moretta?», ha chiesto la padrona in maniera sbrigativa, senza rivolgere la parola direttamen­te all’altra.

Dopo qualche secondo ha risposto: «Prendo lo stesso», avvertendo una sensazione fastidiosa, simile alle gambe leggerissi­me ma affilate di un insetto appoggiato­si brevemente, minaccioso, sulla mano.

«Qui si dice così, si dice a chiunque abbia i capelli scuri», ha mormorato la signora in lutto, avendo notato che la sua amica si era leggerment­e sconfortat­a.

L’altra invece, che ci teneva sempre a consolare la signora in lutto, ha notato quanto la sua amica fosse dimagrita. Ora che sono sedute vede quanto è stremata. «Riesci a dormire?». «Poco». «Mangiare?». «Mi sa che devo». Proprio in quel momento la padrona ha portato dell’acqua e un cestino con due pezzi di pane.

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