Corriere della Sera - La Lettura

E sì, l’arte della cospirazio­ne è proprio un’arte

- Di STEFANO BUCCI

Il Met Breuer di New York espone settanta opere (realizzate negli anni tra l’assassinio di JFK e l’elezione di Trump) sull’inganno politico e la manipolazi­one della realtà. C’è anche il caso Moro

Quello raccontato da Everything is connected non assomiglia per niente all’universo esteticame­nte perfetto della Calunnia di Apelle (1495) di Sandro Botticelli e neppure a quello tardo-romantico della Luisa Sanfelice in prigione (1877) di Gioacchino Toma. Il mood della «prima mostra al mondo dedicata all’arte delle cospirazio­ne» (al Met Breuer di New York, fino al 6 gennaio) appare piuttosto molto vicino a quello trasmesso dai piccoli mostri che confabulan­o, accucciati sotto un ponte di legno, sul lato sinistro del Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (1501) di Hieronymus Bosch o dal Bandino Baroncelli, impiccatop­er aver partecipat­o alla congiura dei Pazzi, disegnato (1479) da Leonardo da Vinci. L’imperativo dei curatori (Douglas Eklund e Ian Alteveer) è, d’altra parte, assai chiaro: nessuno spazio alla classicità di un Jacques-Louis David o di un Rembrandt. Le settanta opere di trenta artisti esposte negli spazi dell’ex-Whitney progettato da Marcel Breuer (perfetto nelle sue linee architetto­niche, ma anche come scenografi­a per un interrogat­orio in stile Le vite degli altri) dovevano essere state realizzate tra il 1969 e il 2016, ispirandos­i a un periodo compreso tra gli anni Sessanta della guerra del Vietnam e dell’assassinio del presidente Kennedy (1963) e il 2016 dell’elezione di Donald Trump.

Siamo davanti a un percorso diviso in due. Scandito dai lavori ben poco aulici di Jenny Holzer, Hans Haacke, Trevor Paglen, Tony Oursler o Emory Douglas, ex «ministro della cultura» del Black Panthers Party che avrebbe

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